Quando un fango di depurazione è assoggettabile alla disciplina degli scarichi – M.Sanna

Quando un fango di depurazione è assoggettabile alla disciplina degli scarichi?

di Mauro Sanna

A distanza di quasi venti anni dalla emanazione del Dlgs 152/06 ricorrono ancora nella giurisprudenza sia amministrativa che penale sentenze con soluzioni anche di senso opposto riguardanti la qualificazione dei fanghi di depurazione.

Tale situazione deriva dal fatto che nelle disposizioni specifiche in materia, non è indicato quale sia il momento finale del complessivo processo di trattamento effettuato sugli scarichi in un impianto di depurazione, cioè quando dalla disciplina degli scarichi si deve passare a quella dei rifiuti per la gestione dei fanghi prodotti nel depuratore.

Questa indecisione deriva dal fatto che, né la disposizione originaria, contenuta nell’articolo 48 del Dlgs 152/99, ormai abrogato, che stabiliva: “ferma restando la disciplina di cui al decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99 e successive modifiche, i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti. I fanghi devono essere riutilizzati ogni qualvolta ciò risulti appropriato”, né quella prevista nell’iniziale formulazione dell’articolo 127 del D.lgs. 152/2006: “ferma restando la disciplina di cui al Dlgs 27 gennaio 1992, n. 99, i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti, ove applicabile. I fanghi devono essere riutilizzati ogni qualvolta il loro reimpiego risulti appropriato”, né infine le modifiche apportate dal Dlgs 4/2008 all’articolo 127 comma primo del Dlgs 152/2006, che hanno portato all’attuale formulazione che recita: ferma restando la disciplina di cui al decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99, i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti, ove applicabile e ((comunque solo)) alla fine del complessivo processo di trattamento effettuato nell’impianto di depurazione. I fanghi devono essere riutilizzati ogni qualvolta il loro reimpiego risulti appropriato“, hanno definito il momento finale del processo di trattamento degli scarichi in un impianto di depurazione e perciò quando la disciplina dei rifiuti deve applicarsi ai fanghi.

Nella normativa non vi è quindi alcuna precisazione che individui il momento in cui smettere di considerare scarico un fango di un impianto di depurazione ed iniziare a considerarlo come rifiuto; unico riferimento è che esso deve rientrare tra i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue quindi i trattamenti devono essere terminati, ma non vi è alcuna precisazione su quando esso deve essere considerato tale, né questo è specificato nella nozione di fango o di scarico.

La nozione di fango

Che un fango di depurazione sia da classificare come rifiuto è evidenziato chiaramente dal comma 3 lett. g) dell’art.184 del Dlgs 152/06, che comprende tra i rifiuti speciali, i fanghi prodotti dalla potabilizzazione e da altri trattamenti delle acque e dalla depurazione delle acque reflue e da abbattimento di fumi.

Si deve infatti ricordare che un fango ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. a), D.lgs. n. 152, in quanto “sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi” rientra per tipologia di materiale tra quelli classificati come rifiuti che, nello specifico, potranno perciò essere esclusi da tale disciplina solo in quanto soggetti alla disciplina degli scarichi.

Le lettere successive del medesimo articolo 183 definiscono cosa si debba intendere per gestione e raccolta degli stessi, in particolare:

  • la lett. n) definisce cosa si debba intendere per “gestione” degli stessi: la raccolta, il trasporto, il recupero e lo smaltimento dei rifiuti, compresi il controllo di tali operazioni e gli interventi successivi alla chiusura dei siti di smaltimento, nonché’ le operazioni effettuate in qualità di commerciante o intermediario. ((Non costituiscono attività di gestione dei rifiuti le operazioni di prelievo, raggruppamento, cernita e deposito preliminari alla raccolta di materiali o sostanze naturali derivanti da eventi atmosferici o meteorici, ivi incluse mareggiate e piene, anche ove frammisti ad altri materiali di origine antropica effettuate, nel tempo tecnico strettamente necessario, presso il medesimo sito nel quale detti eventi li hanno depositati));
  • la lett. o) definisce “raccolta”: il prelievo dei rifiuti, compresi la cernita preliminare e il deposito, ivi compresa la gestione dei centri di raccolta di cui alla lettera “mm”, ai fini del loro trasporto in un impianto di trattamento.

Inoltre, i fanghi sono definiti dall’articolo 74 lett.bb), D.lgs. n. 152, come: residui, trattati o non trattati, provenienti dagli impianti di trattamento delle acque reflue urbane e come già evidenziato, sono disciplinati dall’art. 127 comma 1.

La nozione di scarico

Per quanto riguarda la nozione di scarico e quali debbano essere le sue caratteristiche, soccorrono le definizioni date dall’articolo 74 lett. gg) del D.Lgs. 152/06 che definisce: “acque di scarico”: tutte le acque reflue provenienti da uno scarico, nonché dall’art. 183, lett. hh) che definisce “scarichi idrici“: le immissioni di acque reflue di cui all’articolo 74, comma 1, lettera ff), che considera tali: ”qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore in acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione.

Sempre in relazione alla nozione di scarico ed alla disciplina a cui esso può essere soggetto è necessario ricordare anche l’articolo 185 del D.Lgs. 152/06 che, definendo l’ambito di applicazione della disciplina dei rifiuti, individua quali siano i materiali assoggettabili a tale disciplina e quelli che invece ne possono essere esclusi, per la loro stessa natura o in quanto regolati da altre disposizioni normative comunitarie e dalle rispettive norme nazionali di recepimento. Tra i materiali esclusi dall’applicazione della disciplina dei rifiuti, la lett. a) dell’articolo 185 considera appunto: “le acque di scarico” che restano escluse dalla disciplina dei rifiuti contenuta nella parte IV del D.Lgs. 152/06 in quanto già regolamentate dalla parte III del medesimo decreto.

Le disposizioni normative comunitarie e le rispettive norme nazionali di recepimento stabiliscono che uno scarico per essere ammissibile in un corpo ricettore deve essere assoggettabile alla disciplina delle acque prevista nella parte III del D.Lgs. 152/06 (art.101), che prevede per esso un trattamento di depurazione che lo renda conforme ai limiti previsti dalla normativa stessa per la sua immissione in un corpo ricettore.

A sua volta, un fango di cui il produttore si debba disfare può essere escluso dalla disciplina dei rifiuti solo qualora esso sia qualificabile come scarico, né la normativa prevede altre condizioni in forza delle quali un fango possa essere escluso dalla disciplina dei rifiuti.

Pertanto, per individuare quale sia il momento in cui un fango derivante da un trattamento di scarichi termina di essere assoggettato alla disciplina prevista per questi e sia assoggettabile a quella dei rifiuti, resta solo da stabilire quando, in forza dell’articolo 127 comma primo Dlgs 152/2006, un fango non sia più qualificabile come scarico.

Un fango costituito da residui, trattati o non trattati, provenienti dagli impianti di trattamento delle acque reflue per essere qualificabile come scarico dovrà essere necessariamente ad esso assimilabile e quindi dovrà essere assoggettabile alla disciplina prevista dalla parte III del D.Lgs. e non a quella dei rifiuti prevista dalla parte IV del medesimo D.Lgs. e dovrà presentare le medesime caratteristiche fisiche previste per uno scarico e dovrà perciò essere costituito da acque reflue o comunque in generale da un refluo che sia assoggettabile alla parte III del D.Lgs. 152/06.

Quindi, il momento in cui la disciplina dei rifiuti deve applicarsi ai fanghi di un impianto di depurazione, in quanto è terminato il complessivo processo di trattamento effettuato sugli scarichi, è da individuare nel momento in cui il fango non ha più la capacita di rifluire nell’impianto stesso da cui si origina, non essendovi alcuna possibilità che sia assoggettato ad ulteriore depurazione ai fini del rispetto dei limiti tabellari, che lo renda conforme alla disciplina prevista dalla parte III del D.Lgs. 152/06.

In forza di quanto previsto dalle modifiche apportate dal Dlgs 4/2008 all’articolo 127 comma primo del Dlgs 152/2006, un requisito essenziale è che il processo di trattamento del fango sia svolto in modo completo presso l’impianto di depurazione e quindi per essere ulteriormente trattato non dovrà essere assoggettato ad alcun trasporto.

Un eventuale trasporto del fango, da una parte farebbe venire meno il requisito proprio di uno scarico che prevede che il suo trasferimento avvenga esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore e dall’altra, la medesima operazione essendo essa stessa compresa nella gestione di un rifiuto farebbe assoggettare il fango a questa disciplina (art. 183 lett. n)).

In conclusione un fango quindi potrà essere assimilato ad uno scarico quando presenti i seguenti tre requisiti:

  • abbia le caratteristiche, per quanto stabilito dall’articolo 74, comma 1, lettera gg), del D.Lgs. 152/06, delle acque reflue, cioè presenti una componente idrica ed abbia la capacità di rifluire, cioè di fluire in direzione inversa rispetto a quella di origine, cioè in generale mantenga la capacità di fluire;
  • sia tale, per quanto stabilito dall’articolo 74, comma 1, lettera ff), del D.Lgs. 152/06, da poter essere trasferibile tramite un sistema stabile di collettamento, senza soluzione di continuità cioè senza che sia necessario un deposito o un trasporto con un mezzo diverso dal collettamento, ad esempio su gomma mediante autobotte;
  • sia assoggettabile, per quanto stabilito dal comma 1, lett. a) dell’articolo 185 del D.Lgs. 152/06, alla disciplina delle acque di cui alla parte III del D.Lgs. 152/06, che prevede che possa essere sottoposto a preventivo trattamento di depurazione tale da condurlo al rispetto dei limiti dello stesso D.Lgs. per le acque di scarico.

Non potrà perciò, ad esempio, rientrare in questo tipo di trattamento la digestione anaerobica del fango che non può considerarsi uno stadio del ciclo di depurazione delle acque finalizzata a ricondurle al rispetto dei limiti tabellari previsti per gli scarichi, ma un trattamento per stabilizzare il fango stesso e renderlo compatibile ai fini dello smaltimento o ai fini del recupero di energia mediante produzione di biogas, un trattamento, quindi, facente parte della gestione di rifiuti.

Nel caso non sussista anche uno solo di questi tre requisiti il fango non potrà essere assimilato ad uno scarico, in quanto sia le sue caratteristiche, sia la necessità di trasporto, sia la impossibilità di una sua depurazione per condurlo al rispetto dei limiti tabellari, dimostrano che si è pervenuti allo stadio finale del complessivo processo di trattamento effettuato sugli scarichi in un impianto di depurazione ed è stato quindi raggiunto il momento in cui ai fanghi deve applicarsi la disciplina dei rifiuti.

Infatti, ad esempio, un fango essiccato e disidratato, quindi privo della componente idrica, non sarà più in grado di fluire a meno che non sia sottoposto ad un passaggio di stato fisico mediante un processo di gestione, non utile però al raggiungimento dei limiti previsti per gli scarichi e quindi rientrante a pieno titolo nella gestione dei rifiuti.

Le sentenze

Le diverse sentenze emesse nel tempo, facendo riferimento ad elementi differenti, sono pervenute anche a conclusioni contrastanti tra di loro, con una netta difformità decisionale in merito all’individuazione della circostanza nella quale i fanghi provenienti dalla depurazione degli scarichi non siano più assoggettabili alla disciplina degli scarichi ma a quella dei rifiuti.

Infatti, la Suprema Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 36096 del 5 ottobre 2011 ha rilevato che, se manca il trattamento finalizzato allo smaltimento e/o riutilizzo, ovvero quando tale procedura è svolta in luogo diverso dall’impianto di depurazione o in modo incompleto, inappropriato o fittizio, i fanghi derivanti dalla depurazione di acque reflue devono considerarsi rifiuti.

La medesima sentenza ha evidenziato che le modifiche apportate all’articolo 127 nell’attuale stesura, ha fornito una ulteriore indicazione per stabilire il momento in cui la disciplina dei rifiuti deve applicarsi ai fanghi, spostando tale momento al temine del complessivo processo di trattamento effettuato nell’impianto di depurazione e finalizzato a predisporre i fanghi medesimi per la destinazione finale -smaltimento o riutilizzo-.

Con tale precisazione si determina non solo che è fondamentale individuare il momento conclusivo di tale trattamento, ma anche che la disciplina sui rifiuti è applicabile in tutti i casi in cui il trattamento non venga effettuato o venga effettuato in luogo diverso dall’impianto di depurazione o in modo incompleto, inappropriato o fittizio.

Viene evidenziato tuttavia che, poiché la procedura di trattamento dei fanghi dipende da molti fattori, l’esame del processo depurativo non è particolarmente utile. Infatti, sebbene possa certamente ritenersi che alcune operazioni riguardanti i fanghi, quali, ad esempio, l’ispessimento, la disidratazione, l’essiccazione rientrino senz’altro nella fase finale del complessivo ciclo di depurazione, il momento dell’effettivo completamento del processo depurativo può però dipendere da fattori diversi, dalle effettive modalità di gestione dell’impianto o da altri comportamenti specifici come, ad esempio, quando l’essiccamento avvenga con l’ausilio di specifiche attrezzature ovvero mediante semplice deposito nei letti di essiccamento, se questo avvenga all’aperto o al coperto, con l’esposizione o meno agli agenti atmosferici. Per determinare un momento finale adeguato e certo è pertanto necessaria una verifica concreta della natura dei fanghi e delle modalità di trattamento degli stessi.

Comunque, secondo la sentenza, la mancanza di operazioni di scarico dei rifiuti nell’apposito registro, la presenza di vegetazione sui fanghi ed il prolungato tempo di permanenza degli stessi nelle vasche di essicazione, costituiscono elementi fattuali che dimostrano l’omesso trattamento dei fanghi.

Diversamente, il Consiglio di Stato Sez. IV, con la Sentenza n.1685 del 17 febbraio 2023, sottolineava come “…l’inciso di cui all’art. 127 (“ove applicabile e alla fine del complessivo processo di trattamento effettuato nell’impianto”) … non esclude che i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue… possano essere sottoposti alla disciplina dei rifiuti ancor prima della fine del complessivo processo di trattamento effettuato all’interno dell’impianto di depurazione.

Pertanto non vi è alcun limite temporale per la sottoposizione dei fanghi alla disciplina dei rifiuti, né essa è applicabile solamente quando il trattamento non venga effettuato prima, ovvero venga effettuato in un impianto diverso da quello di depurazione.

Anche l’Ordinanza del Consiglio di Stato n. 01716/2024 del 19.05.2024 diversamente da quanto rilevato dalla Corte di Cassazione, ha concluso che: i fanghi prodotti nell’ambito dell’attività di depurazione dei reflui possono essere sottoposti alla disciplina dei rifiuti solo una volta completato il processo di trattamento, ovvero se il produttore abbia necessità di disfarsene, sì che il recupero dei fanghi presso impianti di depurazione più grandi e avanzati deve ritenersi consentito.

Nelle sentenze quindi si è fatto riferimento allo stato di “palabilità” dei fanghi, al periodo di tempo nel quale i fanghi permanevano depositati nel medesimo sito, presso l’impianto di depurazione nel quale erano stati generati, alle condizioni in cui essi versavano o se abbandonati come deposito incontrollato, sulla qualifica del deposito effettuato, se deposito temporaneo o deposito preliminare, in relazione ai limiti temporali imposti dalla legge, a seconda che venisse o meno presentato un titolo abilitativo per realizzarlo, considerando che l’onere della prova grava sul produttore dei rifiuti per la natura eccezionale e derogatoria del deposito temporaneo rispetto alla disciplina ordinaria.

In altri casi, per stabilire se il fango presente presso un depuratore dovesse essere assoggettato alla disciplina dei rifiuti si è fatto riferimento alla presenza o meno di idonea documentazione comprovante l’avvenuto lecito smaltimento ed a quanto giustificato dai documenti amministrativi, quali registrazioni dei fanghi nel registro di carico e scarico e la classificazione come rifiuti mediante l’assegnazione dei codici EER.

Conclusioni

In conclusione quindi nelle sentenze citate per stabilire se un fango sia o meno da assoggettare alla disciplina degli scarichi o a quella dei rifiuti si è fatto riferimento ad indizi diversi e disparati, ma in esse non è stata individuata una condizione certa a cui riferirsi, per stabilire inequivocabilmente se la disciplina da adottare sia quella dei rifiuti o quella degli scarichi, fermo restando comunque che, in ogni caso, il gestore del depuratore doveva disfarsi di essi.

Di fatto quindi permane tuttora il dubbio quando ad un fango di depurazione non sia più applicabile la disciplina delle acque ma si debba invece applicare quella sui rifiuti.

In una tale situazione si ritiene utile ed inoppugnabile fare riferimento alla norma del Dlgs 152/2006 che stabilisce quali siano i rifiuti che in quanto tali debbono essere assoggettati alla specifica normativa che li disciplina e che individua le specifiche condizioni per le quali si possa derogare dalla stessa.

In proposito, si deve ricordare che l’articolo 185 lett. a) del D.Lgs. 152/06, prevede tra le altre esclusioni che:” le acque di scarico” restano escluse dalla disciplina dei rifiuti contenuta nella parte IV del D.Lgs. 152/06 in quanto già regolamentate dalla parte III del medesimo D.Lgs. pertanto anche un fango per essere escluso dai rifiuti dovrà essere qualificabile come scarico, e dovrà quindi rispettare gli stessi requisiti sopra evidenziati previsti dalla parte III del D.Lgs. 152/06.

In estrema sintesi, un fango per essere assoggettato alla disciplina degli scarichi dovrà risultare conforme al combinato disposto dell’articolo 185 lett. a) e dell’articolo 127 comma primo del Dlgs 152/2006.

Nelle diverse sentenze sopra citate non viene però mai fatto riferimento all’ articolo 185 lett. a), sebbene questa sia la norma che definisce quando gli scarichi sono esclusi dalla disciplina di rifiuti, e che di converso stabilisce quindi anche quando questi, e con essi anche i fanghi, restano assoggettati alla disciplina delle acque.

Considerato quanto sopra, si ritiene che la individuazione del momento in cui la gestione di un fango di depurazione sia soggetta alla disciplina dei rifiuti rispetto a quella delle acque, è riconducibile di fatto alla verifica di quando esso possa essere qualificato o meno come scarico.

Tale accertamento, come già evidenziato, sarà semplicemente riconducibile alla verifica del rispetto di tre condizioni:

  • il fango per le sue caratteristiche può qualificarsi come uno scarico;
  • il fango è assoggettabile alla disciplina delle acque prevista nella parte III del D.Lgs 152/06;
  • il fango può essere trasferito tramite un sistema di collettamento.

Se anche una sola di queste tre condizioni non risulterà soddisfatta si potrà concludere che il fango di depurazione non è più assoggettabile alla disciplina delle acque ma è da assoggettare alla disciplina dei rifiuti.

Pertanto, gli altri indici presi in considerazione dalle sentenze citate:

  • il tempo di permanenza dei fanghi presso il depuratore
  • lo stato dei fanghi presenti in deposito ed in particolare la loro palabilità
  • lo stadio del processo depurativo da cui i fanghi sono stati prodotti
  • le condizioni delle vasche di deposito dei fanghi
  • se per disfarsene siano stati destinati al recupero o allo smaltimento
  • se sono stati destinati ad un ulteriore trattamento presso altro impianto di depurazione
  • se il trattamento a cui sono destinati i fanghi è finalizzato o meno al rispetto dei limiti tabellari previsti per gli scarichi
  • se i fanghi per essere ulteriormente trattati necessitano di essere trasportati altrove
  • la presenza di documentazione comprovante le modalità di gestione dei fanghi
  • il rispetto dei limiti temporali imposti dalla legge per il deposito temporaneo
  • se la modalità di trattamento dei fanghi sia adeguata e tecnicamente corretta
  • se la collocazione dei letti di essiccamento li renda parte integrante dell’impianto

considerando il risultato della verifica delle tre condizioni suddette, saranno quindi del tutto irrilevanti ai fini di stabilire se un fango sia da assoggettare alla disciplina degli scarichi o a quella dei rifiuti, e eventualmente potranno essere solo di ausilio per determinare in concreto le suddette condizioni.

Copyright: gli articoli pubblicati sul sito sono utilizzabili nei limiti e per le finalità del fair use e dell'art. 70 L.663/1941, rispettando le modalità di citazione "APA style" per i giornali on line [Autore. Data di pubblicazione. Titolo. Disponibile in: https://unaltroambiente.it/]