La pesca abusiva e i delitti di inquinamento e disastro ambientale
di Gianfranco Amendola
PREMESSA
Purtroppo appare sempre più evidente che, quando si tratta di utilizzare lo strumento penale a tutela dell’ambiente, il ricorso alle ipotesi contravvenzionali previste dal TUA (D. Lgs. 152/06) spesso si rivela un’arma inefficace neutralizzata dalla prescrizione. Restano, per i casi più gravi, i delitti introdotti (quasi tutti) dalla legge n. 68 del 2015 che, tuttavia, risentono di diversi difetti “originari” e che richiedono una specializzazione e un ausilio tecnico difficilmente riscontrabili specie se si tiene conto della immensa mole di lavoro che oggi grava su molti uffici giudiziari. Ci sono alcune fattispecie dei nuovi delitti che, addirittura, non risultano mai contestate. Ed in Cassazione arrivano solo pochi procedimenti, relativi solo a misure cautelari e quasi esclusivamente, solo per i delitti di traffico illecito di rifiuti, inquinamento e disastro ambientale.
È per questo che deve essere vista con interesse una recentissima iniziativa organizzata a Roma nella sede del Parlamento europeo sui “crimini contro la natura”, organizzata, su impulso comunitario, da WWF e Scuola Superiore della Magistratura con la partecipazione di molti magistrati e rappresentanti della p.g..
Uno degli argomenti trattati riguardava il contrasto alla pesca abusiva con una tavola rotonda incentrata sulla applicabilità, in questo settore, dei delitti, appunto, di inquinamento e disastro ambientale, anche richiamando direttamente alcuni casi realmente verificatisi.
I delitti di inquinamento e disastro ambientale
In proposito, converrà prendere le mosse proprio da queste fattispecie, di cui riportiamo la parte che interessa in questa sede1.
Art. 452-bis c.p. (Inquinamento ambientale)
È punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 10.000 a euro 100.000 chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili:
1) delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo;
2) di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna.
Quando l’inquinamento è prodotto in un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette, la pena è aumentata.
Art. 452-quater c.p. (Disastro ambientale)
Fuori dai casi previsti dall’articolo 434, chiunque abusivamente cagiona un disastro ambientale è punito con la reclusione da cinque a quindici anni.
Costituiscono disastro ambientale alternativamente:
1) l’alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema;
2) l’alterazione dell’equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali;
3) l’offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l’estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo.
Quando il disastro e’ prodotto in un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette, la pena e’ aumentata.
Come appare evidente, trattasi di fattispecie che possono essere lette in molti modi, specie quando si tratta di interpretare termini quali “deterioramento”, “alterazione”, “irreversibile”, “biodiversità”, “ecosistema” ecc. E, pertanto, è opportuno riportare subito, anche se succintamente, alcune sentenze della suprema Corte che appaiono rilevanti proprio con riferimento alla pesca abusiva.
Cass. Pen., Sez. 3, 27 ottobre 2016- 3 marzo 2017, n. 10515, Sorvillo
Il deterioramento, in particolare, è configurabile quando la cosa che ne costituisce l’oggetto sia ridotta in uno stato tale da rendere necessaria, per il ripristino, una attività non agevole (Sez. 2, n. 20930 del 22/02/2012, Di Leo, Rv. 252823) ovvero quando la condotta produce una modificazione della cosa altrui che ne diminuisce in modo apprezzabile il valore o ne impedisce anche parzialmente l’uso, così dando luogo alla necessità di un intervento ripristinatorio dell’essenza e della funzionalità della cosa stessa (Sez. 2, n. 28793 del 16/06/2005, Cazzulo, Rv. 232006; Sez. 5, n. 38574 del 21/05/2014, Ellero, Rv. 262220).
La compromissione, termine, come visto, indifferentemente utilizzato nel linguaggio giuridico per descrivere un modo di essere o di manifestarsi del deterioramento stesso, coglie del danno non la sua maggiore o minore gravità bensì l’aspetto funzionale perché evoca un concetto di relazione tra l’uomo e i bisogni o gli interessi che la cosa deve soddisfare; deterioramento e compromissione sono le due facce della stessa medaglia, sicché è evidente che l’endiadi utilizzata dal legislatore intende coprire ogni possibile forma di “danneggiamento” – strutturale ovvero funzionale – delle acque, dell’aria, del suolo o del sottosuolo.
Il fatto che, ai fini del reato di “inquinamento ambientale” non è richiesta la tendenziale irreversibilità del danno comporta che fin quando tale irreversibilità non si verifica anche le condotte poste in essere successivamente all’iniziale deterioramento o compromissione non costituiscono “post factum” non punibile (nel senso che «le plurime immissioni di sostanze inquinanti nei corsi d’acqua, successive alla prima, non costituiscono un post factum penalmente irrilevante, ne’ singole ed autonome azioni costituenti altrettanti reati di danneggiamento, bensì singoli atti di un’unica azione lesiva che spostano in avanti la cessazione della consumazione). E’ dunque possibile deteriorare e compromettere quel che lo è già, fino a quando la compromissione o il deterioramento diventano irreversibili o comportano una delle conseguenze tipiche previste.
ID., 21 settembre- 3 novembre 2016, n. 46170, Simonelli
Da ciò consegue che non assume rilievo l’eventuale reversibilità del fenomeno inquinante, se non come uno degli elementi di distinzione tra il delitto in esame e quello, più severamente punito, del disastro ambientale di cui all’art. 452-quater cod. pen.
ID., 21 giugno 2018 (Ud 27 apr 2018), n. 28732, Melillo
Ai fini dell’accertamento del reato di inquinamento ambientale la verifica della sussistenza dei requisiti della compromissione o del deterioramento non richiede necessariamente l’espletamento di accertamenti tecnici specifici
ID, 3 luglio 2018 (Cc 18 giu 2018) , n. 29901, Nicolazzi
Nei delitti contro l’ambiente il legislatore ha inteso riferirsi alla più ampia accezione di ambiente, quella cosiddetta unitaria, non limitata da un esclusivo riferimento agli aspetti naturali, ma estesa anche alle conseguenze dell’intervento umano, ponendo in evidenza la correlazione tra l’aspetto puramente ambientale e quello culturale, considerando quindi non soltanto l’ambiente nella sua connotazione originaria e prettamente naturale, ma anche l’ambiente inteso come risultato anche delle trasformazioni operate dall’uomo e meritevoli di tutela
ID., 5 luglio 2019 (CC 11 gen 2019) n. 29417, Rendina
Quanto ai concetti di «compromissione» e «deterioramento» di cui alla fattispecie in esame, essi consistono in un’alterazione, significativa e misurabile, della originaria consistenza della matrice ambientale o dell’ecosistema, caratterizzata rispettivamente da una condizione di squilibrio funzionale, incidente sui processi naturali correlati alla specificità̀ della matrice o dell’ecosistema medesimi o da una condizione di squilibrio “strutturale”, connesso al decadimento dello stato o della qualità̀ degli stessi; chiarendosi, peraltro, che non assume rilievo l’eventuale reversibilità̀ del fenomeno inquinante, se non come uno degli elementi di distinzione tra il delitto in esame e quello, più severamente punito, del disastro ambientale di cui all’art. 452-quater cod. pen. (Sez. 3, n. 46170 del 21/9/2016, Simonelli, cit.; Sez. 3, n. 28732 del 27/04/2018 Rv. 273565 – 01 Melillo cit. ).
Fino a quando tale irreversibilità eventualmente non si verifichi, le condotte poste in essere successivamente all’iniziale “deterioramento” o “compromissione” del bene non costituiscono “post factum” non punibile, ma integrano singoli atti di un’unica azione lesiva che spostano in avanti la cessazione della consumazione del reato (Sez. 3, n. 10515 del 27/10/2016, Sorvillo cit.).
Il requisito della significatività denota poi incisività e rilevanza della compromissione o deterioramento, mentre deve reputarsi «misurabile» ciò che è quantitativamente apprezzabile o, comunque, oggettivamente rilevabile. L’assenza di espliciti riferimenti a limiti imposti da specifiche disposizioni o a particolari metodiche di analisi consente di escludere l’esistenza di un vincolo assoluto per l’interprete correlato a parametri imposti dalla disciplina di settore, il cui superamento, non implica necessariamente una situazione di danno o di pericolo per l’ambiente, potendosi presentare d’altra parte casi in cui, pur in assenza di limiti imposti normativamente, tale situazione sia di macroscopica evidenza o, comunque, concretamente accertabile (Sez. 3, n. 46170 del 21/9/2016, Simonelli, cit.).
Sul piano poi del fumus del sequestro preventivo è sufficiente accertare il deterioramento significativo o la compromissione come altamente probabili (Sez. 3, n. 52436 del 06/07/2017 Rv. 272842 – 01 Campione)
Vedremo tra poco come questi insegnamenti della Cassazione rilevano ai fini della pesca abusiva ma occorre subito evidenziare che trattasi di sentenze emesse prima della rilevante modifica degli artt. 9 e 41 della Costituzione ad opera della legge n. 1 del 2022, la quale ha aggiunto all’art. 9 che la Repubblica “tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali” e nell’art. 41 che l’iniziativa economica privata non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana, alla salute “ e all’ambiente”.
Ed appare peraltro evidente che oggi queste norme vanno interpretate alla luce di questa importante modifica nel suo complesso, specie quando evidenzia che occorre tutelare, insieme all’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, tenendo conto non solo della situazione attuale ma anche dell’interesse delle future generazioni.
La Cassazione e la pesca illegale
È in questo quadro generale, quindi, che vanno lette alcune sentenze della Cassazione relative a casi in cui, in fase cautelare, sono state applicate, per episodi di pesca illegale le due fattispecie di delitti sopra richiamate.
La prima2 riguarda la pesca di oloturie (cetrioli di mare) in un caso in cui: a) si accertava “la pesca abusiva nei fondali marini tarantini di tonnellate di esemplari di oloturie (note anche come cetriolo di mare), asportando totalmente dai fondali marini attaccati tale specie ittica … e la loro successiva esportazione verso il mercato asiatico, ove vengono commercializzate per fini alimentari, usi medicinali ed impiego nel settore della cosmesi. Soltanto nel periodo gennaio – luglio 2015, risultavano esportate verso Hong Kong … 353.278 Kg di prodotto lavorato, pari ad oltre 2.000.000 di esemplari di oloturie vive, per un controvalore di euro 2.498.000,00”; b) Si acquisiva relazione del C.N.R. – Istituto per l’Ambiente Marino Costiero di Taranto la quale “pur dando atto dell’assenza di studi specifici volti a quantificare il danno causato dall’ecosistema marino dalla pesca incontrollata delle oloturie, concludeva per la concreta possibilità che tale fenomeno possa comportare una grave compromissione della funzionalità dell’ecosistema”, evidenziando “il ruolo svolto dalle oloturie nell’ecosistema, quali “veri e propri ‘biorimediatori naturali’ capaci di fornire un servizio ‘eco friendly’ di depurazione degli inquinanti batterici presenti nell’ambiente marino” e le conseguenze di una loro pesca indiscriminata, “quali la estinzione di una o più specie di oloturie presente in una determinata zona, la conseguente diminuzione della biodiversità …”; c) si ipotizzava, quindi, “un grave danno alla biodiversità presente nei tratti di mare interessati, nonché l’alterazione grave ed irreversibile dell’ecosistema marino”, con contestazione dei delitti sia di inquinamento sia di disastro ambientale; d) In proposito, secondo la Cassazione, “in ogni caso, le argomentazioni sviluppate dai giudici del riesame evidenziano, quanto meno, la sussistenza del fumus del reato di inquinamento ambientale”, aggiungendo che “alla luce di tali considerazioni risulta, conseguentemente, del tutto irrilevante il fatto che le oloturie non siano individuate tra le specie in via di estinzione”; concludendo che “è dunque evidente che il depauperamento della fauna in una determinata zona con una drastica eliminazione degli esemplari ivi esistenti implica una compromissione o un deterioramento, nei termini dianzi specificati, dell’ecosistema, da intendersi, in assenza di specifica definizione, quale equilibrata interazione tra organismi, viventi e non viventi, entro un determinato ambito, ovvero, secondo la definizione datane in un passato non recente dalla giurisprudenza di questa Corte, di «ambiente biologico naturale, comprensivo di tutta la vita vegetale ed animale ed anche degli equilibri tipici di un habitat vivente» (Sez. 3, n. 3147 del 4/2/1993, P.M. in proc. De Lieto, Rv. 19363801) o, quanto meno, della fauna stessa singolarmente intesa”.
La seconda riguarda la pesca di corallo e conclude che “costituisce violazione dell’art. 452-bis cp e giustifica l’applicazione di una misura cautelare personale l’aver cagionato, unitamente ad altri correi, una compromissione e un deterioramento significativi e misurabili dell’ecosistema marino effettuando la pesca abusiva di corallo rosso mediterraneo, in assenza di titolo abilitativo e con modalità vietate, ossia mediante pesca subacquea con uso di bombole e un metodo di raccolta distruttivo, con rottura ed escissione del substrato roccioso”3.
La terza riguarda la pesca di frodo con ordigni esplosivi nel mare di Taranto in un caso in cui la difesa richiedeva si applicasse solo la contravvenzione per pesca vietata; ma la suprema Corte, invece, riteneva sussistere il delitto di disastro ambientale sulla base di una consulenza effettuata dall’Istituto per l’ambiente marino e costiero proprio sul tratto di mare tarantino, da cui emergeva con certezza che le esplosioni avevano provocato danni, diretti e indiretti, all’habitat marino e all’ittiofauna, evidenziando, tra l’altro, che le esplosioni subacquee producono un’onda di pressione che genera danno ai pesci con vescica natatoria, oltre che a uova e larve con alterazione nell’equilibrio tra le specie marine. In particolare “le esplosioni hanno determinato l’alterazione delle caratteristiche della colonna d’acqua sia da un punto di vista fisico, riducendo la penetrazione della luce, sia da un punto di vista chimico con il rilascio di sostanze tossiche. Sui fondali l’energia liberata dall’esplosione provoca la sospensione dei sedimenti con alterazione del fondale e della colonna d’acqua sovrastante. Ciò con perdita di anfratti, cavità utilizzate dalle specie animali con gravi conseguenze ecologiche”.4
La quarta riguarda la pesca di datteri di mare ed evidenzia che “i datteri di mare (Lithopaga lithopaga), possono essere prelevati solo previa distruzione delle rocce in cui gli stessi si annidano; di qui la configurabilità dei reati di cui agli artt. 452-bis e 452-quater cod. pen. Vi è un divieto assoluto di pesca dei c.d. “datteri di mare”, stabilito sia da fonti internazionali – come la Convenzione di Berna del 1982, Annesso II, la Convenzione CITES del 1983, Annesso III, la Direttiva c.d. Habitat 92/43/EEC, Annesso IV, la Convenzione di Barcellona del 1982, Annesso II, l’art. 8 del Regolamento (CE) 1967/2006 del Consiglio del 21 dicembre 2006 – sia da leggi italiane (in particolare, l’art. 7 d.lgs. n. 4 del 2012, nonché il D.m. 16 ottobre 1998)”, aggiungendo che “il profitto del reato deve essere individuato avendo riguardo non tanto e non solo alle operazioni di commercializzazione dei mitili sopra indicati, bensì alle complessive condotte integranti i reati di inquinamento ambientale e di disastro ambientale. Invero, le somme corrisposte dal ricorrente per acquistare i mitili di cui è proibito il commercio costituiscono il compenso versato a chi, per procurarglieli, aveva proceduto alla distruzione dei fondali marini e, quindi, alla materiale esecuzione dei reati di inquinamento ambientale e di disastro ambientale”.5
Per completezza si aggiunge che nella giurisprudenza di merito e nella stampa quotidiana si rinvengono diversi casi relativi alla pesca abusiva di ricci di mare con contestazione del delitto di inquinamento ambientale6.
L’insegnamento conclusivo della suprema corte
Se, a questo punto, mettiamo insieme la giurisprudenza sopra citata sia sulle fattispecie in generale dei due delitti sia con specifico riferimento ai casi di pesca illegale, se ne può ricavare un utile vademecum.
In conclusione, cioè, secondo la giurisprudenza:
- Il concetto di condotta abusiva richiesta per la configurabilità dei delitti di inquinamento o disastro ambientale è ampio e comprende sia l’esercizio di attività di pesca posta in essere in violazione di leggi statali o regionali, ancorché non strettamente pertinenti al settore ambientale ma anche di prescrizioni amministrative; sia quella che, seppure non vietata, viene effettuata con mezzi vietati o da soggetti privi dei necessari titoli abilitativi.
- L’eventuale concorso di norme (con i delitti) viene risolto ai sensi dell’art. 8 D. Lgs n. 4/2012 (riassetto normativa pesca) secondo cui le contravvenzioni vengono sanzionate “salvo che il fatto costituisca più grave reato”.
- La compromissione e il deterioramento, di cui al delitto di inquinamento ambientale previsto dall’art. 452 bis cod. pen., consistono in un’alterazione, significativa e misurabile, dell’originaria consistenza della matrice ambientale o dell’ecosistema, caratterizzata, nel caso della “compromissione”, da una condizione di squilibrio funzionale, incidente sui processi naturali correlati alla specificità della matrice o dell’ecosistema medesimi e, nel caso del “deterioramento”, da una condizione di squilibrio strutturale, connesso al decadimento dello stato o della qualità degli stessi.
- Il depauperamento della fauna in una determinata zona con una drastica eliminazione degli esemplari ivi esistenti implica una compromissione o un deterioramento dell’ecosistema…La Cassazione ha ritenuto rilevanti in proposito la quantità del pescato, la diffusione del fenomeno ed il significativo spostamento dei pescatori dalle zone storicamente frequentate, documentato dalle annotazioni di polizia giudiziaria e dalle attività di diretta osservazione.
- Non assume rilievo l‘eventuale reversibilità̀ del fenomeno inquinante, se non come uno degli elementi di distinzione tra il delitto in esame e quello, più severamente punito, del disastro ambientale. Fin quando tale irreversibilità non si verifica anche le condotte poste in essere successivamente all’iniziale deterioramento o compromissione non costituiscono “post factum” non punibile ma integrano singoli atti di un’unica azione lesiva che spostano in avanti la cessazione della consumazione del reato.
- Non è necessario che il fatto riguardi specie in via di estinzione
- Non è necessaria una formale perizia (v. punto 4).
- Per “ecosistema” si intende una equilibrata interazione tra organismi, viventi e non viventi, entro un determinato ambito, ovvero, secondo la definizione datane in un passato non recente dalla giurisprudenza della Corte, di «ambiente biologico naturale, comprensivo di tutta la vita vegetale ed animale ed anche degli equilibri tipici di un habitat vivente» (Sez. 3, n. 3147 del 4/2/1993, P.M. in proc. De Lieto, Rv. 19363801) o, quanto meno, della fauna stessa singolarmente intesa.
- Il profitto del reato deve essere individuato avendo riguardo non tanto e non solo alle operazioni di commercializzazione dei mitili sopra indicati, bensì alle complessive condotte integranti i reati di inquinamento ambientale e di disastro ambientale.
- In dottrina, anche per richiami e citazioni, si rinvia per tutti a GALANTI, I delitti contro l’ambiente, Pisa 2021, e al Codice dell’ambiente a cura di NESPOR e RAMACCI, Milano 2022. Da ultimo, ci permettiamo di segnalare anche il nostro Diritto penale ambientale, Pisa 2022↩︎
- Cass. Pen., Sez. 3, n.18934 del 20 aprile 2017 (ud. 15 mar 2017), Catapano↩︎
- Cass. Pen., Sez. 3 n. 9080 del 6 marzo 2020 (cc. 30 gen 2019), Coscia. Cfr. anche ID., 30 gennaio- 23 marzo 2020, n. 10469 in www.ambientediritto.it (pesca abusiva in area protetta (Punta Campanella) di 700 grammi di corallo rosso, specie in via di estinzione)↩︎
- Cass. Pen., Sez. 1, n. 176469 del 9 giugno 2020. Cfr. anche ID, n. 32495 del 29 aprile 2021.↩︎
- e pertanto “correttamente l’ordinanza impugnata ha confermato il provvedimento di sequestro a fini di confisca dell’intero ricavato della vendita dei datteri di mare”: Cass. Pen., Sez. 3, n. 40325 del 9 novembre 2021 (cc. 5 ott 2021), Amato↩︎
- Per un caso ove, però, per la pesca con imbarcazione a motore in area protetta, avente ad oggetto 1.800 esemplari di ricci di mare erano state contestate solo fattispecie contravvenzionali, cfr. Cass. Pen., Sez. 3, 21 giugno 2018, n. 28736, in www.ambientediritto.it, la quale ha stabilito che “l’art. 30, comma 3 della legge 394/1991 non limita né preclude in nessun caso la possibilità di procedere al sequestro preventivo nei casi previsti dall’art. 321 cod. proc. pen.. Lo stesso articolo 30, c.3 L. 394/1991, stabilisce che, in caso di violazioni costituenti ipotesi di reati perseguiti ai sensi degli articoli 733 e 734 del codice penale, può essere disposto dal giudice o, in caso di flagranza, per evitare l’aggravamento o la continuazione del reato, dagli addetti alla sorveglianza dell’area protetta, il sequestro di quanto adoperato per commettere gli illeciti ad essi relativi. Tale esplicito richiamo costituisce evidente conferma della possibilità del concorso tra i reati sanzionati dalla legge quadro e le due contravvenzioni contenute nel codice penale, ma, nel disciplinare i poteri di natura cautelare, non ne limita affatto l’esercizio a queste sole ipotesi”. ↩︎