G.Amendola Inquinamento da navi la Corte dei Conti Europea denuncia che “siamo ancora in cattive acque”

Inquinamento da navi: la Corte dei Conti Europea denuncia che “siamo ancora in cattive acque”

di Gianfranco Amendola

C’è un inquinamento di cui non si parla quasi mai nonostante provochi danni gravissimi ai nostri mari ed alle nostre zone costiere. Si tratta dell’inquinamento marino provocato dalle navi, su cui opportunamente in questi giorni, nell’indifferenza generale, la Corte dei Conti europea ha acceso un faro con una importante relazione speciale (n. 6/2025 del 4 marzo 2025) di 64 pagine, intitolata significativamente “Ancora in cattive acque”.

Ed infatti, nella premessa si evidenzia che l’ambizione dell’UE è di ottenere un “inquinamento zero” delle acque entro il 2030, ma si aggiunge subito dopo che si tratta di un obiettivo praticamente irrealizzabile, non tanto per mancanza di leggi, convenzioni e direttive (che ci sono e vengono tutte citate), ma soprattutto perché vi sono gravissime carenze di attuazione da parte degli Stati membri.

Vale la pena di leggerla integralmente ma, tanto per avere una idea, si possono sintetizzare alcuni punti particolarmente significativi:

  1. Perdita di container in mare.

Spesso i container trasportati dalle navi vengono persi in mare a causa di uno stoccaggio inadeguato, incidenti o condizioni meteorologiche avverse; ma, una volta persi, possono essere una fonte di inquinamento, ad esempio se rilasciano sostanze pericolose o pellet di plastica in mare. Secondo la normativa comunitaria, il comandante della nave dovrebbe segnalare immediatamente la perdita allo Stato costiero interessato e alle autorità europee; ma ben pochi lo fanno. Così come molto pochi sono i container perduti che vengono recuperati. Le autorità francesi hanno stimato che dei 1200 container persi nelle zone dell’Atlantico e della Manica/Mare del Nord tra il 2003 e il 2014, solo 49 sono stati recuperati, pari a circa il 4 %. E, per quanto riguarda i pellet di plastica, nel 2019 e nel 2020 sono state perse due spedizioni che hanno comportato il rilascio, rispettivamente, di 550 milioni di pellet (11 tonnellate) e di 650 milioni di pellet (13 tonnellate) nel Mare del Nord; senza alcun recupero.

  1. Abbandono di relitti

La Corte UE evidenzia che i relitti da naufragio nei mari dell’UE (navi da guerra, navi da carico, petroliere, chimichiere o pescherecci) sono tutti potenziali fonti di inquinamento in quanto contengono sostanze chimiche e olio combustibile pesante che possono essere gradualmente rilasciati nell’ambiente marino. In proposito, si stima che almeno 100 degli 8.000-10.000 relitti nel Mar Baltico non sono sicuri perché contengono carburante o sostanze pericolose e perché si trovano a meno di 10 miglia nautiche dalla costa. Dal canto loro, le autorità tedesche stimano che vi siano circa 1 000 relitti nel Mare del Nord tedesco e 500 nel Mar Baltico tedesco, del cui carico e contenuto non sono a conoscenza; mentre in Francia, si dispone di un elenco di 4.700 relitti di oltre 40 metri di lunghezza che sono stati messi in servizio dopo il 1914 e si trovano nella zona economica esclusiva della Francia continentale e d’oltremare.

  1. Scarico di munizioni

Nel mar Baltico dal 1946 sono state scaricate 40 000 tonnellate di munizioni chimiche mentre le autorità tedesche stimano che nei loro mari vi siano 1,6 milioni di tonnellate di munizioni convenzionali e circa 5 100 tonnellate di munizioni chimiche. Trattasi di scarico vietato ma ben pochi paesi lo rispettano.

  1. Tenore di zolfo nel combustibile delle navi

La relazione evidenzia, in proposito, che la norma più rigorosa in materia di tenore di zolfo per i combustibili delle navi (0,1 %) è di ben 100 volte meno rigorosa di quella, in vigore nell’UE dal 2009, per il diesel da autotrazione e la benzina (0,001 %).

  1. Sversamento di idrocarburi in mare

Secondo la relazione, non si tratta solo di incidenti ma la maggior parte dell’inquinamento da sversamento di idrocarburi proviene da scarichi deliberati, come le operazioni di pulizia delle cisterne e gli scarichi di rifiuti. La valutazione d’impatto ha inoltre evidenziato notevoli lacune nelle informazioni sull’inquinamento da idrocarburi provocato dalle navi in tutta l’UE.

  1. Impianti portuali di raccolta di rifiuti

La direttiva PRF impone agli Stati membri di istituire adeguati impianti portuali di raccolta per i diversi tipi di rifiuti prodotti dalle navi. Le navi devono smaltire tutti i rifiuti prima di lasciare il porto, e gli Stati membri dovrebbero controllare almeno il 15% delle navi; ma ciò avviene raramente.

Dal 2007 opera un servizio satellitare europeo di monitoraggio degli idrocarburi per la sorveglianza e il controllo precoce di possibili incidenti di inquinamento e l’identificazione della nave che potrebbe esserne responsabile, che ha portato ad individuare nel 2023 un totale di 5088 possibili sversamenti all’interno delle zone economiche esclusive. Ma nel periodo 2022-2023 gli Stati membri hanno controllato meno della metà delle segnalazioni, confermando l’inquinamento solo nel 7 % dei casi.

  1. Rifiuti in mare prodotti dalle navi

Poco si sa sulla quantità di rifiuti in mare prodotti dalle navi. Secondo le stime dell’Agenzia europea dell’ambiente, l’80 % dei rifiuti marini proviene dalla terra e il 20 % dal mare. Si stima, inoltre, nel 16 % la percentuale di rifiuti provenienti da attività marittime trovata sulle spiagge dell’UE, in cui rientrano un 11,2 % di rifiuti provenienti da “pesca e maricoltura” e un 1,8 % originato dal “trasporto marittimo”. Tuttavia -aggiunge la relazione- “le informazioni disponibili sui rifiuti marini e sui contaminanti sono spesso incomplete o non aggiornate”.

  1. Conclusioni e raccomandazioni

In conclusione, dalla relazione non emerge certamente un quadro soddisfacente. Secondo quanto disposto dalla direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino del 2008, gli Stati membri avrebbero dovuto definire strategie e misure coordinate a livello regionale per valutare, gestire e ridurre l’impatto delle attività umane sull’ambiente marino, compreso l’inquinamento provocato dalle navi; istituendo, altresì, programmi di monitoraggio per la valutazione dello stato ecologico delle loro acque marine, e notificando i risultati alla Commissione. Ciò è avvenuto solo in minima parte e pertanto, secondo la Corte dei Conti UE, la Commissione dovrebbe sollecitare gli Stati membri ad attuare quanto previsto dalla normativa; in particolare dovrebbe entro il 2027 migliorare il funzionamento e l’efficacia degli strumenti di allerta anti-inquinamento dell’EMS; con l’assistenza dell’EMSA; entro il 2028 dovrebbe migliorare il modo in cui gli Stati membri riferiscono in merito a come assolvono gli obblighi previsti dalle direttive dell’UE di effettuare controlli e comminare sanzioni amministrative o penali, ad esempio fissando scadenze e formati di rendicontazione, nonché indicatori…; ed entro il 2027 dovrebbe migliorare l’armonizzazione del monitoraggio e della rendicontazione dei contaminanti e dei rifiuti marini, sia tra gli Stati membri che a favore della Commissione.

Resta solo da aggiungere che la Commissione U.E., con un proprio documento, ha immediatamente risposto a queste sollecitazioni, riconoscendo che “dopo anni di progressi verso il conseguimento dei suoi ambiziosi obiettivi in materia di prevenzione dell’inquinamento dell’ambiente marino attraverso la direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino, sono necessari ulteriori sforzi e metodi per contrastare l’inquinamento marino provocato dalle navi”. E pertanto ha già accolto queste raccomandazioni, dettagliando minuziosamente per ciascun argomento quello che sta facendo e quello che si propone di fare evidenziando, in particolare, che “il patto europeo per gli oceani garantirà la coerenza in tutti i settori strategici connessi agli oceani. Esso si concentrerà sul sostegno alla resilienza e alla salute degli oceani e delle zone costiere, sulla promozione dell’economia blu, sulla gestione coerente dell’uso dei nostri mari e oceani e sullo sviluppo di un’agenda globale per la conoscenza, l’innovazione e gli investimenti in ambito marino” aggiungendo che si propone di ottenere che “l’Organizzazione marittima internazionale (IMO) approvi misure ambiziose, ad esempio per quanto riguarda i pellet di plastica provenienti dai container dispersi, le acque di scarico e i residui dei sistemi di depurazione dei gas di scarico o le procedure di prelavaggio per le navi cisterna per prodotti chimici”.

Staremo a vedere ma, francamente, abbiamo fondati dubbi che qualcosa cambierà a breve, specie adesso che sta trionfando la convinzione che la tutela dell’ambiente può essere attuata solo se “sostenibile” per le esigenze economiche ed il mercato, che diventa il vero termine cui rapportarsi.

Siamo proprio in cattive acque!

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