Direttiva Seveso e riflessi sulla normativa dei rifiuti. Sentenza TAR Marche

TAR Marche
Sentenza 23 giugno 2021, n. 498

(Sentenza appellata al Consiglio di Stato e da questo rinviata alla Corte di Giustizia UE in data 25 gennaio 2022 con sentenza non definitiva)

L’art. 3, n. 12, della direttiva così definisce la nozione di “presenza di sostanze pericolose”: “la presenza, reale o prevista, di sostanze pericolose nello stabilimento, oppure di sostanze pericolose che è ragionevole prevedere che possano essere generate, in caso di perdita del controllo dei processi, comprese le attività di deposito, in un impianto in seno allo stabilimento, in quantità pari o superiori alle quantità limite previste nella parte 1 o nella parte 2 dell’allegato I”;

  • per comprendere meglio la ratio della disposizione, è utile raffrontarla con quanto prevedeva l’omologo art. 3, n. 4), della previgente direttiva 96/82/CE, secondo cui per “sostanze pericolose” si intende “le sostanze, miscele o preparazioni elencate nell’allegato I, parte 1, o rispondenti ai criteri fissati nell’allegato I, parte 2, che sono presenti come materie prime, prodotti, sottoprodotti, residui o prodotti intermedi, ivi comprese quelle che possono ragionevolmente ritenersi generate in caso di incidente”;
  • come si può vedere, la norma previgente parlava unicamente di materie prime, prodotti, etc., “…presenti…” nell’impianto, aggiungendo comunque che bisognava considerare anche le sostanze pericolose che si possono verosimilmente produrre in caso di incidente (ad esempio le miscele gassose derivanti dalla combustione di materiali infiammabili). La direttiva attualmente in vigore, in un’ottica di rafforzamento della prevenzione, ha incisivamente modificato la definizione, parlando di “…presenza, reale o prevista, di sostanze pericolose nello stabilimento…” (e confermando comunque che nel conteggio vanno considerate anche le sostanze pericolose che si possono sprigionare a seguito di eventi straordinari, non necessariamente qualificabili come incidenti rilevanti, ma anche come semplice perdita di controllo dei processi produttivi). Va aggiunto che il concetto è ribadito anche dall’allegato I, nota n. 3, alla direttiva, laddove si dice che “Le quantità da prendere in considerazione ai fini dell’applicazione degli articoli sono le quantità massime che sono o possono essere presenti in qualsiasi momento”.
    …non esiste una definizione normativa di presenza “…prevista…” (mentre per “presenza reale” si intende l’accertata presenza nell’impianto, in un dato momento, di sostanze pericolose in quantità superiori alla soglia inferiore di cui all’art. 3, n. 2, della direttiva n. 18 del 2012, il che, come si dirà infra, è rilevante nella specie), per cui a questo riguardo non può che farsi riferimento all’unico provvedimento che attesta ufficialmente la capacità dell’impianto, ossia l’A.I.A. o un analogo provvedimento autorizzativo
    …non si comprende l’utilità per il gestore di introdurre una procedura interna finalizzata a fare in modo che nell’impianto non si attinga mai la soglia inferiore rilevanti ai fini della normativa Seveso, soprattutto se si comparano gli effetti di una tale misura con quelli che si avrebbero a seguito della riduzione “fisica” della capacità ricettiva (ossia la soluzione ritenuta praticabile dal C.T.R.). Infatti, disporre di un impianto dotato di una certa capacità ricettiva e doverlo comunque sottoutilizzare costantemente per non entrare nel campo di applicazione del D.Lgs. n. 105/2015, produce alla fin fine lo stesso risultato del confinamento “fisico”, ossia la permanente riduzione della capacità dell’impianto.
    In ogni caso, in nessun punto della direttiva 2012/18/UE vi è un qualsivoglia accenno alla possibilità che la individuazione dei quantitativi “previsti” di sostanze pericolose sia affidata all’autodeterminazione del gestore, sia pure attraverso procedure informatizzate, per cui, come si è già detto, in assenza di regole certe ed uniformi (che possono essere introdotte solo dal legislatore, comunitario o nazionale), allo stato attuale il principio di precauzione osta ad una tale fuga in avanti che, fra l’altro, avrebbe origine solo pretoria.
    Il Tribunale non ritiene che sussistano i presupposti per investire la Corte di Giustizia UE della questione, atteso che:
  • come si è ampiamente evidenziato supra, le pertinenti disposizioni della direttiva 2012/18/UE presentano una formulazione chiara ed univoca, ergo non sussiste alcuna questione interpretativa che richieda l’autorevole avallo della Corte;
  • in ogni caso, non esiste al momento attuale una prassi nazionale consolidata di cui occorre verificare la compatibilità con la direttiva. La prassi a cui si richiama la ricorrente, infatti, non esiste (perché non si è a conoscenza di provvedimenti autorizzativi rilasciati, a seguito del parere del Coordinamento Nazionale, in favore di gestori in precedenza non soggetti agli obblighi di cui al D.Lgs. n. 105/2015 e che ne siano stati formalmente esentati in ragione dell’implementazione di procedure interne finalizzate ad evitare l’ingresso nei rispettivi impianti di sostanze pericolose in quantitativi tali da integrare la soglia inferiore) e comunque non sarebbe consolidata;
  • l’esigenza del rinvio pregiudiziale insorgerebbe solo nel momento in cui un soggetto terzo impugnasse un provvedimento autorizzativo che, in base al parere del Coordinamento Nazionale, abbia esonerato un gestore dagli obblighi di cui al D.Lgs. n. 105/2015.

TAR Marche Sez. I n. 498 del 23 giugno 2021
Pubblicato il 23/06/2021

N. 00498/2021 REG.PROV.COLL.

N. 00057/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 57 del 2021, integrato da motivi aggiunti, proposto da
omissis, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato omissis, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio, in Macerata, omissis;

contro

Ministero dell’Interno, Comitato Tecnico Regionale delle Marche, Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (attualmente Ministero per la Transizione Ecologica), in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliati presso la sede della stessa, in Ancona, omissis;
Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio – Coordinamento per l’uniforme applicazione sul Territorio Nazionale, Direzione Regionale dei Vigili del Fuoco delle Marche, non costituiti in giudizio;

nei confronti

Regione Marche, omissis, non costituiti in giudizio;

per l’annullamento

previa sospensione

del provvedimento di diffida ex art. 28 D.Lgs. 105/2015, adottato dal Comitato Tecnico Regionale delle Marche.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno, del Comitato Tecnico Regionale delle Marche e del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 giugno 2021 il dott. omissis e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

  1. La società omissis(nel prosieguo anche solo “ditta omissis”) espone quanto segue.

1.1. Da oltre 40 anni essa ricorrente gestisce in Falconara Marittima, Contrada omissis, un impianto di trattamento di rifiuti liquidi, pericolosi e non pericolosi, attualmente assistito dall’autorizzazione integrata ambientale n. 534 del 5 settembre 2012, rilasciata dalla Provincia di Ancona e in seguito più volte aggiornata.

In base alla predetta autorizzazione, la ditta omissis può stoccare (operazione D15) fino a 800 tonnellate di rifiuti pericolosi identificati con vari codici EER e può trattare (operazioni D8-D9) fino a 200 t/g dei medesimi rifiuti.

Durante il lungo arco temporale di attivazione dell’impianto, nonostante l’attiva partecipazione dei Vigili del Fuoco ai vari procedimenti autorizzatori di competenza della Regione (prima) e della Provincia (poi) e nonostante i numerosissimi controlli effettuati da pressoché tutti gli organi competenti, l’impianto di Contrada Saline non è mai stato assoggettato alle disposizioni di cui al D.P.R. n. 175/1988 (recante il recepimento della prima direttiva Seveso n. 82/501/CEE), al D.Lgs. n. 334/1999 (recante il recepimento della direttiva Seveso-bis n. 96/82/CE) e al D.Lgs. n. 105/2015 (recante il recepimento della direttiva Seveso-ter n. 2012/18/UE), i quali, nel loro complesso, vengono comunemente denominati “normativa Seveso” (dal nome della località lombarda in cui nel 1976 si verificò il primo e drammatico “incidente rilevante” di portata extranazionale, dal quale prese poi avvio a livello europeo una riflessione che è sfociata nelle varie direttive che hanno disciplinato negli anni il settore).

Infatti, per l’impianto della ditta omissis, così come per tutti gli altri impianti di trattamento dei rifiuti, è sempre invalso il principio secondo il quale, a prescindere dai quantitativi autorizzati ai sensi dell’art. 208 del D.Lgs. 152/2006 o ai sensi della normativa in materia di A.I.A., i gestori potessero implementare procedure interne di verifica circa il non superamento delle soglie di sostanze pericolose previste dalla c.d. normativa Seveso.

A riprova di ciò, attualmente in tutto il territorio nazionale sono solo 22 gli impianti di trattamento di rifiuti soggetti alla c.d. normativa Seveso, a fronte di oltre 10.000 impianti autorizzati.

1.2. A ottobre del 2019 la ditta omissis ha richiesto il riesame della propria A.I.A. ai fini dell’adeguamento dell’impianto alle migliori tecniche disponibili di settore approvate dalla Commissione Europea con Decisione n. 2018/1147/UE del 10 agosto 2018. Nell’ambito della documentazione progettuale allegata alla domanda di riesame dell’A.I.A., l’odierna ricorrente includeva anche un’apposita relazione volta a confermare il non assoggettamento dell’impianto alla c.d. normativa Seveso.

Nel frattempo, a seguito di richiesta avanzata nell’agosto 2019 da un consigliere comunale di Falconara Marittima, quale rappresentante di alcune liste civiche, il direttore generale dei VV.FF. delle Marche, nella sua qualità di presidente del Comitato Tecnico Regionale (C.T.R.) di cui all’art. 10 del D.Lgs. n. 105/2015, con nota prot. 14108 del 7 novembre 2019 istituiva un Gruppo di Lavoro (G.d.L.), composto da cinque membri, al fine di sottoporre al plenum dello stesso C.T.R. una relazione sulla assoggettabilità o meno dello stabilimento omissis alla c.d. normativa Seveso.

Quindi, con nota prot. 18966 del 23 novembre 2019, il comandante provinciale dei VV.FF. di Ancona formulava alla ditta omissis una richiesta di chiarimenti in ordine a quanto riportato nella relazione dalla stessa allegata nell’ambito del procedimento di riesame dell’A.I.A.

In allegato a nota prot. 113/19 del 2 dicembre 2019, la ditta omissis produceva una relazione aggiornata, nell’ambito della quale forniva anche i chiarimenti richiesti dal Comando Provinciale dei VV.FF. di Ancona.

Nei giorni 7 e 22 gennaio 2020, il G.d.L. designato dal presidente del C.T.R. effettuava delle visite presso lo stabilimento omissis, acquisendo ulteriori chiarimenti e documenti, mentre in data 28 gennaio 2020 convocava il consulente incaricato dalla ditta omissis al fine di porgli specifici quesiti, ai quali veniva fornita immediata risposta.

1.3. All’esito dell’istruttoria, il G.d.L., con verbale conclusivo del 18 febbraio 2020, riteneva che lo stabilimento della ricorrente non potesse essere escluso dal campo di applicazione della c.d. normativa Seveso, in quanto:

  • non era stata “…rilevata in azienda l’esistenza di una procedura di controllo del rispetto dei limiti di soglia di cui al Decreto 105/2015, in termini di quantitativi stoccati e tipologia di pericolo assunta…” (il monitoraggio delle sostanze pericolose presenti nello stabilimento era affidato ad un foglio di calcolo gestito internamente dall’azienda);
  • nel corso degli accertamenti era emerso che la ditta aveva utilizzato, per lo stoccaggio di rifiuti pericolosi rilevanti ai fini Seveso, un serbatoio diverso rispetto a quelli indicati nella relazione;
  • sempre nel corso degli accertamenti era emersa una diversa valutazione della categoria di pericolo da attribuire a taluni rifiuti (E1 anziché E2).

Le conclusioni del G.d.L. venivano recepite dal C.T.R., il quale, con determinazione assunta in data 28 maggio 2020 e trasmessa alla ditta omissis in allegato a nota della Direzione Regionale dei VV.F. prot. 7376 del 12 giugno 2020, diffidava la stessa ditta a presentare, entro 60 giorni, la notifica prevista dall’art. 13 del D.Lgs. n. 105/2015 e il rapporto di sicurezza di cui all’art. 15 dello stesso D.Lgs. n. 105/2015.

1.4. A fronte di tale diffida, la ditta omissis provvedeva a redigere una nuova procedura di controllo delle sostanze pericolose presenti nello stabilimento, all’uopo formalizzando un’apposita istruzione operativa nell’ambito del proprio sistema di gestione ambientale ISO 14001.

In particolare, essendo in itinere il procedimento di riesame dell’A.I.A. ed essendo normativamente previsto dall’art. 29-quater, comma 5, del D.Lgs. n. 152/2006 un coordinamento tra l’autorità competente ai fini A.I.A. e quella competente ai fini dell’applicazione della c.d. normativa Seveso, la ditta omissis, in allegato a nota prot. 64/20/g del 10 luglio 2020, trasmetteva alla Provincia di Ancona la nuova procedura operativa di controllo delle sostanze pericolose rilevanti ai fini Seveso, chiedendo alla stessa Provincia di convocare alla conferenza di servizi già fissata per il 28 luglio 2020 anche il rappresentante del C.T.R. Nella richiamata missiva la ditta omissis osservava in particolare che:

  • la nuova procedura operativa aziendale tiene conto di tutti i rilievi formulati dal C.T.R. e consente non solo al gestore, ma anche agli organi di controllo, di poter verificare in maniera agevole, oggettiva e costante il non superamento della soglia inferiore prevista dalla colonna 2 dell’allegato 1 al D.Lgs. n. 105/2015. Pertanto, recependo tale prescrizione operativa all’interno del quadro prescrittivo dell’A.I.A., è possibile garantire che lo stabilimento omissis rispetti la soglia inferiore sia in termini di presenza “reale” di sostanze pericolose (cosa di cui nessuno ha mai dubitato), sia in termini di presenza “prevista”, per tale dovendosi intendere quella che è imposta all’impianto da limiti materiali e/o legali;
  • nell’ambito della diffida di cui all’art. 28, comma 8, del D.Lgs. n. 105/2015 è possibile impartire al gestore le “necessarie misure” e, all’interno di queste, ben può essere ricompresa non solo l’attivazione degli adempimenti di cui agli artt. 13 e ss. dello stesso decreto legislativo, ma anche l’adozione di una procedura oggettiva e verificabile volta a garantire il non superamento della soglia inferiore;
  • il recepimento della procedura aziendale all’interno dell’A.I.A. potrebbe dunque consentire di superare il provvedimento di diffida prot. 7376 del 12 giugno 2020 del direttore regionale dei VV.FF. delle Marche;
  • qualora si ritenesse invece che una prescrizione autorizzatoria non possa assumere rilevanza ai fini della determinazione del quantitativo previsto di sostanze pericolose all’interno dello stabilimento, si aprirebbe uno scenario nuovo che imporrebbe, di fatto, l’assoggettamento per la prima volta alla c.d. normativa Seveso di un gran numero di impianti di trattamento di rifiuti pericolosi presenti nella Regione Marche e in tutto il territorio nazionale.

1.5. La proposta di coinvolgere nel procedimento di A.I.A. anche il C.T.R. veniva accolta dalla Provincia e, alla conferenza di servizi del 28 luglio 2020, il rappresentante dello stesso C.T.R. faceva presente che il nuovo documento prodotto dalla ditta omissis sarebbe stato esaminato nella seduta dell’11 agosto 2020. In tale seduta il C.T.R. incaricava il G.d.L. di valutare la documentazione integrativa prodotta dalla ditta e di redigere, entro 30 giorni, una dettagliata relazione, disponendo nel contempo una proroga del termine assegnato con la diffida del 28 maggio 2020.

Quindi, in allegato a nota della Direzione Regionale VV.FF. prot. 13126 dell’8 ottobre 2020, veniva trasmesso alla ditta omissis il verbale della riunione del C.T.R. del 7 ottobre 2020, con il quale si concedevano al G.d.L. ulteriori 30 giorni per la presentazione della relazione finale, stante “…la recente pubblicazione…”, da parte del Coordinamento per l’uniforme applicazione sul territorio nazionale della normativa Seveso di cui all’art. 11 del D.Lgs. n. 105/2015, della risposta ad un quesito rilevante ai fini della questione trattata. A conclusione della propria istruttoria, il C.T.R., con determinazione assunta in data 24 novembre 2020 e trasmessa all’odierna ricorrente in allegato a nota della Direzione Regionale dei VV.FF. prot. 16096 del 26 novembre 2020, diffidava nuovamente la ditta omissis a presentare, entro 30 giorni, la notifica prevista dall’art. 13 del D.Lgs. n. 105/2015 e il rapporto di sicurezza di cui all’art. 15 dello stesso D.Lgs. n. 105/2015, ovvero, in alternativa, a limitare fisicamente l’utilizzo di parte dei serbatoi in maniera da non superare i limiti di soglia previsti dal D.Lgs. n. 105/2015.

Tale nuovo provvedimento di diffida è così motivato:

  • “Il CTR Marche dopo aver rilevato quanto sopra e preso atto di quanto riportato nella relazione del G.d.L. che è allegata al presente verbale del quale ne diventa parte integrante, tenuto conto che il D.lgs.105/2015 stabilisce che in uno stabilimento si deve intendere per “presenza di sostanze pericolose”: la presenza, reale o prevista, di sostanze pericolose nello stabilimento, oppure di sostanze pericolose che è ragionevole prevedere che possano essere generate, in caso di perdita del controllo dei processi, comprese le attività di deposito, in un impianto in seno allo stabilimento, in quantità pari o superiori alle quantità limite previste nella parte 1 o nella parte 2 dell’allegato 1; ritiene che le quantità da prendere in considerazione, ai fini della valutazione dell’assoggettabilità e della notifica dello stabilimento, sono le quantità massime detenute, che si intendono detenere o che sono previste, responsabilmente dichiarate dal gestore.

Il CTR non ritiene pertanto conforme alla norma determinare l’assoggettabilità al decreto considerando esclusivamente i quantitativi di sostanze pericolose che sono presenti momento per momento nel suddetto stabilimento, anche nel caso in cui il gestore si avvalga di un sistema gestionale delle giacenze e controllo del non superamento delle soglie…”.

In altri termini, il C.T.R. Marche, adottando una linea interpretativa innovativa nel panorama nazionale, sostiene che la verifica in ordine al quantitativo di sostanze pericolose presenti all’interno di un impianto di trattamento rifiuti non possa avere luogo per mezzo di una procedura operativa implementata dal gestore.

Siffatto indirizzo, come si evince dal verbale del G.d.L. del 5 novembre 2020 allegato alla diffida del C.T.R., troverebbe conforto in un non meglio specificato verbale dell’11a riunione del Coordinamento per l’uniforme applicazione sul territorio nazionale di cui all’art. 11 del D.Lgs. n. 105/2015, nel quale sarebbe stato preso in esame il Quesito n. 16/2018.

1.6. A fronte della nuova diffida del C.T.R. e del ristrettissimo termine assegnato (appena 30 giorni), essa ricorrente si attivava da subito per ottemperare ai vari adempimenti e, all’uopo, con missiva del 23 dicembre 2020, chiedeva al Comitato un’adeguata proroga, che veniva concessa con effetto fino al 14 marzo 2021 (provvedimento dell’8 gennaio 2021).

Pur essendosi tempestivamente attivata per adempiere alla diffida impartitale, la ditta omissis ritiene necessario impugnarla in sede giurisdizionale, atteso che:

  • in primo luogo, entrare nell’ambito di applicazione della c.d. normativa Seveso comporta adempimenti (una tantum e periodici) il cui esborso economico è tutt’altro che irrilevante. Al riguardo, la ditta omissis, con PEC del 3 dicembre 2020, per ragioni di parità di trattamento, ha espressamente richiesto al C.T.R. di avviare, per tutti gli impianti di trattamento di rifiuti pericolosi operanti nel territorio regionale, una verifica analoga a quella condotta nei riguardi di essa ricorrente, senza tuttavia ricevere alcun riscontro;
  • in secondo luogo, l’applicazione della c.d. normativa Seveso comporta inevitabilmente restrizioni in ordine alla capacità operativa dell’azienda nonché allo sviluppo e all’espansione della sua attività, se non addirittura potenziali problematiche in ordine alla sua attuale localizzazione;
  • in terzo luogo, il principio di diritto affermato dal C.T.R. sarebbe destinato a produrre effetti imprevisti ed imprevedibili non solo per il settore del trattamento dei rifiuti, ma per l’intero apparato produttivo nazionale, tant’è che anche Confindustria nazionale ha immediatamente chiesto al Ministero dell’Ambiente di aprire un tavolo di confronto sull’argomento.
  1. Questi i motivi di ricorso:

a) violazione dell’art. 3, let. n), del D.Lgs. n. 105/2015. Eccesso di potere per contraddittorietà e perplessità della motivazione. Violazione della nota 1 dell’allegato 1 al D.Lgs. n. 105/2015.

Con questo primo articolato motivo la ditta ricorrente evidenzia quanto segue:

  • ai sensi degli artt. 2, comma 1, e 3, lett. a), b) e c), del D.Lgs. n. 105/2015, la c.d. normativa Seveso si applica agli stabilimenti nei quali sono presenti sostanze pericolose in quantità superiore alle soglie indicate nelle colonne 2 e 3 dell’allegato 1 allo stesso decreto legislativo. L’art. 3, let. n), del D.Lgs. n. 105/2015 stabilisce che per “presenza di sostanze pericolose” debba intendersi “la presenza, reale o prevista, di sostanze pericolose nello stabilimento, oppure di sostanze pericolose che è ragionevole prevedere che possano essere generate, in caso di perdita del controllo dei processi, comprese le attività di deposito, in un impianto in seno allo stabilimento, in quantità pari o superiori alle quantità limite previste nella parte 1 o nella parte 2 dell’allegato 1”;
  • pertanto, per stabilire se uno stabilimento è soggetto alla c.d. normativa Seveso, occorre valutare la presenza reale di sostanze pericolose, la presenza prevista di sostanze pericolose e la presenza di sostanze pericolose che è ragionevole prevedere che possano essere generate in caso di perdita del controllo dei processi;
  • se per il concetto di presenza “reale” non sussistono particolari problemi interpretativi (trattandosi del quantitativo di sostanze pericolose che, in ogni momento, concretamente insiste all’interno dello stabilimento), meno chiaro è il concetto di presenza “prevista”, in quanto non è specificato né da parte di chi e né come si debba effettuare una stima previsionale delle sostanze pericolose che possono essere presenti all’interno dello stabilimento. Certamente può affermarsi che sia soggetto agli obblighi di cui al D.Lgs. n. 105/2015 il gestore di un impianto che, in base ad informazioni note prima ancora dell’avvio dell’attività e/o dichiarate dallo stesso gestore nell’ambito delle procedure autorizzatorie relative alla realizzazione o all’esercizio dello stabilimento medesimo, sia oggettivamente destinato a ricevere e a trattare sostanze pericolose in quantitativi superiori alle soglie indicate nell’allegato 1 al D.Lgs. n. 105/2015;
  • il problema, invece, si pone in tutti i casi, statisticamente più frequenti nella prassi, in cui non sia possibile procedere ad un’esatta stima preventiva delle quantità di sostanze pericolose potenzialmente presenti nello stabilimento. In questi casi, non potendosi “prevedere” con certezza che nello stabilimento saranno presenti sostanze pericolose in quantità superiori alle soglie previste nel citato allegato 1, è ragionevole ritenere che gravi in capo al gestore l’onere di monitorare costantemente il quantitativo di sostanze pericolose presenti nel proprio stabilimento e di mantenere tale quantitativo al di sotto delle predette soglie. La garanzia del rispetto di tale onere è data dal sistema di responsabilità delineato dall’art. 28 del D.Lgs. n. 105/2015, in base al quale, laddove la presenza “reale” di sostanze pericolose dovesse risultare superiore alle soglie, il gestore non solo sarà passibile di denuncia in sede penale (comma 1), ma dovrà essere diffidato ad adottare le misure prescritte dalla c.d. normativa Seveso (comma 8).
  • un caso peculiare è rappresentato dagli impianti di trattamento di rifiuti, visto che ai fini della c.d. normativa Seveso per stabilire se una sostanza o una miscela debba essere considerata pericolosa si applica il Regolamento n. 1272/2008/CE relativo alla classificazione, all’etichettatura e all’imballaggio delle sostanze e delle miscele, noto anche come “Regolamento CLP”, mentre la classificazione dei rifiuti come pericolosi o non pericolosi avviene invece in base alle regole tecniche di cui al Regolamento n. 1357/2014/UE. L’aspetto rilevante è che le caratteristiche di pericolo previste dal Regolamento CLP sono diverse da quelle del Regolamento n. 1357/2014/UE e i due sistemi di classificazione non sono sovrapponibili, se non in parte;
  • ai fini della c.d. normativa Seveso, i rifiuti sono considerati come “miscele”, secondo la definizione datane dall’art. 3, let. m), del D.Lgs. 105/2015. Pertanto, un rifiuto classificato come pericoloso ai sensi del Regolamento n. 1357/2014/UE non costituisce necessariamente una miscela pericolosa ai sensi del Regolamento CLP e dunque per capire se un rifiuto pericoloso è rilevante ai fini Seveso, lo stesso andrebbe classificato anche in base al Regolamento CLP. Ove ciò non sia possibile, “…possono essere utilizzate altre rilevanti fonti di informazione, per esempio le informazioni relative all’origine dei rifiuti, l’esperienza pratica, le prove effettuate, la classificazione in base al trasporto o la classificazione secondo la legislazione europea sui rifiuti…” (si veda la risposta al quesito 22 di cui al documento “Directive Directive 2012/18/EC (Seveso III) – Questions & Answers” pubblicato dalla Commissione Europea);
  • da ciò discende che la presenza “prevista” di sostanze pericolose all’interno di uno stabilimento nel quale sono trattati rifiuti pericolosi non può essere automaticamente e semplicisticamente desunta dalla capacità massima di stoccaggio istantaneo dei rifiuti pericolosi prevista nell’autorizzazione di cui all’art. 208 del D.Lgs. n. 152/2006 ovvero nell’A.I.A.;
  • nel caso di specie, nell’impugnato provvedimento di diffida, il C.T.R. Marche, dopo aver richiamato la definizione di “presenza di sostanze pericolose”, sostiene che “…le quantità da prendere in considerazione, ai fini della valutazione dell’assoggettabilità e della notifica dello stabilimento, sono le quantità massime detenute, che si intendono detenere o che sono previste, responsabilmente dichiarate dal gestore…”, per cui il richiamo ad una dichiarazione responsabilmente effettuata dal gestore sembrerebbe confermare la tesi secondo cui, qualora l’attività produttiva non comporti l’ineluttabile superamento delle soglie dell’allegato 1, spetta al gestore l’onere di monitorare le quantità di sostanze pericolose presenti nel proprio stabilimento, assumendosi la responsabilità di eventuali superamenti. E invece il C.T.R., dopo aver operato questa condivisibile premessa, in maniera contraddittoria conclude: “…Il CTR non ritiene pertanto conforme alla norma determinare l’assoggettabilità al decreto considerando esclusivamente i quantitativi di sostanze pericolose che sono presenti momento per momento nel suddetto stabilimento, anche nel caso in cui il gestore si avvalga di un sistema gestionale delle giacenze e controllo del non superamento delle soglie”. In altri termini, secondo il Comitato, poiché i serbatoi della ditta omissis possono stoccare fino a 800 tonnellate di rifiuti pericolosi e poiché tali rifiuti pericolosi possono assumere la qualifica di miscele pericolose ai sensi del Regolamento CLP, lo stabilimento deve essere necessariamente assoggettato alla c.d. normativa Seveso, non potendo assumere rilevanza il fatto che la ditta si sia dotata di una formale procedura di monitoraggio delle sostanze pericolose e che tale procedura sarà addirittura recepita nel quadro prescrittivo dell’A.I.A.;
  • tale ragionamento è però inaccettabile, visto che non tutti i rifiuti pericolosi che l’impianto omissis può ricevere e stoccare sono rilevanti ai fini Seveso. Un rifiuto pericoloso rileva ai fini Seveso solo se, in base ai criteri indicati nel Regolamento CLP, può assumere una delle proprietà di pericolo indicate nell’allegato 1 del D.Lgs. n. 105/2015. L’equivalenza “rifiuto pericoloso = miscela pericolosa ai fini Seveso” integra una palese violazione di quanto stabilito nella nota 1 dell’allegato 1 al D.Lgs. n. 105/2015, a mente della quale l’attribuzione delle caratteristiche di pericolo ai fini Seveso va fatta in base al Regolamento CLP e non al Regolamento 1357/2014/UE;
  • per fare un esempio concreto, i rifiuti classificati come pericolosi in quanto “ecotossici” (caratteristica di pericolo HP14 prevista dal Regolamento 1357/2014/UE) non necessariamente sono “pericolosi per l’ambiente” ai fini Seveso (caratteristiche di pericolo E1 ed E2 previste dal Regolamento CLP e richiamate nell’allegato 1 al D.Lgs. 105/15). Esistono, infatti, delle “frasi di rischio” per le quali un rifiuto pericoloso “ecotossico” è rilevante ai fini Seveso (frasi di rischio H400, H410 e H411) e delle “frasi di rischio” che, invece, pur rendendo il rifiuto pericoloso, sono irrilevanti ai fini Seveso (frasi di rischio H412 e H413);
  • per poter discernere i rifiuti pericolosi rilevanti ai fini Seveso dai rifiuti pericolosi irrilevanti ai fini Seveso, la ditta omissis ha sviluppato, all’interno del proprio sistema di gestione ambientale, un’apposita istruzione operativa, chiedendo che la stessa sia recepita nel quadro prescrittivo dell’A.I.A. Questa istruzione prevede una verifica costante, documentata e controllabile del fatto che i rifiuti pericolosi rilevanti ai fini Seveso siano mantenuti entro le soglie quantitative del D.Lgs. n. 105/2015;
  • ritenere che siffatte procedure non possano esimere l’impresa dall’essere assoggettata alla c.d. normativa Seveso avrebbe delle conseguenze paradossali, non solo per il settore dei rifiuti, ma, più in generale, per l’intera economia nazionale. Nell’ambito del settore dei rifiuti, infatti, la generalizzazione della posizione del C.T.R. Marche costringerebbe la quasi totalità degli impianti di trattamento di rifiuti pericolosi ad essere assoggettati al D.Lgs. n. 105/2015, con conseguente paralisi del settore e gravissimo pregiudizio per l’effettiva tutela ambientale. Ma l’impatto sarebbe enorme in ogni comparto produttivo, in quanto qualsiasi impresa (industriale, artigianale, commerciale, di servizi) dovrebbe confrontarsi con l’astratta possibilità di detenere sostanze pericolose;
  • da un punto di vista processuale, rileva altresì la circostanza che nel verbale del G.d.L. del 5 novembre 2020, si richiama un non meglio specificato verbale dell’11a riunione del Coordinamento per l’uniforme applicazione sul territorio nazionale di cui all’art. 11 del D.Lgs. n. 105/2015 nel quale sarebbe stato preso in esame un altrettanto indeterminato Quesito n. 16/2018. Essa ricorrente ha richiesto al C.T.R. l’ostensione di tali atti, ma, alla data di proposizione del ricorso, la richiesta non era stata ancora evasa (di talché la ditta omissis si era riservata di proporre motivi aggiunti una volta presa visione del Quesito n. 16/2018 e della relativa risposta del Coordinamento nazionale);
  • in via subordinata, e per il caso in cui il Tribunale non ritenesse di disporre di sufficienti elementi per dichiarare illegittimo l’operato del C.T.R. Marche, è opportuno che venga sottoposta in via pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE la seguente questione interpretativa: “se la definizione di “presenza di sostanze pericolose” di cui all’art. 3, n. 12, della Direttiva 2012/18/UE osti ad una prassi secondo la quale la previsione dei quantitativi di sostanze pericolose presenti all’interno di un impianto di trattamento dei rifiuti sia rimessa ad una procedura operativa implementata dal gestore (ed eventualmente recepita dall’autorizzazione di cui all’art. 23 della Direttiva 2008/98/CE o di cui all’art. 4 della Direttiva 2010/75/UE), la quale, qualificando i rifiuti come miscele ai sensi dell’art. 3, n. 11, della Direttiva 2012/18/UE, contempli il costante monitoraggio del quantitativo delle sostanze pericolose presenti all’interno dell’impianto e garantisca il non superamento della soglia inferiore e della soglia superiore rispettivamente previste nella colonna 2 e nella colonna 3 dell’allegato 1 alla Direttiva 2012/18/UE”;

b) violazione degli artt. 3, let. g), 13, comma 1, let. b), 15, comma 6, let. c), e 28, comma 8, del D.Lgs. n. 105/2015.

Con questo secondo motivo la ricorrente contesta il termine che il C.T.R. le ha assegnato per procedere all’invio della notifica di cui all’art. 13 del D.Lgs. n. 105/2015 e del rapporto di sicurezza di cui all’art. 15 dello stesso decreto, evidenziando che:

  • il Comitato ha ritenuto applicabile l’art. 28, comma 8, del D.Lgs. n. 105/2015 e, nella logica sanzionatoria di tale disposizione, ha impartito all’odierna ricorrente un termine per adempiere di appena 30 giorni, successivamente prorogato di ulteriori soli 60 giorni;
  • tuttavia, nella specie non trovava applicazione l’art. 28, comma 8, visto che l’assoggettamento dell’impianto omissis alla c.d. normativa Seveso non discende dall’introduzione di una modifica occulta dello stabilimento e/o dell’attività in esso svolta, bensì è diretta conseguenza della nuova interpretazione normativa adottata dallo stesso C.T.R.;
  • pertanto, i termini entro i quali l’odierna ricorrente dovrebbe adempiere ai predetti incombenti non sono quelli previsti, in chiave sanzionatoria, dall’art. 28, comma 8, del D.Lgs. n. 105/2015, bensì quelli previsti dall’art. 13, comma 1, let. b) e dall’art. 15, comma 6, let. c), rispettivamente per l’invio della notifica e del rapporto di sicurezza da parte di “altri impianti” ai quali si applica la direttiva 2012/18/UE (ossia un anno dalla data a decorrere dalla quale la direttiva 2012/18/UE si applica allo stabilimento – per la notifica – e due anni dalla data dalla quale la direttiva 2012/18/UE si applica allo stabilimento – per il rapporto di sicurezza). Infatti lo stabilimento della ditta omissis, non essendo mai stato sottoposto alla c.d. normativa Seveso e non avendo introdotto in epoca recente modifiche comportanti una maggior presenza di sostanze pericolose, rientra certamente nella definizione di “altro stabilimento” e, come tale, ammesso e non concesso che debba essere assoggettato alla normativa in questione, ha diritto di beneficiare della tempistica indicata dagli artt. 13 e 15 per la presentazione della notifica e del rapporto di sicurezza;
  • la conferma della correttezza di tale interpretazione è data peraltro dalla risposta che il Coordinamento per l’uniforme applicazione sul territorio nazionale ha fornito al quesito n. 21/2020, pubblicata sul sito del Ministero dell’Ambiente in data 11 dicembre 2020. Il quesito riguardava il caso di uno stabilimento, mai ritenuto soggetto al D.Lgs. n. 105/2015, il cui gestore, a seguito dell’applicazione di un protocollo sperimentale, aveva accertato che una determinata sostanza dovesse essere classificata come pericolosa per l’ambiente, con conseguente superamento delle soglie di cui all’allegato 1 del D.Lgs. n. 105. Veniva dunque chiesto al Coordinamento entro quale tempistica il gestore dovesse procedere alla notifica di cui all’art. 13 del decreto. Il Coordinamento ha risolto la questione chiarendo quanto segue: “Uno stabilimento in cui è presente una sostanza classificata, in seguito all’applicazione di un nuovo protocollo sperimentale, come pericolosa, ai sensi del D.lgs. 105/2015, rientra negli obblighi di cui al decreto stesso secondo la definizione di “altro stabilimento”, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera g), in quanto non avvia le attività o è costruito il 1° giugno 2015 o successivamente a tale data, né è caratterizzato da modifiche ai suoi impianti o attività che determinino un cambiamento del suo inventario delle sostanze pericolose. Conseguentemente, va applicata la tempistica individuata dall’art. 13, comma 1, lettera b) del D.lgs. 105/2015, che prevede la presentazione della Notifica, redatta secondo l’allegato 5, entro un anno a decorrere dalla data nella quale il decreto si applica allo stabilimento. Tale data è da intendersi come quella in cui, al termine del periodo di applicazione del protocollo, il gestore ha adottato la nuova classificazione ai fini Seveso della sostanza pericolosa”.
  1. Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’Interno, il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (il quale in corso di causa ha assunto la denominazione di Ministero per la Transizione Ecologica) e il Comitato Tecnico Regionale delle Marche, chiedendo il rigetto del ricorso.
  2. In data 12 febbraio 2021 la ditta omissis ha depositato un atto di motivi aggiunti, con cui è stata proposta un’istanza di accesso agli atti in corso di causa, finalizzata ad acquisire dal C.T.R. o dalla Direzione Regionale dei VV.FF. copia del Quesito n. 16/2018 proposto al Coordinamento Nazionale ex art. 11 del D.Lgs. n. 105/2015 e del verbale dell’11a riunione del Coordinamento (in cui è stato esaminato il predetto quesito), visto che la Direzione Regionale, con nota del 12 febbraio 2021, aveva negato l’accesso sul presupposto che gli atti summenzionati non sono da essa detenuti.
  3. Con ordinanza n. 57/2021 il Tribunale ha:
  • disposto l’acquisizione degli atti di cui alla suddetta istanza di accesso (ritenendoli comunque necessari ai fini della decisione);
  • accolto la domanda cautelare in ragione della sussistenza del periculum in mora (rinviando alla sede del merito la compiuta delibazione delle censure sollevate in ricorso);
  • fissato per il 9 giugno 2021 l’udienza di trattazione del merito.

L’istruttoria è stata eseguita in data 16 aprile 2021.

Con la memoria depositata in data 10 maggio 2021 la ditta ricorrente ha commentato gli esiti dell’istruttoria, evidenziando che l’avvenuto deposito in giudizio degli atti di cui all’istanza di accesso in corso di causa fa venire meno l’interesse all’accoglimento dei motivi aggiunti, mentre il contenuto dei documenti medesimi rafforza le tesi esposte nel ricorso introduttivo (in subordine, la ricorrente ribadisce l’opportunità del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE della questione interpretativa già esposta in ricorso).

DIRITTO

  1. In via preliminare, va dichiarata l’improcedibilità dei motivi aggiunti, in quanto, come del resto riconosce la stessa ricorrente nella memoria depositata il 10 maggio 2021, l’avvenuto deposito in giudizio degli atti di cui all’istanza di accesso in corso di causa, proposta dalla ditta omissis con gli stessi motivi aggiunti, determina il venir meno dell’interesse a coltivare la domanda.
  2. Passando al merito del ricorso introduttivo, va in premessa osservato che:
  • non è del tutto vero che in ambito regionale solo l’impianto di proprietà della ricorrente è stato oggetto dell’attenzione del C.T.R. relativamente all’applicazione della normativa Seveso. Infatti all’odierna udienza pubblica è stato trattenuto in decisione anche l’analogo e coevo ricorso n. 77/2021 R.G., proposto dal gestore di altro impianto pure esso in precedenza non soggetto alla normativa de qua e che è stato invece di recente ritenuto dal C.T.R. soggetto agli obblighi di cui al D.Lgs. n. 105/2015. Né è dato sapere se, tanto in ambito regionale quanto in ambito nazionale, i vari C.T.R. abbiano in corso procedimenti analoghi a quello culminato nell’adozione delle diffide impugnate nel presente giudizio;
  • ma, in ogni caso (e fatta salva la possibilità per le imprese del settore di chiedere – ed eventualmente ottenere dal Parlamento – una modifica normativa specifica che li escluda dagli obblighi della normativa Seveso o che introduca quantomeno una disposizione del tipo di quella invocata dalla odierna ricorrente), se anche rispondesse al vero che nell’intera Regione solo l’impianto di omissis S.r.l. è assoggettato alla normativa Seveso ciò non renderebbe ex se illegittimi gli atti impugnati, dovendosi invece verificare unicamente se l’impianto rientra o meno nel campo di applicazione del D.Lgs. n. 105/2015. Se poi risultasse che altri impianti, pur teoricamente soggetti agli obblighi della normativa Seveso, di fatto non lo sono, questo implicherebbe al limite una responsabilità di tipo omissivo in capo agli enti pubblici competenti, ma non assolverebbe la ricorrente dall’obbligo di adeguarsi alle prescrizioni del C.T.R. (il quale C.T.R., peraltro, non avrebbe alcun interesse ad alterare la competizione fra gli operatori economici del settore, penalizzando ingiustamente solo alcuni di essi).
  1. Venendo dunque in medias res, il Collegio ritiene opportuno sintetizzare brevemente quali sono, con riguardo ai possibili riflessi sulla presente controversia, gli approdi più rilevanti a cui è di recente pervenuto il Coordinamento Nazionale di cui all’art. 11 del D.Lgs. 105/2015.

Questa disamina, lo si anticipa, fornirà elementi decisivi ai fini del rigetto del ricorso.

8.1. Con il parere reso in data 11 dicembre 2020 sul quesito n. 21/2020, il Coordinamento ha ritenuto che, nel caso in cui un impianto diventi soggetto alla c.d. normativa Seveso per una ragione diversa da quelle di cui all’art. 3, let. e), del D.Lgs. n. 105/2015, il termine per l’assolvimento degli obblighi di notifica ex art. 13 del D.Lgs. n. 105/2015 sia quello indicato al comma 1, let. b), dello stesso art. 13.

8.2. Con il parere adottato nella seduta del 17 dicembre 2020 sul quesito n. 16/2018, il Coordinamento ha invece ritenuto possibile che, al fine di mantenere la condizione di assoggettabilità di un impianto come “stabilimento di soglia inferiore”, venga utilizzato un adeguato sistema gestionale che consenta di accertare momento per momento i quantitativi di sostanze pericolose presenti nello stabilimento.

Ora, come è facile osservare, nessuno dei due arresti del Coordinamento appare funzionale alle tesi della ricorrente.

8.3. Infatti, nella vicenda di cui al parere dell’11 dicembre 2020 è accaduto che l’ingresso dell’impianto nell’alveo della normativa Seveso è dipeso dal fatto che il gestore dello stesso ha introdotto un protocollo sperimentale dalla cui applicazione è disceso che una delle sostanze prodotte è stata classificata pericolosa per l’ambiente, con conseguente superamento delle soglie di cui all’allegato 1 del D.Lgs. n. 105/2015. E’ evidente che questo caso non è assimilabile a quello della ditta omissis, tanto con riguardo all’an (visto che è la stessa ricorrente a sottolineare a più riprese che la sua attività aziendale non ha mai subito modifiche rilevanti ai fini della normativa Seveso) tanto con riguardo al quando (visto che nella vicenda di cui si è occupato il Coordinamento l’impianto interessato era correttamente qualificabile come “altro stabilimento” a partire da una ben determinata data e dunque nei confronti di quel gestore gli obblighi di notifica dovevano essere assolti nel termine “lungo” di cui all’art. 13, comma 1, let. b), del D.Lgs. n. 105/2015). Al contrario, nel caso della ricorrente, proprio perché, per sua stessa ammissione, non vi è una data dalla quale l’impianto ha subito modifiche rilevanti, gli obblighi de quibus decorrevano dalla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 105/2015. Trova dunque applicazione il termine di 60 giorni previsto sia dall’art. 13, comma 1, let. a), sia dall’art. 28, comma 8, del D.Lgs. n. 105/2015.

Ciò determina il rigetto del secondo motivo di ricorso.

Naturalmente, poiché è presumibile che la ditta ricorrente (anche alla luce dell’accoglimento della domanda cautelare) abbia interrotto o sospeso l’attività di adeguamento alla impugnata diffida durante il periodo necessario per la definizione del presente giudizio, il C.T.R. terrà conto di ciò ai fini della fissazione di un nuovo termine finale.

8.4. Venendo invece al già citato Quesito n. 16/2018, la risposta formulata dal Coordinamento potrebbe ad una prima sommaria lettura risultare favorevole alle tesi della ricorrente, ma in realtà così non è.

E’ utile partire dal contenuto del quesito n. 16/2018, il quale era così formulato “Per uno stabilimento, che svolge attività di logistica o di trattamento rifiuti, al fine di mantenere la condizione di assoggettabilità al D.lgs. 105/2015 come stabilimento di “soglia inferiore”, è possibile utilizzare un sistema gestionale delle giacenze e di controllo del non superamento delle soglie secondo la regola delle sommatorie di cui alla nota 4, Allegato 1 del D.lgs. 105/2015?”.

La risposta approvata dal Coordinamento è la seguente “Il D.lgs. 105/2015 stabilisce che in uno stabilimento si deve intendere per «presenza di sostanze pericolose»: la presenza, reale o prevista, di sostanze pericolose, oppure di sostanze pericolose che è ragionevole prevedere che possano essere generate, in caso di perdita del controllo dei processi, comprese le attività di deposito, in un impianto in seno allo stabilimento, in quantità pari o superiori alle quantità limite previste nella parte 1 o nella parte 2 dell’allegato 1.

In conformità all’articolo 3 e all’articolo 13, comma 2 del D.lgs. 105/2015, nel modulo di notifica e di informazione di cui alla Sezione B dell’Allegato 5 il gestore deve dichiarare le sostanze pericolose e la categoria delle sostanze pericolose e le quantità massime detenute, che sono o possono essere presenti in qualsiasi momento nello stabilimento. Tali quantitativi massimi devono essere considerati dallo stesso gestore, nell’ambito della notifica, al fine di determinare l’assoggettabilità dello stabilimento al D.lgs. 105/2015.

E’ possibile gestire, tramite un adeguato sistema gestionale, ove necessario informatico, la presenza in stabilimento di quantitativi variabili di sostanze pericolose e/o di categorie di sostanze pericolose al fine di mantenere la condizione di assoggettabilità al D.lgs. 105/2015 come stabilimento di soglia inferiore, a condizione che sia assicurata la piena conformità a quanto responsabilmente dichiarato nella notifica”.

Peraltro, come ha correttamente rilevato il Ministero per la Transizione Ecologica nella relazione depositata unitamente ai documenti richiesti dal T.A.R., nella seduta del Coordinamento è stato ribadito il principio per cui è da ritenere esclusa una valutazione momento per momento di assoggettabilità di un impianto alla c.d. normativa Seveso, e pertanto la risposta al quesito va pur sempre letta alla luce di tale premessa.

Esiste poi una differenza sostanziale rispetto alla situazione della ditta omissis che, a giudizio del Collegio, rende non assimilabili le due vicende. Infatti nel caso trattato dal Coordinamento l’impianto era già soggetto pacificamente agli obblighi Seveso, mentre il problema era rappresentato solo dalla classificazione dell’impianto come di soglia inferiore oppure di soglia superiore. Poiché la ricorrente ritiene di non dover essere in ogni caso assoggettata alla normativa Seveso, ne consegue che nei suoi riguardi il parere – la cui portata non può essere estesa arbitrariamente per analogia dall’interprete, viste anche le rilevanti conseguenze che ciò determinerebbe sull’intero sistema – è irrilevante.

Fra l’altro non è nemmeno dato sapere quale è il contenuto degli atti abilitativi in forza dei quali gli impianti di proprietà dei gestori che avevano formulato il quesito n. 16/2018 sono autorizzati ad operare, per cui non è escluso che l’assoggettabilità alla normativa Seveso dipenda dai quantitativi massimi teorici di sostanze pericolose che i suddetti gestori, in base all’A.I.A., possono detenere nei rispettivi impianti.

E, in questo senso, va evidenziato che nel verbale del 24 novembre 2020 il C.T.R. ha comunque evidenziato che la ditta omissis potrebbe legittimamente sottrarsi all’applicazione della normativa Seveso riducendo fisicamente la capacità di stoccaggio.

  1. Ad ogni buon conto, e con questo si passa a trattare della normativa di riferimento, il Tribunale non ritiene che, in assenza di regole certe ed uniformi (le quali andranno probabilmente concordate con l’Unione Europea, anche per evitare possibili procedure di infrazione), il meccanismo ipotizzato dalla società ricorrente sia compatibile con la direttiva 2012/18/UE.

9.1. Va infatti osservato che:

  • l’art. 3, n. 12, della direttiva così definisce la nozione di “presenza di sostanze pericolose”: “la presenza, reale o prevista, di sostanze pericolose nello stabilimento, oppure di sostanze pericolose che è ragionevole prevedere che possano essere generate, in caso di perdita del controllo dei processi, comprese le attività di deposito, in un impianto in seno allo stabilimento, in quantità pari o superiori alle quantità limite previste nella parte 1 o nella parte 2 dell’allegato I”;
  • per comprendere meglio la ratio della disposizione, è utile raffrontarla con quanto prevedeva l’omologo art. 3, n. 4), della previgente direttiva 96/82/CE, secondo cui per “sostanze pericolose” si intende “le sostanze, miscele o preparazioni elencate nell’allegato I, parte 1, o rispondenti ai criteri fissati nell’allegato I, parte 2, che sono presenti come materie prime, prodotti, sottoprodotti, residui o prodotti intermedi, ivi comprese quelle che possono ragionevolmente ritenersi generate in caso di incidente”;
  • come si può vedere, la norma previgente parlava unicamente di materie prime, prodotti, etc., “…presenti…” nell’impianto, aggiungendo comunque che bisognava considerare anche le sostanze pericolose che si possono verosimilmente produrre in caso di incidente (ad esempio le miscele gassose derivanti dalla combustione di materiali infiammabili). La direttiva attualmente in vigore, in un’ottica di rafforzamento della prevenzione, ha incisivamente modificato la definizione, parlando di “…presenza, reale o prevista, di sostanze pericolose nello stabilimento…” (e confermando comunque che nel conteggio vanno considerate anche le sostanze pericolose che si possono sprigionare a seguito di eventi straordinari, non necessariamente qualificabili come incidenti rilevanti, ma anche come semplice perdita di controllo dei processi produttivi). Va aggiunto che il concetto è ribadito anche dall’allegato I, nota n. 3, alla direttiva, laddove si dice che “Le quantità da prendere in considerazione ai fini dell’applicazione degli articoli sono le quantità massime che sono o possono essere presenti in qualsiasi momento”. Ed è presumibilmente questa la ragione per cui nel vigore della previgente direttiva (e della normativa nazionale di recepimento) gli impianti analoghi a quello gestito dalla ricorrente erano abilitati a verificare l’assoggettabilità alla c.d. normativa Seveso sulla base dei soli quantitativi di sostanze pericolose “effettivamente presenti” negli impianti medesimi.

9.2. Ora, come del resto riconosce la stessa ricorrente, non esiste una definizione normativa di presenza “…prevista…” (mentre per “presenza reale” si intende l’accertata presenza nell’impianto, in un dato momento, di sostanze pericolose in quantità superiori alla soglia inferiore di cui all’art. 3, n. 2, della direttiva n. 18 del 2012, il che, come si dirà infra, è rilevante nella specie), per cui a questo riguardo non può che farsi riferimento all’unico provvedimento che attesta ufficialmente la capacità dell’impianto, ossia l’A.I.A. o un analogo provvedimento autorizzativo.

E’ infatti l’autorizzazione integrata ambientale (o, comunque, l’analogo provvedimento che abilita il gestore ad esercire l’impianto, ad esempio l’autorizzazione ex art. 208 del T.U. n. 152/2006) a stabilire i quantitativi massimi di sostanze, prodotti, etc., che lo stabilimento è abilitato a ricevere e trattare nell’unità di tempo presa a riferimento (di solito si tratta del quantitativo massimo giornaliero), visto che tale dato influisce in maniera determinante anche sui limiti di emissione che l’impianto è tenuto a rispettare (limiti che vengono anch’essi fissati con l’A.I.A.).

Peraltro, se tali premesse sono corrette, non si comprende l’utilità per il gestore di introdurre una procedura interna finalizzata a fare in modo che nell’impianto non si attinga mai la soglia inferiore rilevanti ai fini della normativa Seveso, soprattutto se si comparano gli effetti di una tale misura con quelli che si avrebbero a seguito della riduzione “fisica” della capacità ricettiva (ossia la soluzione ritenuta praticabile dal C.T.R.).

Infatti, disporre di un impianto dotato di una certa capacità ricettiva e doverlo comunque sottoutilizzare costantemente per non entrare nel campo di applicazione del D.Lgs. n. 105/2015, produce alla fin fine lo stesso risultato del confinamento “fisico”, ossia la permanente riduzione della capacità dell’impianto.

In ogni caso, in nessun punto della direttiva 2012/18/UE vi è un qualsivoglia accenno alla possibilità che la individuazione dei quantitativi “previsti” di sostanze pericolose sia affidata all’autodeterminazione del gestore, sia pure attraverso procedure informatizzate, per cui, come si è già detto, in assenza di regole certe ed uniformi (che possono essere introdotte solo dal legislatore, comunitario o nazionale), allo stato attuale il principio di precauzione osta ad una tale fuga in avanti che, fra l’altro, avrebbe origine solo pretoria.

9.3. Fra l’altro, e con specifico riguardo al caso della ditta omissis, rileva comunque la nozione di presenza “reale” di sostanze pericolose, visto che in occasione della visita ispettiva condotta dal Gruppo di Lavoro nominato dal C.T.R. è stato riscontrato che (si veda il verbale del n. 6 del 28 gennaio 2020 – doc. allegato n. 7 al ricorso):

  • a differenza di quanto dichiarato dalla ditta nella relazione di assoggettabilità alla c.d. normativa Seveso, anche nel serbatoio S15 erano contenute sostanze con frasi di rischio almeno H411;
  • sempre nella relazione di assoggettabilità al D.Lgs. n. 105/2015, la ditta aveva considerato quale categoria maggiormente restrittiva la E2 con frasi di rischio H411, mentre dalle analisi eseguite in sede di sopralluogo è emersa la presenza di sostanza con frasi di rischio H410;
  • dalla documentazione relativa al procedimento di aggiornamento dell’A.I.A., emerge che la ditta ha la possibilità tecnica di impiegare i serbatoi per stoccare anche sostanze pericolose diverse da quelle considerate nella relazione di verifica;
  • l’azienda non dispone di una procedura gestionale idonea a consentire in ogni momento che i quantitativi di sostanze pericolose presenti non superi la soglia inferiore di cui all’allegato 1 al D.Lgs. n. 105/2015.

E’ vero che il consulente della ditta omissis, presente alla riunione, ha fornito alcuni chiarimenti su tali aspetti, ma, come emerge dal successivo verbale del 18 febbraio 2020 (doc. allegato n. 8 al ricorso), non tutte le criticità risultavano superate. E, come risulta dal verbale del G.d.L. dell’11 agosto 2020, le criticità non risultavano superate nemmeno dopo che la ditta ha elaborato una procedura operativa nell’ambito del proprio sistema gestionale ambientale.

E’ chiaro dunque che, anche a voler sposare un approccio sostanziale e non meramente teorico, al momento dei sopralluoghi ispettivi eseguiti dal G.d.L. sussistevano le condizioni per l’assoggettabilità dell’impianto alla c.d. normativa Seveso.

9.4. Né può essere enfatizzata più di tanto la richiesta che la ditta omissis, nell’ambito del procedimento di aggiornamento dell’A.I.A., ha rivolto alla Provincia di Ancona e alle altre amministrazioni partecipanti alla conferenza di servizi di inserire fra le prescrizioni dell’autorizzazione integrata anche quella relativa all’introduzione di una procedura interna finalizzata a consentire la verifica “momento per momento” dei quantitativi di sostanze pericolose presenti nello stabilimento.

Questo per due diversi motivi:

  • da un lato, perché, se è certamente vero che le pertinenti norme del D.Lgs. n. 152/2006 prevedono un coordinamento fra l’autorità competente a svolgere il procedimento di rilascio/rinnovo/modifica dell’A.I.A. e l’autorità competente in materia di applicazione della c.d. normativa Seveso, è altrettanto vero che quest’ultima potrebbe rilasciare un parere favorevole rispetto all’istanza della ditta omissis solo se tale parere è conforme alla legge;
  • dall’altro lato, e con specifico riguardo al versante processuale, perché il Tribunale, in base al disposto dell’art. 34, comma 2, c.p.a., non può pronunciarsi rispetto a poteri amministrativi non ancora esercitati.

9.5. Prima di esaminare l’istanza di rinvio pregiudiziale proposta in via subordinata dalla ricorrente, appare però indispensabile evidenziare un altro profilo, che ha valenza anche processuale.

La ditta omissis, in effetti, alle pagg. 10 e ss. del ricorso ha avviato un discorso relativo alla differenza sostanziale che intercorre fra la definizione di “sostanze pericolose” di cui alla direttiva 2012/18/UE e la nozione di “rifiuti pericolosi” rilevante invece ai fini della normativa sulla gestione dei rifiuti, evidenziando che:

  • la prima fa riferimento al c.d. Regolamento CLP (n. 1272/2008), mentre la seconda fa riferimento al Regolamento n. 1257/2014/UE;
  • non è detto che una sostanza qualificata come rifiuto pericoloso ai sensi del Reg. n. 1257/2014 lo sia anche fini dell’applicazione della c.d. direttiva Seveso.

Il Tribunale riconosce la correttezza di tali premesse, ma dal punto di vista processuale rileva il fatto che il ragionamento della ricorrente non è stato sviluppato con riguardo alla specifica situazione dell’impianto di Falconara Marittima, di talché non è possibile desumere se il discorso è foriero di implicazioni pratiche oppure se si tratta di un argomento meramente rafforzativo della tesi di fondo su cui poggia il ricorso (ossia il fatto che lo stabilimento de quo è attivo da quasi mezzo secolo e non ha mai dato adito ad alcuna problematica rilevante ai fini della normativa Seveso).

Fra l’altro, come si è detto al precedente § 9.3., in sede di sopralluogo eseguito dal G.d.L. presso l’impianto omissis è emerso che nello stesso sono trattate sostanze con frasi di rischio H410 e categoria di rischio E1 in quantitativi previsti tali da integrare la soglia inferiore di cui all’allegato 1 al D.Lgs. n. 105/2015.

9.6. Tornando quindi all’istanza di rinvio pregiudiziale, il Tribunale non ritiene che sussistano i presupposti per investire la Corte di Giustizia UE della questione, atteso che:

  • come si è ampiamente evidenziato supra, le pertinenti disposizioni della direttiva 2012/18/UE presentano una formulazione chiara ed univoca, ergo non sussiste alcuna questione interpretativa che richieda l’autorevole avallo della Corte;
  • in ogni caso, non esiste al momento attuale una prassi nazionale consolidata di cui occorre verificare la compatibilità con la direttiva. La prassi a cui si richiama la ricorrente, infatti, non esiste (perché non si è a conoscenza di provvedimenti autorizzativi rilasciati, a seguito del parere del Coordinamento Nazionale, in favore di gestori in precedenza non soggetti agli obblighi di cui al D.Lgs. n. 105/2015 e che ne siano stati formalmente esentati in ragione dell’implementazione di procedure interne finalizzate ad evitare l’ingresso nei rispettivi impianti di sostanze pericolose in quantitativi tali da integrare la soglia inferiore) e comunque non sarebbe consolidata;
  • l’esigenza del rinvio pregiudiziale insorgerebbe solo nel momento in cui un soggetto terzo impugnasse un provvedimento autorizzativo che, in base al parere del Coordinamento Nazionale, abbia esonerato un gestore dagli obblighi di cui al D.Lgs. n. 105/2015.
  1. Per tutto quanto precede, il ricorso introduttivo va respinto, mentre i motivi aggiunti vanno dichiarati improcedibili.

Le spese del giudizio si possono compensare, attesa la novità e la complessità delle questioni sottoposte all’esame del Tribunale.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti:

  • respinge il ricorso introduttivo;
  • dichiara improcedibili i motivi aggiunti;
  • compensa le spese del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso nella camera di consiglio del giorno 9 giugno 2021 con l’intervento dei sottoindicati magistrati (collegati da remoto):

omissis Presidente

omissis Consigliere, Estensore

omissis Consigliere

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