Controcopertina Maggio 2024

La cipressseta di Fontegreca

La cipresseta naturale, che costituisce il bosco degli Zappini, si estende al di sopra del paese di Fontegreca, lungo la vallata del fiume Sava, ed è particolare per la rarità del tipo di cipresso e per la bellezza dei luoghi.

Infatti il cipresso, albero sempreverde, molto longevo, è qui presente nella varietà horizontalis, che ha rami patenti o quasi orizzontali ed il cui tronco è per buona parte libero da rami; diversamente nella varietà pyramidalis o stricta i rami sono appressati, eretti, e il tronco è spesso ramificato fin dalla base.

Il nome del genere deriva probabilmente da Cyprus, nome latino dell’isola di Cipro da cui Cupressus, nome latino del cipresso comune, derivato dal greco cypárissos, a sua volta originato forse dall’accadico kapárru-ísu “saldo-albero”, oppure dall’ebraico gopher, nome dell’albero il cui legno fu utilizzato per costruire l’Arca. L’attributo sempervirens “sempreverde“ viene da semper “sempre” e da virens “verdeggiante” per la permanenza delle foglie per tutto l’anno; horizontalis (da horizon “orizzonte”) allude invece al fatto che l’albero si presenta prostrato poiché si espande orizzontalmente.

Il bosco di Fontegreca rappresenta perciò, per le sue caratteristiche botaniche, un raro esempio di cipresseta, essendo composto esclusivamente da individui della varietà Cupressus horizontalis, i cui rami si sviluppano perpendicolarmente rispetto al fusto. Esso è l’unico bosco di tal genere in Italia, con una grande estensione (circa 40 ettari) e con alberi di oltre 500 anni, e costituisce una tra le più importanti cipressete del Mediterraneo.

Le prime notizie storiche del Bosco degli Zappini risalgono al 1506 e nel 1644 Gian Vincenzo Ciarlante, arciprete della cattedrale di Isernia, nell’opera “Memoria historica del Sannio”, a riguardo scriveva: “È una bella selva solo di alti e folti cipressi…alberi sì grossi e grandi da’ quali non poca utilità e comodità si cava, poiché vi si tagliano legni fuor di modo lunghi, larghi ed odoriferi.

La Cipresseta è ubicata all’ingresso del paese di Fontegreca, dove è presente anche il Santuario della Madonna dei Cipressi, alle pendici del Monte Scoltrone (altezza di 1019 m s. l. m.) ed è attraversata dal torrente Sava che nasce nel Massiccio del Matese, nei pressi del fiume Lete.

Alimentato da ben 57 sorgenti, quest’ultimo si inabissa per circa cinquecento metri nel sistema di grotte carsiche del Caùto. Forse per questo motivo il Lete è stato identificato, sin dall’antichità, come il fiume dell’oblio in numerosi miti e leggende. Platone nella Repubblica e Virgilio nell’Eneide attribuivano alle sue acque il potere di far dimenticare la vita passata alle anime prossime alla reincarnazione. Anche le anime del Purgatorio dantesco si immergevano nelle sue acque per dimenticare i propri peccati e lavarsi delle colpe terrene prima dell’ascesa in Paradiso.

Anche il torrente Sava, come il Lete, sia in quota sia a valle è interessato da molte grotte e risorgenze, delle quali la formazione carsica maggiore è l’inghiottitoio che si trova presso Gallo. Qui, dove il suo corso è sbarrato da una diga, il Sava forma il lago di Gallo Matese, dal colore cangiante verde/azzurro, di ben 19 milioni di metri cubi d’acqua, utilizzati per alimentare la centrale idroelettrica dell’ENEL di Capriati a Volturno.

Molto più a valle il torrente Sava, scendendo dolcemente dalla montagna, raggiunge la cipresseta formando decine di piccole cascate e pozze di acqua azzurra cristallina.

I primi abitanti di questi luoghi furono gli Osci, seguiti poi dai Sanniti.

Alle pendici rocciose del monte La Rocca, un piccolo abitato dominante la pianura sottostante ebbe origine intorno all’anno mille per opera dei pastori di Gallo e Letino. Proprio a questi, che d’inverno sfruttavano i pascoli di fondovalle per condurvi il bestiame, si ritiene debba essere attribuito anche il suo primo nome di Fossaceca, “fossa nascosta”, quale abitato nascosto tra le rocce del monte.

Per la sua posizione strategica, in quanto punto più alto, e quindi luogo di facile difesa, il sito fu utilizzato come roccaforte durante l’ultima fase del periodo longobardo e in età normanna, quando fu feudo di Guglielmo di Fossaceca.

Più tardi, come molti altri centri di origine feudale, fu donato alla Chiesa ed appartenne al monastero di San Vincenzo al Volturno; in seguito la vedova del conte Ranulfo II di Alife, morto nel 1139, lo donò con altre terre a Montecassino.

Nel 1269, dopo varie vicissitudini, tutte queste terre passarono al feudatario Guglielmo Stendardo e Fossaceca, insieme a Capriati a Volturno, Ciorlano e Pratella, fece parte della Baronia di Prata di cui poi seguì la storia.

Dopo l’unità d’Italia, nel 1862, il Consiglio Municipale di Fossaceca ne cambiò il nome in Fontegreca, derivando la prima parte di questo, Fonte, da una fonte di acqua freschissima e la seconda parte, greca, da antichi manoscritti privati e pubblici che citavano il Comune con il nome di Fossa Graeca.

Nel 1927, quando fu soppressa la provincia di Caserta, Fontegreca passò alla provincia di Campobasso e nel 1945, dopo la guerra, tornò di nuovo a quella di Caserta.

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