Controcopertina Gennaio 2024

Monte Cavo

Il monte Cavo era denominato anticamente Mons Albanus, monte di Alba, che richiama Alba Longa, la mitica capitale dei popoli Latini; il suo nome attuale deriva da Cabum, abitato protostorico latino sviluppatosi nell’età del bronzo finale e nella prima età del ferro (XII-VIII secolo a.C.), corrispondente come sito a Rocca di Papa; da esso derivò prima il nome di monte Gabo e poi monte Cavo, mentre l’antico abitato divenne “Rocca de Monte Gavo” e “Castrum de Montis Albani”, quindi Rocca di Papa in onore del Pontefice Eugenio III.

Sembra anche che la via Latina, di origine neolitica, avesse come punto d’arrivo proprio Cabum (in etrusco Cape), da cui deriverebbe anche il nome della porta delle antiche mura repubblicane di Roma, Capena, posta ad un crocevia di antiche vie di transumanza.

Il territorio degli antichi Latini era il Latium, che da loro prendeva il nome, costituito in origine (Latium vetus) dalla regione storico-geografica comprendente la costa tirrenica dal Tevere sino al Circeo, che confinava perciò a nord con l’Etruria e ad est con gli Appennini, dove sul lato interno erano stanziati Volsci, Osci ed Ausoni, mentre al di là dei monti erano stanziati Sanniti e Peligni. Il Latium si estese poi verso sud dal Circeo al Liri (Latium adiectum, Lazio “aggiunto”), un territorio che i Romani avevano aggregato in seguito alle loro progressive conquiste verso sud.

Il Monte Cavo è la seconda “cima” per altezza del complesso dei Colli Albani, detto anche Vulcano Laziale, quiescente da circa 10 000 anni; è adiacente alla caldera vulcanica che arriva fino al Maschio delle Faete e presenta la caratteristica forma conica, costituitasi con le scorie della lava eruttata che, una volta raffreddate e solidificate, hanno raggiunto i 949 m s.l.m..

Tuttavia Tito Livio nella sua Storia Romana riporta che sotto re Tullo Ostilio il vulcano riprese la sua attività; lo storico si riferiva forse all’eruzione avvenuta tra il 673 e il 641 a.C. con una pioggia di lapilli. Poiché episodi del genere, durati molti giorni, in quell’epoca si presentarono in tutta l’area dei Colli Albani., fu stabilito che ogni volta fosse accaduto lo stesso prodigio si sarebbero celebrati nove giorni di festività, dette Novendiales: “Devictis Sabinis cum in magna gloria magnisque opibus regnum Tulli ac tota res Romana esset, nuntiatum regi patribusque est in Monte Albano lapidibus pluvisse”. Cioè: “Sconfitti i Sabini, quando ormai il regno di Tullo Ostilio e la potenza di Roma avevano raggiunto il vertice della gloria e della ricchezza, venne annunciato al re e ai senatori che sul monte Albano stavano piovendo pietre”.

Dalla cima del monte la vista spazia a sud e ovest sul Lago di Nemi e il sottostante Lago di Albano, a ovest il Mar Tirreno, ad est e sud le altre cime dei Colli, a nord-est i Monti Tiburtini; infine a nord la città di Roma e, se la visibilità atmosferica è buona, la vista arriva a nord sul Monte Soratte, i Monti Sabatini e i Monti Cimini, a sud verso l’Agro Pontino e le isole Ponziane.

Per le popolazioni latine fin dai tempi remoti il Mons Albanus era la montagna sacra per eccellenza, dimora di Giove, il padre di tutti gli dei, denominato col suo appellativo locale di Iuppiter Latiaris.

Il santuario posto sulla sua cima era il luogo di riferimento ed il simbolo di unione delle città confederate della lega latina. Ogni anno durante le Feriae Latinae, che duravano quattro giorni e si svolgevano tra gennaio e marzo, le popolazioni latine convenivano qui per festeggiare il loro nume tutelare; alla festa partecipavano 47 città, di cui 30 latine e 17 federate, e qui veniva nominato il capo della confederazione latina, il Dictator Latinus; alle celebrazioni partecipavano anche genti della Sabina e dell’Etruria.

In questo periodo ci si asteneva da ogni conflitto per ascendere collettivamente verso il santuario e celebrare il padre di tutti gli dèi; si deponevano le armi e tutti i delegati delle 47 città confederate latine partecipavano al pellegrinaggio.

Il momento di maggior prestigio del santuario fu il periodo precedente all’affermazione della supremazia di Roma sulle popolazioni latine; allora il santuario di Giove, insieme a quello di Diana Nemorense , la dea protettrice della caccia e della pesca, patrona dei parti e divinità degli inferi, costituirono il centro della vita religiosa e politica della Lega Latina, dove si stringevano e si rinnovavano alleanze.

Allora il re Tarquinio Prisco (616 a.C. – 579 a.C.) stabilì sulla cima del Mons Albanus un tempio comune ai Latini, agli Ernici ed ai Volsci dove ogni anno si sarebbero celebrate feste in onore di Iuppiter Latiaris. Mentre il re Servio Tullio fece edificare il tempio di Diana dove si svolgevano solenni festeggiamenti a lei dedicati il 13 agosto, festa dei servi ” dies servorum”, poiché era anche la dea protettrice degli schiavi.

Il culto di Giove Laziale e quello di Diana Aricina erano in stretta relazione tra di loro e rappresentavano per il popolo latino un riferimento cosmico in cui l’alto era rappresentato dal tempio di Giove Laziale sulla vetta del monte Albano ed il basso dal santuario di Diana nel bosco Aricino.

Più tardi, quando nel 507 a.C. circa sotto i Tarquini, fu eretto sul Campidoglio il tempio di Iuppiter Capitolinus, il centro del culto di Giove dei Romani si spostò a Roma; egualmente avvenne con la costruzione del tempio di Diana sull’Aventino, che costituì l’alternativa al culto di Diana Nemorense.

Il tempio di Giove sul colle Capitolino venne così a contrapporsi a quello di Giove Laziale.

Fu però salvaguardata la continuità del culto, posizionando il tempio di Roma in asse visivo con il tempio sul Mons Albanus, ben visibile dall’alto della rupe capitolina; quest’ultimo, ricostruito in pietra da Tarquinio il Superbo verso la fine del VI sec. a.c., rimase un centro religioso molto importante.

I Consoli appena insediati infatti dovevano sacrificare a Giove Laziale e indire le “ferie latine”, durante le quali era sacrificato un toro dalle bianche carni, poi distribuito ai vari rappresentanti della “nazione” latina come simbolo di amicizia e fratellanza; era poi prassi che i Consoli romani si recassero sul Monte Albano per ringraziare Giove quando uno di essi otteneva una vittoria in guerra e lì venivano anche celebrate le “ovazioni” (da ovis, la pecora che veniva offerta in sacrificio), cioè i trionfi minori, di quei generali che erano riusciti a vincere il nemico più con la diplomazia che con le armi, oppure per i quali non era stato decretato il trionfo sul Campidoglio.

Pertanto sul mons Albanus si continuarono a celebrare trionfi importanti. Gli scrittori latini riportano che il primo a celebrare un trionfo sul Monte Albano fu nel 231 a.C. il console Papirio Masone, seguito alcuni anni dopo da M. Claudio Marcello vincitore di Siracusa, il quale nel 212 a. C. salì la Via Sacra con otto elefanti e tutto il bottino di tesori e di macchine da guerra (comprese quelle di Archimede); poi vi fu il trionfo di Paolo Emilio – conquistatore, nel 168 a.C., della Macedonia che qui fece sfilare per tre giorni bottini e prigionieri, tra cui il re Perseo e la sua famiglia.

Anche Giulio Cesare, dopo ben quattro trionfi tenuti a Roma, nel 45 a.C. ne celebrò anche uno sul Monte Albano.

Il percorso che portava da Roma al Tempio di Juppiter Latialis si distaccava dalla Via Appia ad Ariccia e seguiva la sponda Est del Lago di Albano-Castelgandolfo fino all’attuale località di Palazzolo (dove forse sorgeva in passato la città di Albalonga, la cui fondazione nel XII secolo a.C., secondo la leggenda era attribuita ad Ascanio, figlio di Enea). Da qui si raggiungeva la base del Monte dove iniziava la Via Sacra vera e propria che era chiamata anche via Trionfale come quella che entrava a Roma da nord e che celebrava il trionfo su Veio.

Sebbene il santuario su monte Cavo col tempo avesse perso il suo significato, le Feriae Latinae continuarono ad essere celebrate dai Romani fino al 392 d.C., quando con l’editto di Teodosio fu proibito definitivamente qualunque rito pagano.

Nel medioevo il tempio di Iuppiter Latiaris venne demolito e nel sito fu costruito un eremo dedicato a San Pietro, ad opera di un eremita dalmata. Lì si stabilirono successivamente i religiosi polacchi e i Trinitari spagnoli ed infine i Missionari fiamminghi. Il romitorio fu poi convertito in monastero nel 1727. Nel 1758 vi si stabilirono i passionisti di San Paolo della Croce e nel 1783 fu restaurato, per volere di Enrico Benedetto Stuart, duca di York, vescovo della diocesi di Frascati, usando i materiali del tempio di Giove.

I missionari abbandonarono il monastero nel 1889, quando i Colonna affittarono l’ultimo piano dello stabile al Ministero dell’Agricoltura, che lo lasciò nel 1890 quando fu adibito ad albergo; ma anche questo nel 1942 fu smantellato e la struttura venne impiegata dalle forze armate tedesche come stazione per le telecomunicazioni. E da allora le antenne dominano Monte Cavo.

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