Consiglio di Stato 2 maggio 2022, n. 3426

Obbligo di bonifica e messa in sicurezza

Sentenza Consiglio di Stato 2 maggio 2022, n. 3426

L’impossibilità di imporre le opere di bonifica al proprietario di un terreno inquinato non responsabile del relativo inquinamento è stata affermata a partire dalla nota sentenza Corte di giustizia Ue, sezione III, 4 marzo 2015 C 534-13 (su ordinanza di rinvio pregiudiziale dell’Adunanza plenaria 13 novembre 2013 n. 25). La sentenza della Corte in questione, alla lettera, stabilisce che “La direttiva 2004/35/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, deve essere interpretata nel senso che non osta a una normativa nazionale come quella di cui trattasi nel procedimento principale, la quale, nell’ipotesi in cui sia impossibile individuare il responsabile della contaminazione di un sito o ottenere da quest’ultimo le misure di riparazione, non consente all’autorità competente di imporre l’esecuzione delle misure di prevenzione e di riparazione al proprietario di tale sito, non responsabile della contaminazione”.

La successiva giurisprudenza nazionale ha però precisato l’assunto, ed è giunta ad affermare che l’impossibilità di imporre le misure di bonifica al proprietario non responsabile della contaminazione si giustifica, in sintesi estrema, per la natura sanzionatoria di questa misura. Diverso discorso si deve fare invece per le misure di messa in sicurezza di emergenza, le quali, così come le misure di prevenzione, non hanno questa natura, ma costituiscono prevenzione dei danni, sono imposte dal principio di precauzione e dal correlato principio dell’azione preventiva, e quindi gravano sul proprietario o detentore del sito da cui possano scaturire i danni all’ambiente solo perché egli è tale senza necessità di accertarne il dolo o la colpa (in questi termini, la costante giurisprudenza, per tutte Consiglio di Stato, sezione IV, 26 febbraio 2021, n. 1658; sezione VI, 3 gennaio 2019, n. 81; sezione V, 8 marzo 2017, n. 1089; 14 aprile 2016, n. 1509

La regola così delineata non consente eccezioni nei casi di presunta “contaminazione storica” – quand’anche in via di ipotesi la si ritenesse sussistere nel caso di specie — che anzi la normativa ricomprende in modo espresso all’articolo 242 comma 1 del Dlgs n. 152/2006 , e ciò è conforme alogica, trattandosi comunque di fronteggiare un pericolo attuale, indipendentemente dall’epoca in cui se ne sono poste le premesse (così per tutte la citata sezione IV n. 1658/2021 nonché nello stesso senso sezione IV, 8 ottobre 2018 n. 5761).

Nesso tra causa e effetto

(…) in materia ambientale l’accertamento del nesso fra una determinata presunta causa di inquinamento ed i relativi effetti -accertamento che evidentemente rileva per decidere se determinati interventi per eliminarlo siano giustificati— si basa sul criterio del “più probabile che non”, ovvero richiede semplicemente che il nesso eziologico ipotizzato dall’autorità competente sia più probabile della sua negazione (in questo senso la costante giurisprudenza, per tutte Consiglio di Stato, Ad. plen. n. 10 del 2019; successivamente, sezione IV, 7 gennaio2021 n. 172).

Il principio di precauzione

Il richiamo al principio di precauzione fatto dalla ricorrente appellante richiede poi una precisazione ulteriore. (…) l’applicazione del principio non si può fondare sull’apprezzamento di un rischio puramente ipotetico, fondato su mere supposizioni allo stato non ancora verificate in termini scientifici, ma richiede comunque un modello teorico che spieghi quale sia il rischio e come e perché esso potrebbe verificarsi, anche se con un livello modesto di possibilità, in accordo con il già descritto criterio del “più probabile che non” (così Corte di giustizia Ue, 9 settembre2003, C-236/01 (omissis), e conformi, fra le molte, 5 febbraio 2004, C— 24/00(omissis), nonché, nella giurisprudenza nazionale, Consiglio di Stato, sezione IV, 14luglio 2020 n. 4544; sezione VI, 19 gennaio 2010, n. 183).

Consiglio di Stato

Sentenza 2 maggio 2022, n. 3426

Repubblica italiana

in nome del popolo italiano

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione quarta)

ha pronunciato la presente

Sentenza

sul ricorso numero di registro generale 4338 del 2020, proposto dalla società (omissis) già (omissis), in persona del legale rappresentante protempore, rappresentata e difesa dall’avvocato (omissis), con domicilio digitale come da Pec da Registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio del difensore, in (omissis); contro

il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, ora della transizione ecologica, non costituito in giudizio;

l’Arpa — Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente della Lombardia, la Regione Lombardia, la Provincia di (omissis), il Comune di (omissis), l’Ats — Agenzia di tutela della salute della (omissis) e il Parco regionale del (omissis), non costituiti in giudizio;

l’Inail — Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati (omissis), con domicilio digitale come da Pec da Registri di giustizia;

nei confronti

della società (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati (omissis), con domicilio digitale come da Pec da Registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato (omissis); sul ricorso numero di registro generale 4342 del 2020, proposto dalla società (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato (omissis), con domicilio digitale come da Pec da Registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio del difensore, in (omissis); contro

il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, ora della transizione ecologica, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12; l’Inail — Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati (omissis), con domicilio digitale come da Pec da Registri di giustizia; l’Arpa — Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente della Lombardia, la Regione Lombardia la Provincia di (omissis), il Comune di (omissis), l’Ats — Agenzia di tutela della salute della (omissis) e il Parco regionale del (omissis), non costituiti in giudizio; nei confronti

della società (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati (omissis), con domicilio digitale come da Pec da Registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato (omissis) in (omissis);

per la riforma

della sentenza del Tar per la Lombardia, Brescia, sezione I, 25 settembre 2019 n. 831, che ha pronunciato sui ricorsi riuniti nn. 805/2018 e 806/2018 R.G. integrati da motivi aggiunti, proposti per l’annullamento dei seguenti atti del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare concernenti il sito di bonifica di interesse nazionale “Laghi di Mantova e Polo chimico”: (ricorsi introduttivi)

a) provvedimento 30 maggio 2018 prot. n. 0011029, con il quale il direttore della Direzione generale per la salvaguardia del territorio e delle acque, allo scopo di rimuovere o di confinare la fonte primaria di contaminazione costituita dal mercurio metallico liquido, ha prescritto alla (omissis), in quanto proprietaria dell’area, ovvero alla (omissis) e alla (omissis), in quanto responsabili della contaminazione, di completare nel minor tempo tecnico gli interventi di bonifica approvati con il precedente decreto 11 agosto 2014 prot. n. 5211/TRI/DI/B e di adottare nelle more ulteriori misure di prevenzione e di messa in sicurezza di emergenza;

(motivi aggiunti)

b) provvedimento 1 agosto 2018 prot. n.15937, con il quale lo stesso direttore ha respinto la richiesta di riesame del provvedimento di cui sopra, formulata rispettivamente dalla (omissis) con nota del 9 luglio 2018 e dalla (omissis) con nota del 10 luglio 2018.

Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, ora della transizione ecologica, e dell’Inail, nonché della società (omissis);

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 marzo 2022 il consigliere (omissis) e

uditi per le parti gli avvocati (omissis);

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

Fatto e diritto

1. Il Polo chimico di Mantova, per fatto notorio, è un complesso di industrie chimiche e petrolchimiche, esteso per circa 10 km quadrati, che si trova sul lato dei laghi di Mantova opposto all’abitato, è attivo dalla metà degli anni Cinquanta del secolo scorso ad oggi e, per il grave inquinamento da esso determinato, è stato classificato ai fini della sua bonifica e del ripristino ambientale come “sito di interesse nazionale” dall’articolo 1 comma 4 lettera p-nonies) della legge 9 dicembre 1998 n. 426 e perimetrato con Dm 7 febbraio 2003.

2. È processo per una delle ricadute sull’ambiente causate da uno degli stabilimenti compresi in questo sito, ovvero dall’impianto per la produzione del “cloro-soda”, che è stato in funzione dal 1957 al 1991, e produceva cloro e soda caustica a partire dal salgemma, sciolto in acqua a formare una soluzione di cloruro di sodio successivamente sottoposta ad elettrolisi attraverso 104 celle elettrolitiche a catodo di mercurio, secondo il cd. Metodo Castner-Kellner.

3. Le vicende della proprietà dell’impianto si riepilogano così come segue (fatti storici comunque non controversi e da ritenere localmente notori, accennati nella sentenza impugnata e ricostruiti nel dettaglio, per tutte, dalla sentenza della sezione 13 marzo 2021 n. 2138).

3.1. Dal 1957 al 1966 la proprietà e la gestione dell’impianto cloro-soda hanno fatto capo ad una società denominata (omissis), controllata dall’originale (omissis), ovvero da una società storica omonima dell’attuale intimata appellata, ma non coincidente con essa.

3.2. In seguito, dal 1966 al 30 giugno 1989, la proprietà e la gestione sono rimaste all’interno del gruppo (omissis), e sono passate in successione, alla (omissis), alla (omissis) per conferimento ad essa da parte della (omissis) e dal 2 giugno 1989 alla (omissis) per conferimento ad essa dell’azienda da parte della (omissis).

3.3. Il 30 giugno 1989 la (omissis) è stata conferita nella (omissis) joint venture tra (omissis) e (omissis), costituita in base ad un accordo del 15 dicembre 1988. La (omissis) è quindi subentrata sia nella proprietà sia nella gestione dell’impianto. In seguito alla risoluzione dell’accordo tra (omissis) e (omissis), a partire dal 22 novembre 1990, il controllo esclusivo della (omissis) è passato alla (omissis). Dal 18 gennaio 1991 la (omissis) è stata ridenominata (omissis), dal 30 aprile 2003 (omissis) e dal 30 novembre 2019 (omissis), denominazione con la quale opera oggi.

3.4. La gestione dell’impianto è terminata nel dicembre 1991. A partire dal 1 gennaio 2002 la proprietà dell’area è passata alla (omissis), poi divenuta (omissis), e infine, dal 5 aprile 2012, (omissis). A sua volta, la (omissis) nel 2002 si è fusa con altre società, dando origine alla nuova (omissis), come si è detto attuale intimata appellata.

4. L’impianto in questione ha causato nell’area un grave inquinamento derivante in massima parte dal mercurio degli elettrodi di cui si è detto, che si disperdeva nell’ambiente, e per la parte residua da altre sostanze che si formavano nella lavorazione, in particolare da diossine e furani. Per questo inquinamento, la Provincia di (omissis), Ente competente, ha individuato come responsabili della contaminazione per una percentuale pari al 99,57% l’attuale intimata (omissis) e per la percentuale restante la (omissis), ora come si è detto (omissis) (v. doc. 10 in I grado ricorrente appellante in ricorso 805/2018). Si ricorda per completezza che le impugnazioni proposte contro quest’ordinanza sono state respinte con la sentenza della sezione 1 aprile 2020 n. 2195, passata in giudicato (dopo che sono stati dichiarati inammissibili i ricorsi per revocazione e ai sensi dell’articolo 111 Costituzione proposti contro di essa, rispettivamente con la ricordata sentenza della sezione 12 marzo 2021 n. 2138 e con la sentenza della Cassazione civile, Sezioni Unite, 26 marzo 2021 n. 8569).

5. Viceversa, la (omissis) non ha mai svolto e non svolge attività produttive che comportano l’uso del mercurio, dato che produce e commercializza prodotti petrolchimici. Di conseguenza, questa società non è mai stata finora ritenuta responsabile dalle autorità competenti per danno ambientale; è stata però nel corso degli anni destinataria di provvedimenti connessi alla messa in sicurezza e bonifica del sito nella sua qualità di proprietario e gestore dell’area (sentenza impugnata 1144/2016 p. 4, anche questo fatto è pacifico).

6. Tanto premesso, in questo processo si controverte di alcuni dei provvedimenti adottati dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare – Mattm per porre rimedio alla situazione descritta relativamente all’inquinamento riscontrato nel fabbricato “ex sala celle”, ovvero nel fabbricato — attualmente dismesso e situato in un’area ora di proprietà della (omissis)— in cui si trovavano le celle elettrolitiche dell’impianto cloro-soda di cui si è detto, e nel quale è stata riscontrata la presenza di mercurio metallico liquido (doc. 1 in I grado ricorrente appellante in ricorso 805/2018 Tar Lombardia Brescia, provvedimento 30 maggio 2018 di cui subito).

7. Il primo di questi provvedimenti è il decreto 30 maggio 2018 prot. n. 0011029, che si riassume nei suoi contenuti così come segue (doc. 1 in I grado ricorrente appellante in ricorso 805/2018 Tar Lombardia Brescia, cit.).

7.1. In primo luogo, il provvedimento dà atto per chiarezza che si riferisce alla ex sala celle, e che sul posto, a seguito della caratterizzazione, è stato rinvenuto il mercurio metallico liquido di cui si è detto. In particolare, spiega che dai dati di caratterizzazione sono risultate concentrazioni di mercurio superiori alle concentrazioni soglia di contaminazione — Csc anzitutto in 24 campioni di suolo su 76 prelevati, con un valore massimo di 13.341,7 mg/kg. Si precisa sempre per chiarezza che per terreni ad uso commerciale ed industriale, la Csc, ovvero la concentrazione di inquinante che, ove superata, richiede di attivare interventi di bonifica, per il mercurio è di 5 mg/kg. Il provvedimento spiega ancora che concentrazioni di mercurio superiori alla Csc sono stati trovati anche nelle acque sotterranee, ovvero in cinque campioni prelevati da altrettanti piezometri specificamente indicati. Ancora per chiarezza, si ricorda che nel sito di M., come è notorio, è stata realizzata la cd barriera idraulica, ovvero un insieme di pozzi, detti appunto piezometri, opportunamente posizionati, che prelevano acqua dalla falda sotterranea e così facendo creano nel terreno profondo una depressione che attira a sé gli inquinanti ivi presenti.

7.2. Il provvedimento prosegue ricordando l’ordinanza della Provincia di (omissis) che, come si è detto, ha individuato come responsabili di questa contaminazione la (omissis) e la allora (omissis) e il provvedimento ministeriale che ha inteso ovviare a questa situazione, ovvero il decreto direttoriale 11 agosto 2014 prot. 5211/TRI/DI/B dell’11 agosto 2014 di approvazione del progetto di bonifica presentato dalla (omissis) e notificato anche alle responsabili della contaminazione (il decreto 11 agosto 2014 è il doc. 3 in I grado ricorrente appellante in ricorso 805/2018 Tar Lombardia Brescia).

7.3. Così ricostruito il contesto, il provvedimento dà atto di una relazione dell’Arpa, di validazione della campagna di monitoraggio 2017, secondo la quale la presenza di mercurio in due dei piezometri interessati, quelli a valle della sala celle siglati CS5 bis e CS5 ter, “testimonia come il passaggio di tale contaminante dal terreno alle acque sotterranee sia attivo e continuo nel tempo”. La stessa relazione informa che nelle canaline di raccolta acque situate all’interno del fabbricato dismesso è stato ritrovato il mercurio più volte citato, e che quindi la bonifica è sospesa fin quando esso non verrà rimosso, attività che l’Arpa stessa informa di avere sollecitato alle società interessate.

7.4. Il provvedimento 30 maggio 2018 dà poi atto della posizione della (omissis), la quale in buona sostanza ha rifiutato di attivarsi ulteriormente, per due ragioni. Anzitutto, osservato che la propria quota di responsabilità così come determinata dalla Provincia è solo dello 0.43%, ha dedotto di avere ampiamento adempiuto pro quota agli oneri su di essa incombenti. In altre parole, la tesi di questa società è che il responsabile di un inquinamento non sarebbe tenuto a spendere per eliminarlo più della parte delle risorse a ciò richieste corrispondente alla propria quota di responsabilità. Inoltre, la (omissis) sostiene che “l’eventuale presenza di sacche di mercurio era un evento già previsto nel decreto” originario, ed essa “pertanto non si configura come nuova evidenza non attesa”; inoltre la relativa contaminazione a suo avviso non sarebbe a rischio di diffondersi, e quindi “non ricorre … la necessità di attivare misure di una messa insicurezza bensì dovrà essere unicamente condotta la rimozione del mercurio metallico con tutte le accortezze necessarie ad evitare fenomeni di dispersione”.

7.5 Il provvedimento 30 maggio 2018 respinge le valutazioni della società e condivide quelle dell’Arpa, e di conseguenza chiede:

a) “alla (omissis) (in quanto proprietario dell’area) e/o alla (omissis) e alla (omissis) (in quanto responsabili della contaminazione riscontrata) di individuare ed avviare, nelle more del completamento degli interventi approvati con decreto 5211/TRI dell’11 agosto 2014, ulteriori misure di prevenzione/messa in sicurezza d’emergenza, al fine di rimuovere e/o confinare la fonte primaria di contaminazione riscontrata costituita dalla presenza di mercurio metallico liquido”;

b) alla (omissis) e alla (omissis) di completare nel più breve tempo gli interventi prescritti dal citato decreto 11 agosto 2014.

8. Contro questo provvedimento, hanno proposto impugnazione avanti il Tar Lombardia Brescia la (omissis), con il ricorso principale nel procedimento n. 805/2018 r.g., e la (omissis), con il ricorso principale nel procedimento n. 806/2018 r.g. di quel Tribunale.

9. Parallelamente, queste due società hanno indirizzato al Ministero, rispettivamente il giorno 9 luglio 2018 la (omissis) e il giorno 10 luglio 2018 (omissis), due distinte istanze con allegata relazione tecnica di parte redatta da certo prof. (omissis), sostanzialmente di identico contenuto (doc.ti 17 e 18 in I grado ricorrente appellante in ricorso 805/2018 e doc. ti 18 e 19 in I grado ricorrente appellante in ricorso 806/2018), con cui hanno chiesto la revoca del provvedimento appena descritto. In sintesi la (omissis) ha ripetuto, con maggiore ampiezza di argomenti, le tesi di parte esposte nel provvedimento stesso, ovvero che essa avrebbe già speso più risorse di quanto da lei si potrebbe esigere, e che il mercurio metallico riscontrato nella ex sala celle sarebbe confinato sul posto, non rischierebbe di disperdersi e quindi non richiederebbe interventi ulteriori rispetto alla semplice sua rimozione. La (omissis) ha condiviso quest’ultima tesi e, quanto alla propria specifica posizione ha dedotto che, come proprietario incolpevole, non potrebbe comunque a suo avviso essere obbligata ad una messa in sicurezza di emergenza.

10. Il Ministero ha risposto con il provvedimento 1 agosto 2018 prot. n.15937di cui in epigrafe, con il quale ha respinto le istanze riportandosi, in sostanza, a quanto risulta dalla relazione dell’Arpa di cui si è detto (doc. 2 in I grado ricorrente appellante in ricorso 805/2018).

11. Contro quest’ultimo provvedimento, la (omissis) e la (omissis) hanno proposto motivi aggiunti rispettivamente nel procedimento n. 805/2018 r.g. e nel procedimento n. 806/2018 r.g. Tar Lombardia Brescia.

12. Con la sentenza meglio indicata in epigrafe, il Tar ha riunito i richiamati ricorsi 805 e 806 del 2018 in questione e li ha respinti entrambi per intero, con la motivazione che ora si riassume.

12.1. In primo luogo, il Tar ha respinto il motivo, di carattere procedurale, per cui gli atti impugnati sarebbero stati illegittimi perché non adottati all’esito di una conferenza di servizi. In proposito, ha infatti ritenuto che comunque la mancata convocazione della conferenza possa essere sanata dimostrando, come sarebbe nel caso avvenuto, che nessun materiale istruttorio rilevante essa avrebbe fatto acquisire. Ha poi ritenuto che comunque nelle procedure ambientali la conferenza di servizi si debba convocare “solo negli snodi più importanti, quando devono essere elaborate nuove regole per l’attività successiva” (motivazione, p.9), e non quando, come nella specie, si tratti di sollecitare l’adempimento di quanto già definito da provvedimenti precedenti. Nel caso di specie, il Tar ritiene che le misure adottate siano correlate alla situazione già esaminata dall’Arpa nella ricordata nota 7 dicembre 2017 e che comunque il contraddittorio procedimentale vi sia stato, nelle forme delle istanze di autotutela e del provvedimento che ne è seguito.

12.2. In secondo luogo, argomentando dall’articolo 240 comma 1 lettere i), m) e t) del Dlgs 152/2006 , il Tar ritiene in generale che le misure di messa insicurezza di emergenza e le misure di prevenzione siano accostabili, e quindi possano entrambe essere imposte anche al proprietario incolpevole, “per la comune finalità di contenere la diffusione delle sorgenti primarie di contaminazione, impedirne il contatto con altre matrici ambientali, e rimuoverle, in attesa di eventuali ulteriori interventi di bonifica o di messa in sicurezza operativa o permanente” (motivazione, p. 10). Ritiene poi che nel caso concreto la situazione di emergenza che le legittima sussista.

12.3. Su quest’ultimo punto, il Tar riporta la tesi di parte, contenuta nella relazione B. (doc. 18 in I grado in ricorso 805/2018, pp. 26-28 del file e doc. 19 in I grado in ricorso 806/2018, pp. 21-29, la relazione, allegata alle distinte istanze della (omissis) e della (omissis), ha veste grafica diversa, ma è in sostanza uguale). La relazione premette che ci si troverebbe in presenza di un inquinamento storico, a fronte del quale in linea di principio non si potrebbe parlare di interventi urgenti, e ritiene di confutare i rilievi dell’Arpa affermando che “il superamento dei limiti delle Csc rilevato dai piezometri CS5-bis e CS5-ter non dimostrerebbe l’attualità e la continuità del passaggio di mercurio dal terreno alle acque sotterranee, ma semplicemente la presenza di una situazione di inquinamento storico, che nei monitoraggi può provocare picchi casuali”.

12.4. Ciò posto, la relazione ipotizza che il superamento della Csc nel piezometro CS5-bis, sia dovuto ad un “battente idraulico”, ovvero alla differenza fra la quota del pelo dell’acqua e quella in cui si effettua il pompaggio, di soli 3 metri, che avrebbe “ridotto la dispersione dei reperti per cause imputabili alle procedure di spurgo” e che lo stesso superamento nel piezometro CS5-ter dipenda da “un errore sperimentale dovuto a variabili incontrollate o confondenti, come tale non indicativo di un’evoluzione sfavorevole della condizione di inquinamento” e conclude che essa sarebbe “stabile nel tempo e non richiederebbe alcun intervento di contenimento” (motivazione, p. 11).

12.5. Il Tar considera questa tesi non attendibile, in base al principio di precauzione, che non consentirebbe di ignorare la correlazione tra la presenza di mercurio, da un lato, nelle canalette della sala celle e dall’altro, in misura eccedente la Csc, nelle acque sotterranee a valle della sala celle (motivazione, p. 11).

12.6. Ciò posto, il Tar, richiamando sul punto la giurisprudenza anche di questo Consiglio, ha affermato che le misure di prevenzione possono essere legittimamente imposte, sotto il profilo soggettivo, anche al proprietario incolpevole della contaminazione, ovvero alla (omissis).

12.7. Infine, il Tar ha respinto il motivo di ricorso dedotto dalla (omissis) per sostenere, come si è detto, che essa potrebbe limitare il proprio intervento ad un impegno di risorse proporzionale alla propria quota di responsabilità nell’inquinamento. Sul punto, ha sostenuto in sintesi che l’intervento volontariamente assunto, come in questo caso, rappresenterebbe una fattispecie di gestione di affari altrui ai sensi dell’articolo 2028 Codice civile, e comporterebbe quindi l’obbligo di portarla a termine, o comunque di continuarla sin quando l’amministrazione non possa farvi subentrare il responsabile.

13. Contro questa sentenza, la (omissis), sotto la nuova denominazione sociale di (omissis), ha proposto impugnazione con l’appello iscritto al n. 4338/2020 r.g. di questo Consiglio, appello che contiene cinque motivi, così come segue.

13.1. Con il primo di essi, deduce la violazione degli articoli 252 e 242 del Dlgs 152/206 e critica la sentenza impugnata per avere affermato che al proprietario incolpevole potrebbero essere richieste anche misure di messa insicurezza di emergenza e non le sole misure di prevenzione.

13.2. Con il secondo motivo, deduce un evidente travisamento del fatto, e critica comunque la sentenza impugnata per avere ritenuto sussistenti i presupposti per attivare misure di prevenzione, senza a suo avviso tenere ingiusto conto gli elementi da essa presentati nel procedimento. In particolare, la società sostiene che l’amministrazione non avrebbe fatto nulla di quanto necessario per applicare il principio di precauzione, e quindi la sentenza impugnata avrebbe valutato in modo errato il suo operato sul punto. Sostiene ancora che non sarebbe stata correttamente intesa la relazione B., di cui già si è detto, da cui risulterebbe che la richiesta di integrare le misure di prevenzione ovvero di messa in sicurezza non sarebbe giustificata, dal momento che la situazione dell’area non presenterebbe rischi per la salute pubblica o per l’ambiente. Infine, sostiene che ciò sarebbe confermato anche dagli esiti di accertamenti da essa commissionati in epoca successiva.

13.3. Con il terzo motivo, lamenta la violazione degli articoli 245 comma 2 seconda parte Dlgs 152/2006 e 2028 Codice civile e critica la sentenza impugnata nella parte in cui essa afferma che i soggetti non responsabili, ovvero responsabili in misura marginale, dell’inquinamento sarebbero tenuti, una volta assunto volontariamente l’onere della bonifica, a portarla a compimento ovvero a continuarla fino a che l’amministrazione non individui il responsabile, sulla base delle norme della gestione di affari. Sostiene infatti in ordine logico in primo luogo che i presupposti della gestione di affari non vi sarebbero, perché si tratterebbe intanto di una gestione cui il gestore è interessato, e quindi mancherebbe il presupposto della gestione di affare altrui, e poi perché si tratterebbe di una gestione di affare pubblicistico della p.a. nel quale, secondo i principi, vi sarebbe un generale divieto di ingerirsi. Sostiene ancora che sarebbe violato il principio “chi inquina paga”: essendo unico obbligato alla bonifica l’inquinatore, qualunque attività realizzata spontaneamente dal proprietario, anche se non completa, sarebbe comunque di vantaggio alla pubblica amministrazione e, di conseguenza, alla collettività (§ 32 in fine dell’atto). Premessa infine la responsabilità in misura minima accertata a suo carico, sostiene che l’interpretazione sostenuta dal giudice di I grado violerebbe anche il principio di responsabilità parziaria contenuto nell’articolo 311 comma 2 del Dlgs 152/2006.

13.4. Con il quarto motivo, deduce ancora violazione dell’articolo 239 comma 1 Dlgs 152/2006 e del principio “chi inquina paga” ivi previsto. La sentenza impugnata afferma che l’obbligo della (omissis), ora (omissis), di attivarsi per gli interventi di bonifica complessivamente intesi, anche al di là del preteso limite derivante dalla sua quota di responsabilità, perdurerebbe sino all’individuazione dei responsabili, e in particolare sino a quando costoro non fossero individuati in via definitiva. Ciò posto, la ricorrente appellante ricorda che quest’individuazione all’epoca dei provvedimenti impugnati era stata compiuta con l’ordinanza della Provincia di (omissis), di cui si è detto, e con la sentenza Tar Lombardia Brescia sezione I 9 agosto 2018 n. 802 pronunciata nel relativo giudizio di impugnazione. A dire della ricorrente appellante, già su queste basi l’amministrazione avrebbe dovuto far subentrare i responsabili negli obblighi di bonifica, tanto più che, nelle more del giudizio, la sentenza802/2018 è divenuta definitiva, nei termini di cui si è detto. In questo momento quindi, come sottolinea la ricorrente appellante la prevalente responsabilità della (omissis) è certa.

13.5. Con il quinto motivo, deduce infine propriamente violazione dell’articolo 252 comma 4 in relazione all’articolo 242 comma 13 del Dlgs 152/2006. Sostiene in sintesi che i provvedimenti del Ministero impugnati, 30 maggio 2018 prot. n. 0011029 e 1 agosto 2018 prot. n. 15937, non si sarebbero potuti adottare senza previa convocazione della conferenza di servizi, e critica la sentenza impugnata per avere ritenuto il contrario.

14. Nell’appello 4338/2020, ha resistito la (omissis), con atto 11 giugno 2020, ed ha chiesto che esso sia respinto.

15. Si è poi costituito l’Inail, con memoria 15 giugno 2020, in cui ripropone la questione preliminare di carenza di legittimazione passiva già formulata in primo grado e non esaminata, deducendo di non avere mai emesso alcuno degli atti impugnati dalla ricorrente appellante, e chiede quindi che ciò sia dichiarato in questa sede; chiede comunque, ad ogni buon conto, che l’appello sia respinto nel merito.

16. Con memorie 14 febbraio e repliche 24 febbraio 2022 per entrambe le parti, l’appellante e la (omissis) hanno infine ribadito le rispettive posizioni.

17. A sua volta, contro questa stessa sentenza ha proposto impugnazione la (omissis), con l’appello iscritto al n. 4342/2020 r.g. di questo Consiglio, appello che contiene tre motivi, sostanzialmente identici ai motivi primo, secondo e quinto dedotti nell’appello 4338/2020.

18. Anche nel giudizio n.r.g. 4342/2020 ha resistito la (omissis), con atto 11 giugno 2020.

19. L’Inail, con memoria 15 giugno 2020, ha assunto conclusioni identiche a quelle già prese nell’appello 4338/2020.

20. Ha poi resistito il Mattm, con atto 10 luglio 2020 e memoria 19 gennaio 2022, ed ha chiesto che l’appello sia dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, e comunque respinto nel merito. Sul primo punto, ha infatti rappresentato che, dopo il passaggio in giudicato della sentenza Tar Lombardia Brescia 802/2018 di cui si è detto, e quindi dopo che è divenuto definitivo l’accertamento della responsabilità per l’inquinamento, ha provveduto ad inviare alla (omissis) una diffida -provvedimento 27 maggio 2020 n. 3907 — a subentrare nelle attività di bonifica. Ha poi rappresentato che la (omissis) stessa si sarebbe attivata in tal senso, in particolare avviando nel 2021 un’indagine geofisica sulla sala celle.

21. Infine, anche nell’appello 4338/2020, con memorie del 14 febbraio e repliche del 24 febbraio 2022 per entrambe le parti, la ricorrente e la (omissis) hanno ribadito le rispettive posizioni.

22. Alla pubblica udienza del giorno 17 marzo 2022, la Sezione ha trattenutole cause in decisione.

23. In via preliminare, gli appelli vanno riuniti ai sensi dell’articolo 96 comma 1 C.p.a. in quanto proposti contro la stessa sentenza.

24. Sempre in via preliminare, va dichiarato il difetto di legittimazione passiva dell’Inail, per le condivisibili ragioni esposte dall’istituto nelle proprie memorie 15 giugno 2020: dal 1 gennaio 2008, l’Ispesl – Istituto superiore per la sicurezza sul lavoro, nelle cui funzioni è subentrato l’Inail in base all’articolo 7 del Dl 31 maggio 2010 n. 78, non ha più avuto alcun ruolo ,nemmeno consultivo, nell’adozione degli atti relativi alla messa in sicurezza e bonifica del sito per il quale è causa, tant’è vero che non consta alcun suo atto fra quelli dichiarati come impugnati.

25. Tanto premesso, gli appelli sono entrambi infondati nel merito, e per questo motivo si prescinde dall’esame dell’eccezione di improcedibilità dedotta dal Mattm nella propria memoria del 19 gennaio 2022 (depositata nell’appello 4342/2020).

26. Non è suscettibile di favorevole esame l’appello 4338/2020 proposto dalla (omissis).

27. Di questo appello, è infondato anzitutto il primo motivo, secondo il quale le misure di messa in sicurezza di emergenza non potrebbero essere richieste ad un proprietario incolpevole.

27.1. Sul punto specifico, va puntualizzato in fatto che la qualità di “proprietario incolpevole” si riferisce impropriamente alla (omissis), la quale, come si è spiegato, sotto la sua precedente denominazione di (omissis) è stata effettivamente ritenuta responsabile dell’inquinamento del sito, se pure per una percentuale molto limitata. L’assunto però è in ogni caso contrario alla costante giurisprudenza di questo Consiglio.

27.2. In termini generali, va infatti ricordato che l’impossibilità di imporre le opere di bonifica al proprietario di un terreno inquinato non responsabile del relativo inquinamento è stata affermata a partire dalla nota sentenza Corte di giustizia Ue, sezione III, 4 marzo 2015 C 534-13 (su ordinanza di rinvio pregiudiziale dell’Adunanza plenaria 13 novembre 2013 n. 25). La sentenza della Corte in questione, alla lettera, stabilisce che “La direttiva 2004/35/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, deve essere interpretata nel senso che non osta a una normativa nazionale come quella di cui trattasi nel procedimento principale, la quale, nell’ipotesi in cui sia impossibile individuare il responsabile della contaminazione di un sito o ottenere da quest’ultimo le misure di riparazione, non consente all’autorità competente di imporre l’esecuzione delle misure di prevenzione e di riparazione al proprietario di tale sito, non responsabile della contaminazione”.

27.3. La successiva giurisprudenza nazionale ha però precisato l’assunto, ed è giunta ad affermare che l’impossibilità di imporre le misure di bonifica al proprietario non responsabile della contaminazione si giustifica, in sintesi estrema, per la natura sanzionatoria di questa misura. Diverso discorso si deve fare invece per le misure di messa in sicurezza di emergenza, le quali, così come le misure di prevenzione, non hanno questa natura, ma costituiscono prevenzione dei danni, sono imposte dal principio di precauzione e dal correlato principio dell’azione preventiva, e quindi gravano sul proprietario o detentore del sito da cui possano scaturire i danni all’ambiente solo perché egli è tale senza necessità di accertarne il dolo o la colpa (in questi termini, la costante giurisprudenza, per tutte Consiglio di Stato, sezione IV, 26 febbraio 2021, n. 1658; sezione VI, 3 gennaio 2019, n. 81; sezione V, 8 marzo 2017, n. 1089; 14 aprile 2016, n. 1509.

27.4. La regola così delineata non consente eccezioni nei casi di presunta “contaminazione storica” – quand’anche in via di ipotesi la si ritenesse sussistere nel caso di specie — che anzi la normativa ricomprende in modo espresso all’articolo 242 comma 1 del Dlgs n. 152/2006, e ciò è conforme alogica, trattandosi comunque di fronteggiare un pericolo attuale, indipendentemente dall’epoca in cui se ne sono poste le premesse (così per tutte la citata sezione IV n. 1658/2021 nonché nello stesso senso sezione IV, 8 ottobre 2018 n. 5761).

28. Dell’appello 4338/2020, è infondato anche il secondo motivo, che deduce il travisamento del fatto con lo scopo ultimo di affermare l’inattendibilità dell’apprezzamento dell’amministrazione.

28.1. Va premesso per chiarezza nell’esporre che nelle materie tecnico scientifiche — quale è indubbiamente quella in esame, relativa in generale alla tutela dell’ambiente dall’inquinamento — si applica il principio per cui le valutazioni delle autorità preposte sono ampiamente discrezionali, e quindi possono essere sindacate in sede di giurisdizione di legittimità nei soli casi di risultati abnormi o evidentemente illogici e contraddittori (per tutte, con riferimento alla più ampia materia delle valutazioni ambientali, Consiglio di Stato, sezione II, 7 settembre 2020 n.5379; sezione IV, 9 gennaio 2014 n. 36). Non è invece consentito chiedere al giudice di sostituirvi risultati diversi, fondati ad esempio su una c.t.u. a lui sollecitata – sul punto specifico, Consiglio di Stato, sezione IV, 8 giugno 2009 n. 3500), ovvero sulle diverse valutazioni proposte dalle parti, in particolare con il richiamo a studi predisposti da propri esperti (sul principio, per tutte Consiglio di Stato, sezione V, 25 marzo 2021 n. 2524, e per il caso particolare del parere di un esperto di parte, sezione IV, 7 giugno 2021 n. 4331). Studi di questo genere infatti, secondo logica, potrebbero essere valutabili solo se ritualmente introdotti all’interno del procedimento amministrativo e presi in considerazione dall’autorità competente.

28.2. Ancora, va ricordato che in materia ambientale l’accertamento del nesso fra una determinata presunta causa di inquinamento ed i relativi effetti -accertamento che evidentemente rileva per decidere se determinati interventi per eliminarlo siano giustificati— si basa sul criterio del “più probabile che non”, ovvero richiede semplicemente che il nesso eziologico ipotizzato dall’autorità competente sia più probabile della sua negazione (in questo senso la costante giurisprudenza, per tutte Consiglio di Stato, Ad. plen. n. 10 del 2019; successivamente, sezione IV, 7 gennaio 2021 n. 172).

28.3. Il richiamo al principio di precauzione fatto dalla ricorrente appellante richiede poi una precisazione ulteriore. È vero che l’applicazione di questo principio, secondo il quale in sintesi l’assenza di una piena certezza scientifica non dovrebbe costituire un motivo per differire l’adozione di misure adeguate ed effettive, ritenute capaci prevenire il degrado ambientale, è stata più volte criticata, anche in ambito scientifico, come fonte di limitazioni eccessive. È però altrettanto vero che l’applicazione che ne è stata fatta in ambito giurisprudenziale è del tutto lontana da eccessi di questo tipo.

28.4. Secondo la giurisprudenza infatti, l’applicazione del principio non si può fondare sull’apprezzamento di un rischio puramente ipotetico, fondato sumere supposizioni allo stato non ancora verificate in termini scientifici, ma richiede comunque un modello teorico che spieghi quale sia il rischio e come e perché esso potrebbe verificarsi, anche se con un livello modesto di possibilità, in accordo con il già descritto criterio del “più probabile che non” (così Corte di giustizia Ue, 9 settembre 2003, C-236/01 (omissis), e conformi, fra le molte, 5 febbraio 2004, C— 24/00 (omissis), nonché, nella giurisprudenza nazionale, Consiglio di Stato, sezione IV, 14 luglio 2020 n. 4544; sezione VI, 19 gennaio 2010, n. 183).

28.5. Applicando i principi appena delineati al caso di specie, si deve concludere che il provvedimento impugnato non presenta i vizi dedotti con il motivo in esame. Il provvedimento stesso parte, come si è detto, da un dato storico incontestato, ovvero la presenza nell’area interessata di mercurio in concentrazione molto superiore alla Csc, mercurio che si è ritrovato anche nei piezometri a valle della ex sala celle.

28.6. A fronte di ciò, la conclusione che il mercurio stesso sia stato trasportato dalla ex sala celle nella falda a valle di essa, e che quindi l’inquinamento si stia diffondendo, appare del tutto conforme alla comune logica. L’estrema pericolosità del mercurio per la salute umana è poi un dato universalmente accettato dalla comunità scientifica, tanto che, come si ricorda per completezza, l’uso di questa sostanza è stato messo al bando da un accordo internazionale, la cd Convenzione di Minamata 10 ottobre 2013, che l’Italia ha ratificato con legge 8 ottobre 2020 n.134. In base a questo dato, un approccio fondato sul principio di precauzione appare del tutto giustificato in base ai criteri giurisprudenziali di cui si è detto, perché il rischio è grave e il meccanismo causale che lo produce è ben noto.

28.7. Le deduzioni della parte non portano a modificare questa conclusione. Anzitutto va escluso che risponda al vero quanto essa ha sostenuto nel corso del procedimento, ovvero che la “presenza di sacche di mercurio” fosse un evento già previsto nell’originario decreto 11 agosto 2014, con il quale, come si è detto, fu approvato il progetto di bonifica. Il decreto in questione, infatti (doc.3 in I grado ricorrente appellante in ricorso 805/2018 Tar Lombardia Brescia, cit.) parla infatti di “eventuali” sacche di mercurio, la cui presenza non era all’epoca certa, e quindi viene prevista come “da verificare”. È quindi evidente che il decreto stesso nulla poteva dire sul modo di procedere una volta che questo inquinamento, come è avvenuto, fosse stato riscontrato, dal momento che se ne ignoravano la sussistenza e l’entità.

28.8. Analogamente, le perizie di parte, così come evidenziato anche dal Giudice di I grado, non evidenziano affatto contraddizioni o abnormità nel percorso logico seguito dall’amministrazione. Esse infatti, nei termini sopra riassunti, si limitano a proporre una lettura alternativa dei dati raccolti dall’amministrazione, che ipotizzano in parte errati, senza però spiegarne le ragioni, in parte dovuti a “picchi casuali”. Si tratta però, com’è evidente, di una lettura meno probabile di quella offerta dall’amministrazione, considerato anche che essa si basa esclusivamente su considerazioni teoriche, e non comprende verifiche sperimentali, volte, in via di pura ipotesi, a smentire i dati dei prelievi già compiuti o della morfologia del territorio considerato.

29. Il terzo ed il quarto motivo sempre dell’appello 4338/2020 vanno esaminati congiuntamente, perché riguardano la stessa questione, ovvero la sostenuta possibilità di limitare la responsabilità della (omissis) in proporzione alla ridotta quota di responsabilità riconosciuta a suo carico. Come tali, sono entrambi infondati.

29.1. In tal senso, depongono considerazioni di fatto, diverse da quelle valorizzate dal giudice di I grado. La fonte degli obblighi della (omissis) quanto alle bonifiche, intese in senso ampio, per cui è causa è infatti costituita dal più volte menzionato decreto 11 agosto 2014, di approvazione del relativo progetto. Se si legge il testo di questo decreto, si rileva allora che la società, con la denominazione “(omissis)” di allora, fece pervenire al Mattm una nota 20 novembre 2012 prot. 74/2012, ricevuta dal Ministero con atto 3 dicembre 2012 prot. n. 43513, con la quale aveva comunicato “la propria disponibilità a subentrare a (omissis) nell’iter di bonifica relativo all’area ex impianto cloro soda conspecifico riferimento all’intervento sui terreni ed acque di falda dell’ex sala celle” (doc. 3 in I grado ricorrente appellante in ricorso 805/2018 Tar Lombardia Brescia, cit. a p. 4 secondo paragrafo), ovvero proprio all’intervento per cui è causa.

29.2. Quest’assunzione di impegno è incondizionata, e non è in particolare limitata alla quota accertata di responsabilità per l’inquinamento complessivo. A riprova, nello stesso decreto 11 agosto 2014 si legge, all’articolo 4 del dispositivo (doc. 3 in I grado ricorrente appellante in ricorso 805/2018 Tar Lombardia Brescia, cit.), che la (omissis) e la (omissis), senza distinzione alcuna di quote, si impegnano a prestare garanzia fideiussoria per la corretta esecuzione e il completamento degli interventi per una somma pari al 50% del relativo importo, e in valore assoluto per la ragguardevole somma di 12 milioni e 850 mila euro, importo che non si comprenderebbe se la responsabilità della (omissis) fosse stata contenuta nello 0,43% del totale.

29.3. L’approvazione del programma previa adesione della società allo stesso integra allora, in modo analogo ad un contratto per adesione, obbligazioni vincolanti e incondizionate a carico del privato che vi abbia aderito, il quale pertanto è tenuto ad eseguirle per intero, senza limitazioni derivanti dalla sua originaria responsabilità per l’inquinamento e senza che quest’obbligazione venga meno per effetto del consolidarsi dell’accertamento in sede giudiziaria di questa responsabilità (in questo senso, Consiglio di Stato, sezione IV, 20 gennaio 2020, n. 567, pronunciata su un caso analogo). Non è allora pertinente il richiamo, svolto dal giudice di I grado, all’istituto della gestione di affari, che presuppone quanto qui è per ipotesi escluso, ovvero che la gestione di un dato affare sia stata assunta senza esservi obbligati.

30. Infondato è da ultimo il quinto motivo dell’appello 4338/2020, per le ragioni già evidenziate dal giudice di I grado, ovvero che la convocazione di una nuova conferenza di servizi non si doveva ritenere necessaria, trattandosi non di emettere un provvedimento espressione di una nuova decisione, ma semplicemente di sollecitare l’attuazione di quanto già deciso con l’originario decreto 11 agosto 2014.

31. Per le stesse ragioni sin qui esposte, è infondato e va respinto anche l’appello 4342/2020; in particolare, il primo ed il secondo motivo di esso vanno respinti per quanto esposto nel respingere i corrispondenti motivi dell’appello 4338/2020; il terzo motivo va respinto per quanto esposto nel respingere il quinto motivo dello stesso appello 4338/2020.

32. Le spese nei confronti delle parti costituite seguono la soccombenza e si liquidano così come in dispositivo, tenuto conto in particolare del maggiore impegno della difesa dell’amministrazione e dell’impegno più lieve richiesto dalla difesa dell’Inail e precisandosi che la liquidazione è comunque contenuta in misura non eccedente la misura media prevista dai parametri di cui al Dm 8 marzo 2018 n. 37 per una causa di valore indeterminabile e particolare importanza quale è all’evidenza la causa presente.

PQM

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione quarta), definitivamente pronunciando sugli appelli come in epigrafe proposti (ricorsi nn. 4338/2020 e 4342/2020), così provvede:

a) riunisce i ricorsi;

b) dichiara l’estromissione dal giudizio dell’Inail;

c) respinge gli appelli proposti dalla (omissis) e dalla (omissis) e, per l’effetto, conferma la sentenza Tar Lombardia Brescia sezione I 25 settembre 2019 n. 831;

d) condanna in solido la (omissis) e la (omissis) a rifondere alle controparti costituite le spese di questo grado di giudizio, spese che liquida i) in complessivi € 15.000 (quindicimila/00) in favore del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare; ii) in complessivi € 10.000 (diecimila/00) in favore della (omissis); iii) in complessivi € 5.000 (cinquemila/00) in favore dell’Inail; spese liquidate in ogni caso maggiorate di rimborso spese generali, Iva e Cpa, se dovute, e nella misura di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 marzo 2022 con l’intervento dei magistrati:

(omissis)

Depositata in segreteria il 2 maggio 2022.

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