Acque reflue urbane: le inadempienze italiane e gli obblighi della nuova direttiva comunitaria
di Gianfranco Amendola
- Premessa: la situazione attuale
Pochi se ne sono accorti ma da qualche giorno l’Europa dispone di nuove importanti disposizioni normative e tecniche a tutela delle nostre acque. Dopo un lungo iter parlamentare, è stata, infatti, pubblicata sulla GUCE del 12 dicembre 2024 la direttiva n. 3019 del 27 novembre 2024 concernente il trattamento delle acque reflue urbane (cioè gli scarichi delle pubbliche fognature) la quale, dopo una premessa di 60 “considerando”, consta di ben 34 articoli e 8 allegati, con l’obbligo per gli Stati membri di metterla in vigore entro il 31 luglio 2027, mandando in soffitta la “vecchia” direttiva n. 91/271/CEE recepita dal nostro paese nella parte terza del D. Lgs. 152/06 (TUA).
Ci sarà tempo e modo di analizzarla compiutamente, tuttavia è opportuno rilevare che, in realtà, gli adempimenti cui conformarsi sono tali e tanti da richiedere immediata attenzione sin da ora onde procedere gradualmente agli adempimenti necessari per rispettare la scadenza stabilita1.
Tanto più che il nostro paese si colloca ai primi posti per inadempienza al dettato della direttiva del 1991, avendo collezionato ben quattro procedure di infrazione (nel 2004, 2009, 2014, e 2024) con tre sentenze di condanna della Corte europea di giustizia cui è conseguito l’obbligo, dal 2018, di pagare 25 milioni di euro, più 30 milioni per ogni semestre di ritardo nella messa a norma di oltre 100 centri urbani o aree sprovvisti di reti fognarie o sistemi di trattamento delle acque reflue. Più in particolare, nonostante qualche miglioramento e nonostante la nomina di un Commissario straordinario2, per 36 agglomerati l’Italia deve tuttora garantire la disponibilità di sistemi di raccolta delle acque reflue (o sistemi individuali o altri sistemi adeguati); in 30 agglomerati, l’Italia continua a non trattare correttamente le acque reflue raccolte; e in 165 agglomerati l’Italia non garantisce che gli scarichi idrici soddisfino nel tempo le condizioni di qualità richieste. Peraltro, secondo gli ultimi dati ISTAT, in Italia sono attivi 18.042 impianti di depurazione delle acque reflue urbane, che trattano un carico inquinante pari a circa 67 milioni di abitanti equivalenti e servono il 96,3% dei comuni italiani, in modo parziale o completo. Ma per il 56% sono impianti per il trattamento primario, ossia in grado di rimuovere soltanto corpi solidi sospesi mentre i sistemi per i trattamenti secondari (indispensabili per eliminare i solidi non sedimentabili e le sostanze organiche biodegradabili) sono appena il 31% e gli impianti per i trattamenti terziari interessano solo il 13% del totale, nonostante siano essenziali per perfezionare il processo di depurazione e ottenere una risorsa idrica con qualità elevata.
Si consideri, peraltro, che, secondo i dati ISPRA-SINTAI, in Italia sono state rilevate 1.878 reti fognarie che non recapitano a depuratori, e molto spesso nelle nostre fognature comunali confluiscono anche una parte degli scarichi industriali non depurati, diversi corsi d’acqua “tombati” tal quale nelle aree urbane, e le acque parassite, cioè quelle infiltrazioni alle acque reflue, che provengono da acque superficiali, da falda, scarichi non autorizzati o da perdite degli acquedotti. Non a caso, la quantità di acqua dispersa in distribuzione è, secondo ISTAT, quantificabile in 157 litri al giorno per abitante.
Nello stesso quadro, infine si colloca il dato secondo cui 296 comuni del Sud (con circa 1,3 milioni di abitanti) non hanno ancora un servizio pubblico di trattamento delle acque reflue urbane. E, secondo i dati del 2022, il nostro paese si riconferma ai primi posti nell’Unione europea per la quantità, in valore assoluto, di acqua dolce prelevata per uso potabile da corpi idrici superficiali (che comprendono i bacini artificiali, i corsi d’acqua superficiale e i laghi naturali e sotterranei, escludendo quindi i prelievi da acque marine)3: ogni giorno, le reti comunali di distribuzione erogano in media 214 litri di acqua potabile per abitante, ma, per inefficienza di queste reti, ben il 42,4% dell’acqua potabile prodotta va dispersa4.
In sostanza, cioè, come ricorda Legambiente, oggi il tasso di conformità in Italia è pari al 56%, al di sotto della media UE del 76%, e gli scarichi di acque reflue urbane contribuiscono in modo significativo a una qualità dell’acqua non buona nel 45,8% dei corpi idrici superficiali (tra fiumi, laghi, transizione e costieri).
Ed è in questo quadro certamente non ottimale che si inserisce la nuova direttiva.
2. La nuova direttiva n. 3019 del 27 novembre 2024: il quadro generale
Il testo della nuova direttiva sottolinea giustamente, in primo luogo, l’importanza del riutilizzo5, stabilendo in particolare che “tutti gli Stati Membri saranno tenuti a promuovere sistematicamente il riutilizzo delle acque trattate da tutti gli impianti di trattamento delle acque reflue urbane”, specialmente in aree ad elevato stress idrico. E, nel contempo, allarga l’ambito di applicazione ad agglomerati più piccoli, introducendo nuovi limiti (copre un maggior numero di inquinanti compresi i microinquinanti), nuovi obblighi di trattamento e, soprattutto, varando un regime di responsabilità estesa del produttore per garantire un equo contributo dai settori più inquinanti al trattamento delle acque reflue per microinquinanti, contribuendo anche alla neutralità energetica. Le nuove norme, infatti, prescrivono che, ad iniziare dal 2027 ed entro il 2045 gli impianti di trattamento delle acque reflue urbane che trattano un carico di 10.000 abitanti equivalenti o più dovranno utilizzare energia da fonti rinnovabili generata dai rispettivi impianti.
Più in particolare, secondo la nuova direttiva:
a) In primo luogo gli Stati membri dovranno raccogliere e trattare le acque reflue di tutti gli agglomerati con più di 1.000 abitanti equivalenti (misura utilizzata per calcolare l’inquinamento delle acque reflue urbane6) secondo gli standard minimi dell’UE (invece della soglia di 2.000 abitanti equivalenti stabilita nelle norme precedenti) collegandoli, insieme a tutte le fonti di acque reflue domestiche, alle reti fognarie e provvedendo a rimuovere la materia organica biodegradabile dalle acque reflue urbane (trattamento secondario) prima che vengano scaricate nell’ambiente entro il 2035.
b) È opportuno imporre sistematicamente il trattamento terziario entro il 2039 a tutti gli impianti di trattamento delle acque reflue urbane che trattano un carico di 150. 000 a.e. o più, in quanto detti impianti rappresentano un’importante fonte residua di scarichi di azoto e fosforo. Per garantire la continuità della protezione dell’ambiente, è importante che gli Stati membri mantengano almeno il livello attuale di trattamento terziario fino a quando diventeranno applicabili i nuovi obblighi di riduzione del fosforo e dell’azoto. Fino ad allora è pertanto opportuno che continui ad applicarsi l’articolo 5 della direttiva 91/271/CEE. Il trattamento terziario dovrebbe essere obbligatorio anche per gli agglomerati con 10 000 a.e. o più che scaricano in aree soggette a eutrofizzazione o esposte a tale rischio. Per tali impianti di trattamento delle acque reflue urbane, entro il 2045 gli Stati membri dovranno applicare un trattamento aggiuntivo per rimuovere i microinquinanti, noto come trattamento quaternario, il quale dovrebbe essere imposto seguendo il principio precauzionale combinato a un approccio basato sul rischio.
c) La nuova direttiva richiederà l’eliminazione di un maggior numero di nutrienti e microinquinanti dalle acque reflue urbane, in particolare quelle provenienti da prodotti farmaceutici e cosmetici tossici. Introdurrà un monitoraggio sistematico delle microplastiche negli scarichi e negli scarichi degli impianti di trattamento delle acque reflue urbane e nei fanghi. Un ulteriore monitoraggio delle sostanze chimiche “per sempre”, come le PFAS, migliorerà le conoscenze esistenti sulla diffusione di tali sostanze nelle acque reflue urbane.
d) Poiché il settore del trattamento delle acque reflue urbane è identificato come uno dei principali settori responsabili delle emissioni di metano, tale settore dovrebbe monitorare e mirare a ridurre le emissioni di metano
e) I produttori di prodotti farmaceutici e cosmetici, principale fonte di microinquinanti nelle acque reflue urbane, dovranno contribuire almeno all’80% dei costi aggiuntivi per il trattamento quaternario, attraverso un regime di responsabilità estesa del produttore (EPR) e in conformità con il principio “chi inquina paga”.
f) La direttiva contribuirà all’economia circolare migliorando la qualità dei fanghi e delle acque reflue trattate, consentendo un maggiore riutilizzo in agricoltura e garantendo che non si perdano risorse preziose, anche in considerazione del fatto che i nutrienti contenuti nelle acque reflue urbane possono essere utili nei casi in cui le acque reflue urbane trattate siano riutilizzate in agricoltura conformemente al regolamento (UE) 2020/741. In tali casi, gli Stati membri dovrebbero poter beneficiare, a determinate condizioni volte ad assicurare il massimo livello di protezione dell’ambiente e della salute umana, di una deroga all’obbligo di applicare il trattamento terziario conformemente alla presente direttiva solo per la parte delle acque reflue urbane trattate che è riutilizzata in agricoltura.
g) Per le grandi città, gli Stati membri dovranno elaborare sistematicamente piani di gestione integrata per far fronte alle acque meteoriche. In particolare, come si legge nei “considerando”, in questi piani dovrebbero essere stabilite misure volte ad affrontare l’inquinamento derivante dalle prime piogge dopo un lungo periodo secco in zone densamente popolate nonché a limitare comunque l’inquinamento da scolmi causati da piogge molto intense i quali, insieme al deflusso urbano, rappresentano una considerevole fonte residua di inquinamento scaricato nell’ambiente. Tali piani dovrebbero inoltre includere misure per prevenire l’inquinamento alla fonte e prediligere soluzioni basate sulla natura rispetto a quelle che richiederebbero la realizzazione di infrastrutture, comprendendo misure preventive temporanee tese a evitare l’ingresso di acque piovane non inquinate nelle reti fognarie o lo stoccaggio temporaneo, compresa la ritenzione naturale dell’acqua, e un trattamento appropriato del deflusso o degli sversamenti molto carichi derivanti dalle prime piogge abbondanti.
h) La direttiva riconosce l’approccio «One Health» definito dall’OMS, un approccio integrato e unificante che mira a bilanciare e ottimizzare in modo sostenibile la salute di persone, animali ed ecosistemi in quanto strettamente interconnesse e interdipendenti.
i) gli Stati membri dovrebbero essere tenuti a informarsi vicendevolmente o a informare i paesi terzi interessati qualora l’inquinamento idrico significativo causato dagli scarichi di acque reflue urbane in uno Stato membro o in un paese terzo incida o possa verosimilmente incidere sulla qualità delle acque di un altro Stato membro o paese terzo. Tale informazione dovrebbe essere comunicata immediatamente in caso di inquinamento accidentale che incida in modo significativo sui corpi idrici a valle e le risposte dovrebbero essere comunicate tempestivamente.
l) Servono controlli adeguati per verificare la conformità alle nuove prescrizioni riguardanti i microinquinanti, l’inquinamento non domestico, la neutralità energetica, gli scolmi causati da piogge molto intense e il deflusso urbano. I controlli dovrebbero essere effettuati, ove tecnicamente fattibile e opportuno, anche con l’ausilio di strumenti digitali. In particolare, per la gestione operativa delle reti fognarie e degli impianti di trattamento delle acque reflue urbane l’uso di strumenti digitali dovrebbe essere preso in considerazione in modo sistematico.
m) Quanto alle sanzioni, esse dovrebbero, come sempre, essere efficaci, proporzionate e dissuasive e, a seconda dei casi, dovrebbero tenere conto della situazione finanziaria della persona fisica o giuridica ritenuta responsabile nonché della natura, gravità e portata della violazione e del suo carattere doloso o colposo, tenendo presente l’impatto della violazione sull’obiettivo di conseguire un elevato livello di protezione della salute umana e dell’ambiente.
- A Monza il gestore idrico BrianzAcque, in collaborazione con il Politecnico di Milano, ha già avviato i lavori per adeguare il ciclo di trattamento del locale depuratore ai nuovi, ambiziosi parametri europei di efficienza e circolarità. Il progetto di ampliamento, che dovrebbe essere completato entro il 2030, prevede l’impiego di biomasse aerobiche granulari per la rimozione degli inquinanti dai reflui. Cosa che consentirà, tra l’altro, di ridurre i consumi energetici e di ottenere fanghi idonei al recupero energetico per l’estrazione di fosforo, inserito dall’Ue nella lista delle materie prime critiche.↩︎
- Recentemente il Commissario attualmente in carica, prof. Fatuzzo, ha apertamente lamentato le difficoltà di “competenze” e di burocrazia che frenano il suo lavoro↩︎
- Nel 2022, il maggiore prelievo di acqua per uso potabile si è registrato nel distretto idrografico del fiume Po con 2,80 miliardi di metri cubi, il 30,7% del totale nazionale, segue il distretto idrografico dell’Appennino meridionale con 2,32 miliardi di metri cubi d’acqua per uso potabile, il 25,4% del volume nazionale↩︎
- Per inquadrare meglio il fenomeno l’Istat fornisce un altro dato: stimando un consumo pro capite pari alla media nazionale, il volume di acqua disperso nel 2022 soddisferebbe le esigenze idriche di 43,4 milioni di persone per un intero anno, che corrisponde a circa il 75% della popolazione italiana.↩︎
- Per approfondimenti e richiami si rinvia all’importante lavoro del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA, delibera n. 254 del 23 luglio 2024) su Il riutilizzo delle acque reflue urbane da impianti di depurazione urbani: ricognizione sui controlli e quadro conoscitivo nazionale, ove si riscontrano anche alcune anticipazioni della nuova direttiva.↩︎
- gli abitanti equivalenti, sommatoria di residenti e fluttuanti, esprimono il carico generato dall’agglomerato ossia la dimensione dello stesso↩︎