Abbandono e deposito incontrollato di rifiuti da parte di privati, di enti o di imprese: profili sanzionatori e giurisprudenza della Cassazione
di Gianfranco Amendola
L’abbandono di rifiuti è uno degli illeciti più frequenti che, purtroppo, spesso si esaurisce senza la punizione dei colpevoli che restano ignoti. Tuttavia, quando gli autori vengono identificati, a volte sorge qualche dubbio circa la sanzione da applicare1.
Infatti, il D. Lgs 152/06 (cd. TUA) dopo aver stabilito nell’art. 192 che “l’abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo sono vietati” (comma 1)2, precisa che “fatta salva l’applicazione della sanzioni di cui agli articoli 255 e 256, chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo. Il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all’esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate” (comma 3).
Vi è, quindi, quanto alle sanzioni, un rinvio espresso agli artt. 255 e 2563: il primo, dopo aver “fatto salvo quanto disposto dall’art. 256, comma 2”, fissa, per “chiunque, in violazioni delle disposizioni di cui agli articoli 192, commi 1 e 2, 226, comma 2, e 231, commi 1 e 2, abbandona o deposita rifiuti ovvero li immette nelle acque superficiali o sotterranee”, la sanzione amministrativa pecuniaria da trecento a tremila euro, aumentata fino al doppio se l’abbandono riguarda rifiuti pericolosi. Il secondo, invece, stabilisce, al comma 2, che, se il fatto è commesso da titolari di imprese e responsabili di enti si applica la pena dell’arresto da tre mesi a un anno o l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti non pericolosi; ovvero la pena dell’arresto da sei mesi a due anni e l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti pericolosi.
Appare, quindi, evidente che la sanzione “normale” (per “chiunque”) è quella amministrativa mentre quella penale si applica solo ai titolari di imprese ed ai responsabili di enti. Ciò che conta, pertanto, a livello formale, è la qualifica dell’autore dell’illecito, in quanto la normativa attribuisce, con ogni evidenza, “valenza maggiormente offensiva alla condotta di colui il quale operi nell’ambito di un’attività professionale”4, e non come “privato cittadino”. A questo proposito, tuttavia, se si analizza con attenzione la giurisprudenza della Suprema Corte5, si nota che, in realtà, e giustamente, la distinzione deve essere effettuata con criteri non solo formali ma soprattutto sostanziali, in base a due elementi tra loro collegati: il primo attinente alla qualifica del soggetto e il secondo relativo, invece, alla natura e provenienza dei rifiuti abbandonati6. In altri termini, la diversità delle sanzioni si giustifica in quanto l’abbandono di rifiuti domestici, tipici di una abitazione, effettuato da un privato preoccupa meno, per quantità e qualità, di un abbandono di rifiuti da lavorazione effettuato da un ente o una impresa, con tutte le variabili connesse.
Ed è pertanto del tutto condivisibile l’assunto secondo cui, in questo quadro, anche la nozione di ente o di impresa deve essere valutata con criteri non solo formali ma sostanziali, facendo riferimento a “qualsiasi soggetto che abbandoni rifiuti nell’ambito di una attività economica esercitata anche di fatto, indipendentemente da una qualificazione formale sua o dell’attività medesima”7; con la conseguenza che “il reato di deposito incontrollato di rifiuti, previsto dall’art. 256, comma secondo, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, è configurabile non soltanto in capo ai titolari di imprese ed ai responsabili di enti che effettuano una delle attività indicate al comma primo della richiamata disposizione (raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione), ma anche nei confronti di qualsiasi impresa avente le caratteristiche di cui all’art. 2082 cod. civ., o di ente, con personalità giuridica o operante di fatto”8. Insomma, “per quel che concerne il secondo comma dell’art. 256, il reato è configurabile nei confronti di qualsiasi soggetto che abbandoni rifiuti nell’esercizio, anche di fatto, di una attività economica, indipendentemente dalla qualifica formale sua o dell’attività medesima.”9
In conclusione, come ben sintetizzato da una recente sentenza, “le peculiari qualifiche soggettive rivestono nell’ambito della fattispecie di cui al D.lgs. n. 152 del 2006, art. 256, il ruolo di elemento specializzante rispetto alla ipotesi di cui al precedente art. 255, comma 1, che, peraltro, si apre proprio con la clausola di riserva “fatto salvo quanto disposto dall’art. 256, comma 2”. In altri termini, qualora la condotta tipizzata venga posta in essere da soggetto qualificato, il giudice dovrà procedere all’applicazione della norma penale avente carattere di specialità rispetto a quella che prevede l’illecito amministrativo – infliggendo la sanzione penale alternativa dell’ammenda o dell’arresto, se trattasi di rifiuti non pericolosi, o congiuntamente se trattasi di rifiuti pericolosi. Tuttavia, tale differenziazione non va vista solo con riferimento al soggetto che compie materialmente l’atto, ma deve essere valutata anche la natura realmente domestica o meno dei rifiuti abbandonati. La ratio del diverso trattamento riservato alla medesima condotta, secondo l’autore della violazione, è evidentemente fondata su una presunzione di minore incidenza sull’ambiente dell’abbandono posto in essere da soggetti che non svolgono attività imprenditoriale o di gestione di enti, ed in particolare la norma in questione è finalizzata ad impedire ogni rischio di inquinamento derivante da attività idonee a produrre rifiuti con una certa continuità, escluse perciò solo quelle del privato, che si limiti a smaltire i propri rifiuti al di fuori di qualsiasi intento economico”10.
Particolare attenzione viene dedicata dalla Suprema Corte alla individuazione delle responsabilità nel caso di condotta ascrivibile a dipendenti dell’ente o dell’impresa, perché, a questo proposito, occorre considerare che, ai sensi dell’art. 178 TUA, “la gestione dei rifiuti è effettuata conformemente ai principi di ………responsabilizzazione e di cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nella produzione, nella distribuzione, nell’utilizzo e nel consumo di beni da cui originano i rifiuti, nonché del principio chi inquina paga”. E pertanto “il reato di abbandono incontrollato di rifiuti è ascrivibile ai titolari di enti ed imprese ed ai responsabili di enti anche sotto il profilo della omessa vigilanza sull’operato dei dipendenti che hanno posto in essere la condotta di abbandono”11. Infatti, “nell’obbligo di controllo incombente su chi riveste formalmente la carica di amministratore rientra anche quello, in materia ambientale, sull’operato dei dipendenti della società che abbiano posto in essere la condotta di abbandono di rifiuti indipendentemente dal luogo in cui si è consumata, così come di chi, gestendo in concreto la società, abbia assunto tale iniziativa in violazione delle norme che impongono l’osservanza di specifiche procedure per il loro smaltimento”12. Anche se, ovviamente, nessuna responsabilità può essere addossata al titolare qualora nessun rimprovero possa essergli mosso anche in relazione all’operato dei dipendenti. E pertanto appare del tutto condivisibile l’affermazione secondo cui “risponde del reato di cui all’art. 256, 2° comma, d.leg. 152/06 e non dell’illecito sanzionato in via amministrativa dall’art. 255, l’autista di un autocarro il quale, pur avendo ricevuto dal titolare della ditta da cui dipende, l’ordine di conferire i rifiuti prodotti dall’impresa in una discarica autorizzata, in violazione di tali istruzioni abbandoni in un ‘area comunale i rifiuti, omettendo altresì di informare il titolare della ditta, venuto a conoscenza di quanto accaduto solo in forza di una successiva segnalazione”13.
Particolare attenzione va prestata in caso il reato venga commesso in presenza di delega di funzioni ad altro soggetto da parte del titolare dell’impresa. In tal caso, infatti, la Cassazione ha precisato che “a differenza dell’ipotesi prevista dal primo comma, ben può dirsi che l’art. 256, comma 2, d.lgs. 152 del 2006 integri gli estremi di un reato proprio, sicché, ferma la possibilità del concorso dell’extraneus, è comunque necessario accertare che la condotta sia riconducibile anche alla responsabilità del titolare dell’impresa, ovvero che quest’ultimo abbia delegato la gestione dei rifiuti di cui si tratta ad altro soggetto, il quale ne ha abbia pertanto assunto la correlativa responsabilità, ferma restando, secondo le regole generali, la possibilità che il delegante non ne sia esonerato. Ed invero, è pacifico che nell’ambito delle imprese o degli enti, la gestione dei rifiuti sia delegabile, ma gli stringenti requisiti che la giurisprudenza richiede per la validità della delega rilevano ai fini di escludere la penale responsabilità del delegante nel caso di reati posti in essere dal delegato, mentre per la soggettiva imputazione di tale attività gestoria all’impresa ai fini della sussistenza del reato in esame anche in capo al delegato è sufficiente che a quest’ultimo fossero stati di fatto conferiti i poteri connessi alla gestione dei rifiuti”14.
Infine, sembra opportuno ricordare la problematica relativa alla possibile corresponsabilità del proprietario del terreno su cui siano stati, da parte di terzi, abbandonati o depositati rifiuti in modo incontrollato. In un primo momento, infatti, la Cassazione aveva sostenuto la sussistenza di “penale responsabilità del legale rappresentante di una società proprietaria di un’area, su cui terzi depositano in modo incontrollato rifiuti, essendogli attribuibile l’illecita condotta di questi ultimi in quanto tenuto a vigilare sull’osservanza da parte dei medesimi delle norme in materia ambientale”15, ipotizzando un obbligo di garanzia con conseguente “culpa in vigilando attribuibile al proprietario che trova corretto fondamento nella funzione sociale della proprietà di cui all’articolo 42 Cost., tenendo conto della natura, appunto, sociale delle norme di tutela dell’ambiente”16. Tuttavia, sin dal 2014, precisava che “il proprietario di un terreno non risponde dei reati di realizzazione e gestione di discarica non autorizzata, anche in caso di mancata attivazione per la rimozione dei rifiuti, a condizione che non compia atti di gestione o movimentazione dei rifiuti, atteso che tale responsabilità sussiste solo in presenza di un obbligo giuridico di impedire la realizzazione o il mantenimento dell’evento lesivo”17; aggiungendo poco dopo che “in materia di gestione e smaltimento dei rifiuti, il proprietario del sito ove i rifiuti son stati illecitamente depositati, o a fine di abbandono o a fine di smaltimento, non risponde, per la sola ragione della sua qualifica dominicale rispetto al terreno o comunque al sito in questione, dei reati dì realizzazione e gestione di discarica non autorizzata commessi da terzi, anche nel caso in cui non si attivi per la rimozione dei rifiuti stessi, in quanto tale responsabilità sussiste solo in presenza di un obbligo giuridico di impedire l’evento lesivo, il che potrebbe verificarsi solo nell’ipotesi in cui il proprietario abbia compiuto autonomi atti di gestione o di movimentazione dei rifiuti”18.
A conclusioni opposte giunge, invece, la giurisprudenza amministrativa con riferimento all’obbligo di bonifica previsto dal terzo comma dell’art. 192 TUA, evidenziando sin dal 2014 che “la condotta illecita del terzo, ovvero la proliferazione delle condotte illecite dei terzi, non è di per sé una causa che rende non imputabile al proprietario l’evento (la trasformazione del suo terreno in discarica abusiva), né frattura il nesso di causalità tra la sua condotta colposa (id est, caratterizzata dalla trascuratezza e dall’incuria), quando costituisce un fatto prevedibile e prevenibile…”19; con la precisazione che, tuttavia, occorre sempre restare “nei limiti di una ragionevole esigibilità, escludendo quindi, ad esempio, un obbligo di vigilanza 24 ore su 24 per prevenire condotte illecite di terzi”20. E pertanto “in relazione ai soggetti passivi dell’ordine di rimozione di rifiuti previsto dall’ art. 192, co. 3 cit., va ribadito come lo stesso possa essere indirizzato anche nei confronti del proprietario dell’area, pur non essendo lo stesso l’autore materiale delle condotte di abbandono dei rifiuti” 21.
In sostanza, cioè, secondo il Consiglio di Stato, “in tema di inquinamento, il proprietario del terreno risponde della bonifica effettuata sul suolo di sua proprietà – nel senso che anch’egli è tenuto ad effettuarla – solidalmente con colui che ha concretamente determinato il danno, pur se affittuario, a titolo di dolo, qualora abbia celato i rifiuti, o di colpa, nell’ipotesi in cui non abbia approntato l’adozione delle cautele volte a custodire adeguatamente la proprietà, ovvero non denunciando, dopo esserne venuto a conoscenza, il fatto alle autorità. In definitiva, per la posizione di garanzia rivestita dal proprietario, è configurabile, anche a titolo di concorso, un illecito omissivo per violazione del dovere di impedire fatti idonei a ledere il bene protetto”22.
La disposizione equipara l’abbandono al deposito incontrollato ma recentemente la Suprema Corte ha precisato che “il “deposito incontrollato” presuppone una condotta differente dalle fattispecie di abbandono e di immissione, altrimenti la sua previsione da parte del legislatore risulterebbe inutile. Tale elemento distintivo non può essere rinvenuto nell’episodicità della condotta e nella quantità, necessariamente contenuta, di rifiuti che esso ha in comune con l’abbandono e che consente di contraddistinguere entrambi rispetto ad altre condotte tipiche individuate dalla disciplina di settore. Ciò che, invece, caratterizza il deposito incontrollato è la condotta tipica individuabile alla luce del significato letterale del termine “deposito”, ossia la collocazione non definitiva dei rifiuti in un determinato luogo in previsione di una successiva fase di gestione del rifiuto”23, Così come giova ricordare subito che “la nozione di “deposito incontrollato di rifiuti” ……… è volutamente generica e, pertanto, nell’ottica del legislatore, tenuto conto delle finalità dallo stesso perseguite correlate alla necessità di salvaguardare la salute e l’igiene pubblica, è da riferire anche ad aree private. La suddetta conclusione è avvalorata dal 3° comma della citata disposizione la quale, nel prevedere anche a carico del proprietario dell’area l’obbligo di procedere alla rimozione dei rifiuti, conferma che pure al deposito incontrollato di rifiuti in aree private non soggette ad uso pubblico è applicabile la misura ripristinatoria della rimozione24
La sanzione, come abbiamo visto, è penale solo se il soggetto agente è titolare di impresa o responsabile di ente, ma la giurisprudenza ha precisato che, in sostanza, in questo ambito rientra chiunque svolga, anche solo di fatto una qualsiasi attività economica o lavorativa da cui possono derivare rifiuti, e che il reato può configurarsi anche per omessa vigilanza sull’operato dei dipendenti.
In sintesi, quindi, secondo la Cassazione:
LA CASSAZIONE E L’ABBANDONO-DEPOSITO INCONTROLLATO DI RIFIUTI Cass. Pen., Sez. 3, 16 maggio 2012, n. 30123, Savoca Nel reato di abbandono o deposito incontrollato di rifiuti non rileva l’occasionalità della condotta ma la qualifica dell’agente per discernere l’illecito amministrativo da quello penale. La normativa opera differenziazioni tra i tipi di imprese che conferiscono i rifiuti ritenendo evidentemente sufficiente ad attribuire valenza maggiormente offensiva alla condotta di colui il quale operi nell’ambito di un’attività professionale.25 ID., 11 maggio 2011, n. 18502, Spirineo Risponde del reato di cui all’art. 256, 2° comma, d.leg. 152/06 e non dell’illecito sanzionato in via amministrativa dall’art. 255, l’autista di un autocarro il quale, pur avendo ricevuto dal titolare della ditta da cui dipende, l’ordine di conferire i rifiuti prodotti dall ‘impresa in una discarica autorizzata, in violazione di tali istruzioni abbandoni in un ‘area comunale i rifiuti, omettendo altresì di informare il titolare della ditta, venuto a conoscenza di quanto accaduto solo in forza di una successiva segnalazione ID., 2 maggio 2013, n. 26406, Storace Il reato di abbandono incontrollato di rifiuti è ascrivibile ai titolari di enti ed imprese ed ai responsabili di enti anche sotto il profilo della omessa vigilanza sull’operato dei dipendenti che hanno posto in essere la condotta di abbandono. ID., 8 ottobre 2014, n. 47662, Pelizzari ID., 19 novembre 2014, n. 52773, Taranto Il reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 2, è configurabile nei confronti di qualsiasi soggetto che abbandoni rifiuti nell’ambito di una attività economica esercitata anche di fatto, indipendentemente da una qualificazione formale sua o dell’attività medesima, così dovendosi intendere il “titolare di impresa o responsabile di ente” menzionato dalla norma. L’individuazione in concreto dell’attività imprenditoriale di fatto è valutazione di merito che compete al giudice della cognizione che, a tal fine, potrà e dovrà tener conto di elementi rivelatori della stessa quali: a) l’utilizzo di mezzi e modalità che eccedano quelli normalmente nella disponibilità del privato; b) la natura e la provenienza dei materiali; c) la quantità e qualità dei soggetti che hanno posto in essere la condotta ID., 27 gennaio 2016, n. 15405, Oggiano Il reato di deposito incontrollato di rifiuti, previsto dall’art. 256, comma secondo, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, è configurabile non soltanto in capo ai titolari di imprese ed ai responsabili di enti che effettuano una delle attività indicate al comma primo della richiamata disposizione (raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione), ma anche nei confronti di qualsiasi impresa avente le caratteristiche di cui all’art. 2082 cod. civ., o di ente, con personalità giuridica o operante di fatto. ID., 14 aprile 2021 (UP 5 feb 2021), n. 13817, Pascariello In altri termini, qualora la condotta tipizzata venga posta in essere da soggetto qualificato, il giudice dovrà procedere all’applicazione della norma penale avente carattere di specialità rispetto a quella che prevede l’illecito amministrativo – infliggendo la sanzione penale alternativa dell’ammenda o dell’arresto, se trattasi di rifiuti non pericolosi, o congiuntamente se trattasi di rifiuti pericolosi. Tuttavia, tale differenziazione non va vista solo con riferimento al soggetto che compie materialmente l’atto, ma deve essere valutata anche la natura realmente domestica o meno dei rifiuti abbandonati. La ratio del diverso trattamento riservato alla medesima condotta, secondo l’autore della violazione, è evidentemente fondata su una presunzione di minore incidenza sull’ambiente dell’abbandono posto in essere da soggetti che non svolgono attività imprenditoriale o di gestione di enti, ed in particolare la norma in questione è finalizzata ad: «impedire ogni rischio di inquinamento derivante da attività idonee a produrre rifiuti con una certa continuità, escluse perciò solo quelle del privato, che si limiti a smaltire i propri rifiuti al di fuori di qualsiasi intento economico». ID., 12 febbraio 2021 (PU 17 dic 2020), n. 5601, D’Ambroggio Nell’obbligo di controllo incombente su chi riveste formalmente la carica di amministratore rientra anche quello, in materia ambientale, sull’operato dei dipendenti della società che abbiano posto in essere la condotta di abbandono di rifiuti indipendentemente dal luogo in cui si è consumata, così come di chi, gestendo in concreto la società, abbia assunto tale iniziativa in violazione delle norme che impongono l’osservanza di specifiche procedure per il loro smaltimento |
---|
Di particolare interesse è la giurisprudenza relativa alla responsabilità del proprietario del terreno oggetto di abbandono o di deposito incontrollato di rifiuti da parte di altri. In proposito, la giurisprudenza consolidata della Suprema Corte ha ribadito, da ultimo, che “in materia di rifiuti, non è configurabile in forma omissiva il reato di cui all’art. 256, comma secondo, d.lgs. n. 152 del 2006, nei confronti del proprietario di un terreno sul quale terzi abbiano abbandonato o depositato rifiuti in modo incontrollato, anche nel caso in cui non si attivi per la rimozione dei rifiuti, poiché tale responsabilità sussiste solo in presenza di un obbligo giuridico di impedire la realizzazione o il mantenimento dell’evento lesivo, che il proprietario può assumere solo ove compia atti di gestione o movimentazione dei rifiuti”26, mentre, secondo la giurisprudenza amministrativa, “la condotta illecita del terzo, ovvero la proliferazione delle condotte illecite dei terzi, non è di per sé una causa che rende non imputabile al proprietario l’evento (la trasformazione del suo terreno in discarica abusiva), né frattura il nesso di causalità tra la sua condotta colposa (id est, caratterizzata dalla trascuratezza e dall’incuria), quando costituisce un fatto prevedibile e prevenibile. L’ordinanza dell’Adunanza Plenaria 21/2013 ha rilevato come l’art. 192 attribuisce espressamente rilievo alla colpa del proprietario per il quale sussiste la colpa anche nel caso di mancanza degli accorgimenti e delle cautele che l’ordinaria diligenza suggerisce per realizzare un’efficace custodia e protezione dell’area, così impedendo che possano essere in essa indebitamente depositati rifiuti nocivi.”27. tanto più quando il proprietario abbia acquistato il terreno sapendo dell’esistenza dei rifiuti28.
- In dottrina, cfr., da ultimo, DE BIASE, Le risposte della Cassazione ai rapporti tra gli artt. 255 e 256, d.lgs. 152/2006 e i problemi irrisolti in www.rivistadga.it, 2021, n. 2, pqg. 3 e segg.↩︎
- Ai sensi del comma 2, il divieto si estende anche alla “‘immissione di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee”,↩︎
- A queste sanzioni si aggiungono quelle per responsabilità delle persone giuridiche previste dall’art. 25-undecies, lett.b) D. Lgs 231/01.↩︎
- Cass. Pen., Sez. 3, 16 maggio 2012, n. 30123, Savoca↩︎
- Le sentenze citate, in assenza di diversa indicazione, fanno riferimento alla data di udienza e sono reperibili sul sito www.lexambiente.it .↩︎
- Cass. Pen., sez. 3, 16 giugno 2016, n. 38823, Baldecchi, secondo cui “La fattispecie di cui all’art. 256, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006 si configura come “reato proprio”, per la cui integrazione è necessario che la condotta tipica sia commessa dai “titolari di imprese” ovvero dai “responsabili di enti”. Uno degli indici rivelatori del fatto che nel prestare l’attività tipica il soggetto attivo non agisca come privato cittadino è dato proprio dalla natura e provenienza dei materiali dismessi”.↩︎
- Cass. Pen., Sez. 3, 27 giugno 2013, n. 38364, Beltipo↩︎
- Cass. Pen., Sez. 3, 27 gennaio 2016, n. 15405, Oggiano↩︎
- Cass. Pen., Sez. 3, Cc 17 dicembre 2014, Costruta. A questo proposito, merita una menzione ID., 16 marzo 2017, n. 20237, Sorge, secondo cui “nella nozione di enti cui fa riferimento l’art. 256, comma 2 d.lgs. 152\06 rientrano anche le associazioni e integra il reato sanzionato da tale disposizione l’abbandono, da parte del rappresentante di un’associazione sportiva dilettantistica di tiro al volo, dei rifiuti derivanti da tale attività.”↩︎
- Cass. Pen., Sez. 3, 5 febbraio 2021, n. 13817, Pascariello↩︎
- Cass. Pen., Sez. 3, 2 maggio 2013, n. 26406, Storace↩︎
- Cass. Pen., Sez. 3, 17 dicembre 2020, n. 5601, D’Ambroggio↩︎
- Cass. Pen., Sez. 3, 11 maggio 2011, n. 18502, Spirineo↩︎
- Cass. Pen., Sez. 3, 9 settembre 2021, n. 37603, Pardo. Per approfondimenti e richiami sulla delega di funzioni, si rinvia al nostro Diritto penale ambientale, Pacini editore, Pisa 2022, pag. 27 e segg.↩︎
- Cass. Pen., Sez. 3, cc. 16 gennaio 2015, n. 8980, Pizzatti↩︎
- Cass. Pen., Sez. 3, 19 dicembre 2012, n. 9213, Migliosi↩︎
- Cass. Pen., Sez. 3, 10 giugno 2014, n. 40528, Cantoni↩︎
- Cass. Pen., Sez. 3, cc. 29 maggio 2015, n. 1158, Casentini. Nello stesso senso cfr. ID, 28 marzo 2019 (dep.), n. 13606, in www.dirittoambiente.net. Da ultimo, cfr. ID., 30 giugno 2021, n. 36727 , Bruno↩︎
- Consiglio di Stato, Sez. V, n. 2977, del 10 giugno 2014↩︎
- Consiglio di Stato Sez. II n. 7729 del 7 dicembre 2020↩︎
- Consiglio di Stato Sez.V n. 4441 del 9 giugno 2021↩︎
- Consiglio di Stato Sez. IV n. 5384 del 28 giugno 2022↩︎
- Cass. Pen., Sez. 3, 28 luglio 2021 (PU 7 mag 2021) n. 29578, Codognotto↩︎
- Consiglio di Stato, Sez. V, n. 5120, del 14 ottobre 2014↩︎
- nella specie l’abbandono era stato effettuato da privato in concorso con ditta di trasporto↩︎
- Cass. Pen., Sez. 3, 8 ottobre 2021 (UP 30 giu 2021), n. 36727, Bruno↩︎
- Consiglio di Stato, Sez. V, n. 2977, del 10 giugno 2014. Più di recente cfr. ID, Sez. II n. 7729 del 7 dicembre 2020, in www.lexambiente.it, 11 gennaio 2021, secondo cui “la corresponsabilità del proprietario del suolo nell’illecito sversamento di rifiuti non ha carattere oggettivo, ma postula l’accertamento di una sua corresponsabilità dolosa o colposa, ovvero per condotte omissive, in violazione delle cautele connesse a una diligenza da valutare nei limiti di una ragionevole esigibilità, escludendo quindi, ad esempio, un obbligo di vigilanza 24 ore su 24 per prevenire condotte illecite di terzi.”↩︎
- TAR Lombardia (BS) Sez. I n. 48 del 17 gennaio 2017, secondo cui “solo chi non è detentore dei rifiuti, come il proprietario incolpevole del terreno su cui gli stessi sono collocati, può invocare l’esimente interna dell’art. 192 comma 3 del Dlgs. 152/2006. Per proprietario incolpevole si deve però intendere il soggetto che, contro la sua volontà, ovvero senza atti di assenso o di tolleranza, ha subito il deposito dei rifiuti sul suo terreno”.↩︎