Sentenza della Corte di Cassazione III Sezione n. 35410 del 24 settembre 2021

Deposito temporaneo 

“In tema di gestione dei rifiuti, l’onere della prova relativa alla sussistenza delle condizioni di liceità del deposito cosiddetto controllato o temporaneo, fissate dall’art. 183 del d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, grava sul produttore dei rifiuti, in considerazione della natura eccezionale e derogatoria di tale deposito rispetto alla disciplina ordinaria.”

Scarti vegetali

“Non può dunque affermarsi che si fosse in presenza di una lecita pratica agricola, avendo al riguardo questa Corte precisato (Sez.  3, n. 21936 del 05/04/2016, Rv. 267470) che, in tema di gestione dei rifiuti, gli scarti vegetali non sono classificabili come rifiuti soltanto se utilizzati in agricoltura mediante processi e metodi costituenti le normali pratiche agronomiche disciplinate dagli art. 182, comma sesto-bis, e 185, comma primo, lett. f), del citato d. lgs. n. 152 del 2006, non risultando comprovato nel caso di specie il rispetto di tali procedure.”

Cass. Sez. III n. 35410 del 24 settembre 2021 (UP 20 mag 2021)
Pres. Ramacci Est. Zunica Ric. Frigerio

RITENUTO IN FATTO

          1. Con sentenza del 28 ottobre 2020, la Corte di appello di Milano confermava la sentenza del 19 aprile 2019, con la quale il Tribunale di Lecco, per quanto in questa sede rileva, aveva condannato Franco Frigerio e Giuseppe Frigerio, con i doppi benefici di legge, alla pena di 1 anno e 6 mesi di reclusione ciascuno, in quanto ritenuti colpevoli dei reati di cui agli art. 256 comma 2 (capi 1 e 3) e 256 bis (capo 4) del d. lgs. n. 152 del 2006, reati a loro contestati per avere, quali soci e amministratori dell’azienda agricola Besonda dei fratelli Frigerio Giuseppe e Franco, realizzato un duplice deposito incontrollato, uno di rifiuti costituiti da liquami derivanti dall’allevamento di bestiame con immissione nel suolo (capo 1), e l’altro costituito da rifiuti anche pericolosi costituiti da 16 fusti metallici contaminati, imballaggi in plastica contaminati, rottami metallici, un motore di veicolo non bonificato, un serbatoio di un autocarro, due cisterne per carburanti, materiale edile da demolizione, imballaggi in plastica, pneumatici usati, sversamenti di sostanza oleosa, 300 litri di olio esausto e 3 cisternette in plastica (capo 3), oltre che per avere appiccato il fuoco a rifiuti abbandonati o depositati in modo incontrollato, quali materassi, bottiglie e imballaggi in plastica (capo 4); fatti commessi in Cremeno fino al 22 febbraio 2017.
Veniva altresì confermata la statuizione con cui gli imputati erano stati condannati in primo grado al risarcimento del danno, da liquidare in separata sede, in favore della parte civile società agricola Garbagnati, nei cui confronti veniva riconosciuta una provvisionale quantificata in 60.000 euro.
         2. Avverso la sentenza della Corte di appello meneghina, Franco Frigerio e Giuseppe Frigerio, tramite il loro comune difensore di fiducia, hanno proposto ricorso per cassazione, sollevando sei motivi.
Con il primo, la difesa eccepisce la violazione degli art. 516 e 521 cod. proc. pen., osservando che i giudici di merito non hanno tenuto conto che un fatto importante descritto nel decreto di citazione, ovvero la creazione di una tubazione di scarico abusiva che avrebbe convogliato a valle i liquami, era stato attribuito a Sergio Maurizio Garbagnati, indicato come proprietario dell’area, committente ed esecutore dei lavori, per cui, una volta assolto Garbagnati, il capo di imputazione andava rettificato, o quantomeno nelle sentenze occorreva precisare chi di fatto avesse realizzato tale tubazione; ciò non è avvenuto, essendo stati quindi i Frigerio condannati per il capo 1 anche per un fatto diverso da quello a loro contestato, con evidente violazione del diritto di difesa.
Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano il mancato riconoscimento della esimente di cui all’art. 45 cod. pen., evidenziando che, come riferito dai testi Zucchi e Selva, lo sversare i liquidi e il materiale di deiezione degli animali sulla vasta area dell’azienda era lecito, occorrendo soltanto l’autorizzazione amministrativa, ovvero il P.U.A., che poteva essere chiesto solo dal nuovo proprietario del terreno, ovvero l’azienda Garbagnati, che si è sempre rifiutata di farlo, per cui l’azienda Besonda, pur prelevando con autobotte parte dei liquami, conferendoli in discarica, non ha potuto fare ciò per tutti gli animali, dato il loro numero consistente, essendosi dunque gli imputati vistisi costretti ad agire così, perché l’unica alternativa a tale comportamento sarebbe stata quella di macellare gli animali e cessare un’attività che durava da oltre mezzo secolo.
Con il terzo motivo, viene censurata l’affermazione della penale responsabilità degli imputati rispetto al capo 3 della rubrica, rilevandosi che l’azienda Besonda produceva il miglior latte di tutta la Valsassina, praticando da anni la cd. “economia circolare”, cioè non buttando nulla e riutilizzando tutto, tanto è vero che il teste Selva, esperto agronomo e proprietario di una cascina confinante, ha precisato che tutti i materiali presenti nell’azienda Besonda venivano riutilizzati, per cui non era corretta l’affermazione dei giudici di merito secondo cui si era in presenza di rifiuti ai sensi dell’art. 183 lett. A del d. lgs. n. 152 del 2006, non essendo affatto provato che il detentore di tale materiale avesse intenzione di disfarsene, facendolo diventare rifiuti: lo stesso motore presente in alcune foto non era rifiuto, dovendo lo stesso essere riutilizzato per fornire pezzi di ricambio per i numerosi mezzi nella disponibilità dell’azienda.
Con il quarto e il quinto motivo, esposti congiuntamente, la difesa contesta la formulazione del giudizio di colpevolezza degli imputati in relazione al capo 3 della rubrica, censurando il difetto di motivazione rispetto all’individuazione dell’autore della combustione, atteso che questa è avvenuta nell’ambito di una vastissima area, non recintata, alla quale dal 2014 accedevano anche i nuovi proprietari, ovvero Garbagnati padre, i suoi due figli e i loro operai, tanto è vero che è stata ascritta a Sergio Maurizio Garbagnati la realizzazione di una tubazione di scarico nell’area, essendo in ogni caso pacificamente emerso dalla istruttoria dibattimentale che erano in molti ad avere accesso all’area.
Viene in ogni caso contestata dai ricorrenti la configurabilità del reato dal punto di vista oggettivo, rilevandosi che le ceneri rinvenute nell’area erano poco significative per estensione e spessore, le reti metalliche fotografate non hanno nulla a che vedere con la combustione ed erano visibili nelle ceneri residui di arbusti presenti nell’azienda, per cui si era in presenza di un’attività lecita ex art. 182 comma 6 bis del d. lgs. n. 152 del 2006, essendo pacifico che quello era l’unico posto dove venivano di volta in volta smaltiti i residui di vegetazione.
Con il sesto motivo, oggetto di doglianza è l’omessa risposta da parte della Corte territoriale al motivo di appello con il quale era stata sollecitata la revoca delle statuizioni civilistiche e il dissequestro dei beni sequestrati agli imputati.
3. Con memoria del 10 maggio 2021, il difensore degli imputati, nel replicare alle conclusioni del Procuratore generale, ha insistito nell’accoglimento dei ricorsi.


CONSIDERATO IN DIRITTO

      I ricorsi sono infondati.
      1. Iniziando dal primo motivo, occorre evidenziare che alcuna violazione degli art. 516 e 521 cod. proc. pen. appare ravvisabile nel caso di specie.
Ed invero la condanna degli imputati rispetto al capo 1 è stata riferita soltanto al segmento di condotta a loro contestato, ovvero la realizzazione del deposito incontrollato di rifiuti nella veste di soci e amministratori dell’azienda agricola Besonda, per cui l’intervenuta assoluzione del coimputato Garbagnati non ha avuto alcuna ripercussione nella sfera dei ricorrenti, i quali sono stati condannati non in ordine alla creazione della tubazione di scarico dalla sala mungitura, condotta questa ascritta al solo Garbagnati, ma rispetto alle autonome condotte da loro tenute, che hanno parimenti portato all’evento oggetto di imputazione.
Non vi è dunque spazio per l’accoglimento della doglianza difensiva, non essendo configurabile alcuna violazione del diritto di difesa in danno dei ricorrenti.
2. Passando ai restanti motivi di ricorso, suscettibili di trattazione unitaria perché tra loro sostanzialmente sovrapponibili, deve rilevarsi che, a differenza di quanto dedotto dal ricorrente, il giudizio di colpevolezza dei ricorrenti rispetto a tre reati a loro ascritti non presenta vizi di legittimità rilevabili in questa sede.
E invero, deve osservarsi che le due conformi sentenze di merito, le cui motivazioni sono destinate a integrarsi per formare un unico corpus argomentativo, hanno operato un’attenta disamina delle risultanze probatorie acquisite, richiamando in particolare i vari accertamenti di P.G. svolti tra il 2016 e il 2017 nei confronti dell’azienda agricola Besonda dei fratelli Giuseppe e Franco Frigerio, sita in Cremeno, paese dell’area alpina della Valsassina, azienda che si occupa dell’allevamento di bestiame e della produzione di carne e latte.
L’area occupata dall’azienda è stata invero oggetto di una controversia civile, all’esito del quale è stato disposto il rilascio dei terreni e dei fabbricati in favore della società Garbagnati s.r.l., essendo all’epoca dei fatti ancora in corso l’esecuzione forzata della decisione giudiziaria favorevole alla Garbagnati s.r.l.
Ciò posto, i controlli scaturivano da reiterate denunce sullo stato di degrado dell’azione agricola Besonda, con particolare riferimento al trattamento dei rifiuti.
In tal senso, in occasione di diversi sopralluoghi, i Nas di Brescia, la Polizia Provinciale di Lecco e la Polizia locale dell’Altopiano Valsassina accertavano che gli animali erano tenuti in condizioni precarie (anche se non illecite) e che l’area di pertinenza dell’azienda era occupata da cumuli di letame cosparsi ovunque, risultando la vasca di contenimento dei liquami sottostante l’allevamento piena e tracimante, con caduta delle deiezioni solidificate nel terreno sottostante.
Venivano inoltre rinvenuti nei terreni rifiuti di vario genere, pericolosi e non, costituiti da 16 fusti metallici contaminati (rifiuti pericolosi), imballaggi in plastica contaminati (rifiuti pericolosi), rottami metallici, un motore di veicolo non bonificato (rifiuto pericoloso), un serbatoio di un autocarro (rifiuto pericoloso), due cisterne per carburanti (rifiuto pericoloso), materiale edile da demolizione, imballaggi in plastica, pneumatici usati, sversamenti di sostanza oleosa, 300 litri di olio esausto (rifiuto pericoloso) e 3 cisternette in plastica; la Polizia locale inoltre rilevava la presenza di 0,5 metri cubi di residui di cenere derivanti dalla combustione di rifiuti come materassi, bottiglie e imballaggi di plastica.
Orbene, alla stregua di tali elementi probatori, appare immune da censure il giudizio circa la configurabilità dei reati ascritti agli imputati.
     3. Quanto al capo 1, i giudici di merito hanno infatti ragionevolmente osservato che nei terreni occupati (abusivamente) dall’azienda Besonda era presente un deposito incontrollato di rifiuti organici provenienti dall’allevamento del bestiame (peraltro di dimensioni non certo trascurabili, essendovi oltre 110 animali), risultando i vari liquami sversati nei terreni senza alcun criterio, non essendo affatto adeguata la vecchia vasca Imhof priva di alcuna manutenzione.
Né appare pertinente al riguardo l’obiezione difensiva circa la configurabilità dell’esimente di cui all’art. 45 cod. pen., atteso che alcuna ragione ostativa è stata comprovata rispetto al mancato conseguimento da parte dei titolari dell’azienda agricola, ovvero i fratelli Frigerio, del provvedimento amministrativo che avrebbe consentito, in presenza di opere costanti e ordinate di smaltimento, lo spargimento nel terreno del letame come fertilizzante, ovvero il PUA, piano di utilizzazione agronomico da parte dell’azienda, non valendo certo a integrare un’ipotesi di forza maggiore il generico richiamo difensivo alla presunta inerzia dei legittimi proprietari dell’area, i quali peraltro all’epoca dei sopralluoghi non avevano neanche la disponibilità materiale dei terreni occupati dall’azienda agricola Besonda che gestiva l’allevamento da cui scaturivano i rifiuti organici.
        4. Anche rispetto al deposito incontrollato contestato al capo 3), le valutazioni compiute dai giudici di merito non presentano criticità.
Sia il Tribunale che la Corte di appello, infatti, in maniera non illogica, hanno sottolineato che i rifiuti, alcuni anche pericolosi, presenti nell’azienda agricola, in un contesto di degrado, erano molteplici ed estranei all’attività agricola.
È rimasta invece priva di alcun conforto probatorio l’affermazione difensiva circa la destinazione dei rifiuti al riutilizzo all’interno dell’azienda, deponendo anzi la presenza di una vera e propria catasta di pneumatici abbandonati in mezzo alla vegetazione per l’impostazione accusatoria del deposito incontrollato di rifiuti.
Sul punto deve richiamarsi invero la costante affermazione di questa Corte (cfr. Sez.  3, n. 35494 del 10/05/2016, Rv. 267636), secondo cui, in tema di gestione dei rifiuti, l’onere della prova relativa alla sussistenza delle condizioni di liceità del deposito cosiddetto controllato o temporaneo, fissate dall’art. 183 del d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, grava sul produttore dei rifiuti, in considerazione della natura eccezionale e derogatoria di tale deposito rispetto alla disciplina ordinaria.
Tale onere probatorio nel caso di specie non è stato adempiuto, non avendo trovato alcun riscontro la tesi difensiva dell’esistenza, all’interno dell’azienda, di una “economia circolare” in base alla quale tutto veniva riutilizzato, avendo piuttosto l’accertamento della P.G. evidenziato la presenza nel sito di rifiuti tra loro eterogenei e in stato di abbandono tale da rendere oggettivamente non praticabile l’ipotesi del riutilizzo di tutti i materiali rinvenuti nell’attività agricola.
       5. Anche rispetto al giudizio sulla sussistenza del reato di cui al capo 4, infine, le censure difensive non risultano meritevoli di accoglimento.
I giudici di merito hanno infatti sottolineato, in modo pertinente, che dai controlli di P.G. (in particolare dalle foto da 2 a 4 del fascicolo fotografico) era emersa l’esistenza di un mucchio di cenere ormai spenta con evidenti residui di plastica di colore blu parzialmente incombusta e con apparenti reti di materasso, avendo inoltre il teste Garbagnati riferito di pile di plastica ancora “fumanti”.
Il tipo di combustione è risultato incompatibile con cause accidentali e naturali, non essendovi peraltro accanto ai cumuli di rifiuti inceneriti delle macchine o dei lavori che potessero trasmettere il fuoco ai cumuli di materiale accatastato.
Non può dunque affermarsi che si fosse in presenza di una lecita pratica agricola, avendo al riguardo questa Corte precisato (Sez.  3, n. 21936 del 05/04/2016, Rv. 267470) che, in tema di gestione dei rifiuti, gli scarti vegetali non sono classificabili come rifiuti soltanto se utilizzati in agricoltura mediante processi e metodi costituenti le normali pratiche agronomiche disciplinate dagli art. 182, comma sesto-bis, e 185, comma primo, lett. f), del citato d. lgs. n. 152 del 2006, non risultando comprovato nel caso di specie il rispetto di tali procedure.
Ribadita la sussistenza del reato dal punto di vista oggettivo, deve rilevarsi che legittimamente tale condotta è stata attribuita ai titolari dell’azienda Besonda, essendo poco plausibile (e in mancanza di adeguate prove al riguardo) che terze persone si siano introdotte nel sito per procedere alla combustione dei rifiuti presenti nei terreni occupati abusivamente dall’azienda gestita dai ricorrenti.
In definitiva, in quanto sorretta da considerazioni razionali e coerenti con le fonti dimostrative raccolte, l’affermazione della penale responsabilità degli imputati in ordine ai reati a loro ascritti resiste alle censure difensive, formulate in termini prevalentemente assertivi e invero non adeguatamente specifici.
          5. Venendo infine al sesto motivo, deve osservarsi che, rispetto alla richiesta di dissequestro dei beni sottoposti a cautela reale, la Corte territoriale non ha mancato di confrontarsi con la censura difensiva, superandola in maniera non illogica in base al rilievo secondo cui non era stata comprovata nel caso di specie l’avvenuta e completa bonifica del sito da parte degli imputati.
Quanto alla richiesta di revoca delle statuizioni civili, occorre rilevare che il Tribunale aveva riconosciuto in favore dell’azienda Garbagnati la veste di soggetto danneggiato dai reati di cui ai capi 1, 3 e 4, avendo tale azienda subito le conseguenze della mala gestione dei terreni occupati dall’azienda Besonda.
Ora, l’atto di appello aveva contestato in maniera non adeguatamente specifica tale statuizione, osservandosi cioè che “l’assoluzione dai reati ascritti fa venir meno il presupposto per il risarcimento danni a favore della parte civile costituita”, invocandosi in subordine l’applicazione dell’art. 1227 comma 2 cod. civ., per cui, a fronte di una doglianza generica, non appare in questa sede censurabile la circostanza che la Corte territoriale si sia limitata a confermare le statuizioni civili per effetto della conferma del giudizio sulla sussistenza dei reati, dovendosi invece rilevare che ciò che attiene al quantum del risarcimento andrà affrontato nel giudizio civile, cui è stata demandata la liquidazione del danno.
Quanto infine alle doglianze sulla provvisionale, deve richiamarsi la costante affermazione di questa Corte, secondo cui non è impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata, per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinata ad essere travolta dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento (cfr. Sez. 2, n. 44859 del 17/10/2019, Rv. 277773 e Sez. 6, n. 50746 del 14/10/2014, Rv. 261536).
          6. In conclusione, stante l’infondatezza delle doglianze sollevate, i ricorsi proposti nell’interesse di Franco e Giuseppe Frigerio devono essere rigettati, con conseguente onere per i ricorrenti, ex art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento, nonché di provvedere alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, spese liquidate in complessivi euro tremilacinquecento, oltre accessori di legge.
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P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi euro tremilacinquecento oltre accessori di legge.
Così deciso il 20/05/2021

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