La disciplina in materia di gestione dei rifiuti si applica fino alla cessazione della qualifica di rifiuto
Sentenza del Consiglio di Stato 3 luglio 2025, n. 5753
… i flussi di sostanze provenienti dalle diverse linee di trattamento sono giuridicamente inquadrabili come rifiuti, derivanti da operazioni di smaltimento previste dal sopra citato allegato B alla parte IV del testo unico dell’ambiente (in particolare: D9 – trattamento fisico-chimico che dia origine a composti o a miscugli eliminati), e svolte in un impianto a ciò autorizzato, con conseguente inapplicabilità dell’art. 127 del medesimo testo unico. Dirimente a questo riguardo – come del pari statuito dalla pronuncia di primo grado – è l’art. 184-ter, comma 5, del testo unico sull’ambiente, che sancisce l’applicazione della disciplina in materia di gestione dei rifiuti «fino alla cessazione della qualifica di rifiuto».
La legittimità della contestata prescrizione è quindi ricavabile: innanzitutto dall’art. 184, comma 5-ter, del testo unico, secondo cui «(l)a declassificazione da rifiuto pericoloso a rifiuto non pericoloso non può essere ottenuta attraverso una diluizione o una miscelazione del rifiuto che comporti una riduzione delle concentrazioni iniziali di sostanze pericolose sotto le soglie che definiscono il carattere pericoloso del rifiuto»; ed inoltre dai principi affermati in materia dalla Corte costituzionale, nella sentenza del 12 aprile 2017, n. 75, richiamata anche dalla sentenza appellata, con la quale si è tra l’altro statuito che la miscelazione di rifiuti è attività che ai sensi della Direttiva 2008/98/CE rientra nel concetto di trattamento di rifiuti. Del resto, sul piano logico la tesi della società ricorrente si pone in urto con l’incontestabile dato di fatto che i trattamenti svolti nell’impianto da essa gestito e concernenti rifiuti liquidi consistono nella separazione degli inquinanti in funzione del suo smaltimento. Risulta pertanto evidente che esso mantenga tale qualificazione dal punto di vista giuridico, laddove si palesa al contrario incongruo predicarne le caratteristiche di refluo trattato in impianti di depurazione. Nel medesimo senso si pone l’art. 3 della direttiva 2008/98/CE, poc’anzi richiamata, che definisce produttore di rifiuto: «chiunque effettui operazioni di pretrattamento, miscelazione o altre operazioni che hanno modificato la natura o la composizione di detti rifiuti». Ne deriva che diversamente da quanto suppone l’appello è pienamente applicabile il poc’anzi richiamato divieto sancito dall’art. 187 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.