Qualificazione dei materiali estranei rinvenuti interrati
di Mauro Sanna
Sempre più di frequente nel corso di scavi per la realizzazione di fondamenta di fabbricati o di rilevati stradali anche di dimensioni ridotte, si rinvengono materiali interrati derivanti dalla demolizione di edifici o infrastrutture pregresse.
Per una corretta gestione di tali materiali, considerate le svariate e molteplici situazioni che possono presentarsi, tenendo anche conto di quanto previsto dalle diverse normative, è necessario procedere preliminarmente alla loro qualificazione sia in relazione alla loro origine che alle loro caratteristiche.
La prima condizione che si dovrà determinare è se si tratti di materiali presenti naturalmente in situ o di materiali esterni ivi conferiti in passato ed interrati.
Nel caso siano materiali estranei a quelli propri del suolo naturale si dovrà stabilire pregiudizialmente se essi siano da qualificare materiale da riporto o meno.
Materiali da riporto
Per definire tale fattispecie, i criteri da utilizzare saranno quelli previsti dal DPR 13 giugno 2017, n. 120 Regolamento recante la disciplina semplificata della gestione delle terre e rocce da scavo, ai sensi dell’articolo 8 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164.
L’art. 4 comma 3 del DPR, prevedendo i criteri per qualificare le terre e rocce da scavo come sottoprodotti, stabilisce in particolare: Nei casi in cui le terre e rocce da scavo contengano materiali di riporto, la componente di materiali di origine antropica frammisti ai materiali di origine naturale non può superare la quantità massima del 20% in peso, da quantificarsi secondo la metodologia di cui all’allegato 10. Oltre al rispetto dei requisiti di qualità ambientale di cui al comma 2, lettera d), le matrici materiali di riporto sono sottoposte al test di cessione, effettuato secondo le metodiche di cui al decreto del Ministro dell’ambiente del 5 febbraio 1998, recante «Individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero», pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 88 del 16 aprile 1998, per i parametri pertinenti, ad esclusione del parametro amianto, al fine di accertare il rispetto delle concentrazioni soglia di contaminazione delle acque sotterranee, di cui alla Tabella 2, Allegato 5, al Titolo 5, della Parte IV, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, o, comunque, dei valori di fondo naturale stabiliti per il sito e approvati dagli enti di controllo.
In questo caso, per stabilire se si tratti o meno di materiali di riporto, dovranno quindi essere effettuate le seguenti verifiche:
- la presenza in essi di materiali di origine antropica frammista ai materiali di origine naturale;
- la percentuale della componente di materiali di origine antropica presente frammista a quella dei materiali di origine naturale – da quantificarsi secondo la metodologia di cui all’allegato 10 del D.P.R. 13 giugno 2017, n. 120 – al fine di stabilire se essa è superiore alla quantità massima del 20% in peso;
- il test di cessione dell’eluato dei materiali di riporto, effettuato, per i parametri pertinenti ad esclusione dell’amianto, secondo le metodiche del D.M. Ambiente del 5 febbraio 1998, al fine di accertare il rispetto delle concentrazioni soglia di contaminazione per le acque sotterranee previste dalla Tabella 2, Allegato 5, al Titolo 5, della Parte IV, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152;
- il test di cessione dell’eluato dei materiali di riporto, effettuato, per i parametri pertinenti ad esclusione dell’amianto, secondo le metodiche del D.M. Ambiente del 5 febbraio 1998, al fine di accertare il rispetto dei valori di fondo naturale stabiliti per il sito e approvati dagli enti di controllo.
Già nella norma precedentemente in vigore, prevista dal D.M. 161/2012, erano state esplicitate le caratteristiche che dovevano essere possedute dai materiali di riporto di origine antropica per essere definiti come tali.1
A questo proposito è da evidenziare che nel valutare il materiale estraneo, rispetto a quello proprio costituente il suolo naturale, non si potrà fare riferimento soltanto e semplicisticamente alla definizione di “terra e rocce”, ma si dovrà verificare la sua reale natura pedologica. Pertanto anche se il materiale rinvenuto è costituito da terra e rocce, nel caso esse derivino da demolizioni di determinati manufatti, tale materiale sarà da considerare comunque “estraneo” in quanto differente sotto l’aspetto pedologico dalla terra e dalle rocce presenti naturalmente in situ. Perciò anche questi materiali, pur se costituiti da terra e rocce, saranno da considerare nel computo della componente di materiali di origine antropica, necessaria a verificare se è superata la quantità massima del 20% in peso rispetto ai materiali di origine naturale.
Se tali misurazioni dimostrano che il materiale estraneo è abbancato nel sito oggetto di scavo in notevole quantità e spessore e con un elevato grado di omogeneità, in quanto miscelato con ridotte concentrazioni del terreno proprio del sito interessato, esso non potrà essere definito materiale da riporto e dovrà essere assoggettato alla specifica disciplina dei rifiuti.
In tal caso, in considerazione di quanto previsto dalla normativa di settore dei rifiuti, compendiata principalmente nella parte IV del D.Lgs. 152/06, prima di qualificare tale materiale come rifiuto, con riferimento alle specifiche norme, si dovrà verificare prioritariamente se il materiale possa essere qualificato come:
- materia prima seconda recuperata o comunque materiale non più soggetto alla disciplina dei rifiuti;
- sottoprodotto.
Trattandosi di materiali rinvenuti interrati si potrà escludere a priori che si tratti di materiali già assoggettati ad operazioni di recupero poiché essi avrebbero dovuto comunque essere sottoposti pregiudizialmente ad operazioni di verifica, da indicare in uno specifico piano di utilizzo approvato dall’autorità competente secondo le procedure previste dall’articolo 208 del D.Lgs. 152/06, che confermassero la possibilità di impiego degli stessi come tali.
Per quanto riguarda invece la verifica se il materiale rinvenuto è da qualificare come un sottoprodotto, trattandosi nella fattispecie in esame di materiali interrati derivanti dalla demolizione di edifici o infrastrutture, rinvenuti nel corso di scavi per la realizzazione di fabbricati o di rilevati stradali, la normativa di riferimento sarà costituita dal già citato D.P.R. 13 giugno 2017, n. 120 Regolamento recante la disciplina semplificata della gestione delle terre e rocce da scavo, ai sensi dell’articolo 8 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164.
Questa norma infatti regolamenta tra l’altro la gestione delle terre e rocce da scavo qualificate come sottoprodotti ai sensi dell’articolo 184-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, provenienti da cantieri di piccole dimensioni, di grandi dimensioni e di grandi dimensioni non assoggettati a VIA o a AIA, compresi quelli finalizzati alla costruzione o alla manutenzione di reti e infrastrutture, nonché la gestione delle terre e rocce da scavo nei siti oggetto di bonifica.
Tale norma, al fine di qualificare le terre e rocce da scavo come sottoprodotti, oltre a definire le caratteristiche che devono essere possedute dai materiali al momento del rinvenimento, definisce anche le procedure che, successivamente al rinvenimento, potranno essere adottate per la loro gestione e le eventuali modalità di utilizzo dei materiali rinvenuti, con riferimento alla specifica destinazione d’uso urbanistica del sito di destinazione.
Elementi questi, che dovranno essere indicati nel piano di utilizzo, predisposto e trasmesso secondo le procedure indicate (articolo 9) ed attestato all’autorità’ competente nella dichiarazione di avvenuto utilizzo (articolo 7) che quindi potrà essere giustificato solo successivamente.
Il D.P.R. 13 giugno 2017, n. 120 definisce quindi, pregiudizialmente, anche le caratteristiche che devono essere possedute dai materiali al momento del rinvenimento perché possano essere ammissibili come sottoprodotti e quindi, come tali, non essere assoggettati alla disciplina dei rifiuti.
Le caratteristiche dei materiali rinvenuti indicate nel DPR, che sono le uniche che possono essere giudicate a priori per qualificarli come sottoprodotti, sono le seguenti:
- i materiali sono generati durante la realizzazione di un’opera, di cui costituiscono parte integrante e il cui scopo primario non è la produzione degli stessi;
- i materiali sono idonei ad essere utilizzati direttamente, ossia senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;2
- i materiali soddisfano i requisiti di qualità ambientale espressamente previsti dal Capo II o dal Capo III o dal Capo IV del D.P.R. 13 giugno 2017, n. 120, per le modalità di utilizzo specifico;
- le caratteristiche dei materiali sottoposti al test di cessione sono conformi alle concentrazioni soglia di contaminazione di cui alle colonne A e B, Tabella 1, Allegato 5, al Titolo V, della Parte IV, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, (art. 10) e comunque sono conformi ai valori di fondo naturale stabiliti per il sito e approvati dagli enti di controllo.3 4 Le caratterizzazioni chimico-fisiche da effettuare per l’accertamento delle qualità ambientali di cui all’art. 4 sono quelle previste dall’allegato 4 che prescrive che: “Il set di parametri analitici da ricercare e’ definito in base alle possibili sostanze ricollegabili alle attività antropiche svolte sul sito o nelle sue vicinanze, ai parametri caratteristici di eventuali pregresse contaminazioni, di potenziali anomalie del fondo naturale, di inquinamento diffuso, nonché di possibili apporti antropici legati all’esecuzione dell’opera. Il set analitico minimale da considerare è quello riportato in Tabella 4.1, fermo restando che la lista delle sostanze da ricercare deve essere modificata ed estesa in considerazione delle attività antropiche pregresse. (omissis) tra le sostanze della Tabella 4.1, le «sostanze indicatrici»: consentono di definire in maniera esaustiva le caratteristiche delle terre e rocce da scavo al fine di escludere che tale materiale sia un rifiuto ai sensi del presente regolamento e rappresenti un potenziale rischio per la salute pubblica e l’ambiente. (Tabella 4.1 – Set analitico minimale nel quale tra gli altri parametri è presente l’Amianto);
- le terre e rocce da scavo devono essere conformi ai requisiti di cui all’articolo 185, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e in particolare devono essere utilizzate nel sito di produzione, fermo restando quanto previsto dall’articolo 3, comma 2, del decreto-legge 25 gennaio 2012, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 28 (articolo 24). 5
Nel caso non sia rispettata anche una sola di queste condizioni il materiale rinvenuto sarà da qualificare come rifiuto.
Materiale da qualificare come rifiuto
Per il materiale qualificato come rifiuto si dovrà procedere alla sua classificazione stabilendo le modalità da adottare per la sua gestione successiva.
La classificazione del rifiuto
La classificazione di rifiuti interrati dovrà essere effettuata a norma dell’art. 184 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 ed a tal fine si dovrà verificare quale sia l’origine dei rifiuti e se essi contengano sostanze pericolose ed a seconda dei casi in quali concentrazioni.
In particolare quando si tratti di materiale di demolizione di edifici si dovrà valutare se tale materiale risulti contaminato ed i criteri da utilizzare a tal fine saranno quelli previsti dal Titolo V della Parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 relativo alla bonifica di siti contaminati e si dovrà verificare, considerata la loro origine, se in essi siano presenti materiali contenenti amianto e, nello specifico, se vi siano frammenti di eternit.
A questo proposito si deve ricordare che l’elenco europeo dei rifiuti, oltre ai codici che nella loro definizione prevedono espressamente l’amianto, contiene anche altri codici che si riferiscono in modo generico alle sostanze pericolose quali ad esempio i seguenti:
- 170106* “miscugli o frazioni separate di cemento, mattoni, mattonelle e ceramiche, contenenti sostanze pericolose”
- 170107 “miscugli di cemento, mattoni, mattonelle e ceramiche, diversi da quelli di cui alla voce 17 01 06”
- 170503* “terra e rocce, contenenti sostanze pericolose”
- 170504 “terra e rocce, diverse da quelle di cui alla voce 17 05 03”
- 170903* “altri rifiuti dell’attività di costruzione e demolizione (compresi rifiuti misti) contenenti sostanze pericolose”
- 170904 “rifiuti misti dell’attività di costruzione e demolizione, diversi da quelli di cui alle voci 17 09 01, 17 09 02 e 17 09 03”.
Tuttavia, nel caso che il contaminante presente nei materiali di demolizione sia costituito indiscutibilmente ed univocamente da materiale contenente amianto, commercializzato in passato con il nome di eternit,6 costituito specificatamente da materiali da costruzione demoliti quali tubazioni, lastre di copertura piane o ondulate, il codice EER che gli compete è il 17 06 05* Materiali da costruzione contenenti amianto.
Per classificare questo rifiuto con il codice EER che gli compete sarà perciò errato e fuorviante fare riferimento ad altri codici EER con la dicitura generica “contenenti sostanze pericolose”.
Infatti in questo modo, per la gestione di un rifiuto identificato con certezza come materiale da costruzione contenente amianto, a cui compete, data la sua origine e la sostanza pericolosa in esso contenuta, il codice EER 17 06 05* Materiali da costruzione contenenti amianto, sarebbe utilizzato un codice estraneo e generico relativo a rifiuti aventi altra origine e contenenti sostanze pericolose non individuate.
Poiché il codice EER 17 06 05* che compete al rifiuto è un codice assoluto, non sarà necessario procedere ad alcuna ulteriore caratterizzazione del rifiuto al fine di stabilire in quale concentrazione l’amianto sia presente in esso.
La gestione del rifiuto
Una volta avvenuta la classificazione del rifiuto dovranno essere stabilite le modalità da adottare per la sua gestione successiva. Per esso come per ogni tipo di rifiuto le modalità da adottare saranno duplici: assoggettarlo ad operazioni di smaltimento o procedere al suo recupero.
Ambedue i tipi di operazioni saranno comunque soggette alla normativa dei rifiuti e quindi come tali dovranno essere assoggettate prioritariamente ad autorizzazione ai sensi dell’art. 208 del D.Lgs. 152/06.
Nel caso si proceda allo smaltimento del rifiuto, la modalità da adottare potrà essere stabilità dal detentore sulla base delle caratteristiche chimico-fisiche e merceologiche del rifiuto, dei costi e della disponibilità di impianti di smaltimento, se invece si decidesse per il suo recupero, le modalità di gestione saranno differenti a seconda che il recupero avvenga direttamente in loco o invece sia svolto in altra sede in un impianto autonomo.
In questo secondo caso, la disciplina a cui sarà soggetto il rifiuto è quella generale prevista per il recupero di qualsiasi rifiuto.
Diversamente, se il recupero del rifiuto avviene in loco le modalità da adottare dovranno essere quelle stabilite dal D.P.R. 13 giugno 2017 n 120, diverse a seconda che esso sia sede di un cantiere di piccole dimensioni, di grandi dimensioni, di grandi dimensioni non assoggettato a VIA o a AIA, o che esso sia «sito oggetto di bonifica»: nel quale sono state attivate le procedure di cui al Titolo V, della Parte IV, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.
In questo ultimo caso, secondo l’articolo 26 del D.P.R., l’utilizzo delle terre e rocce prodotte dalle attività di scavo all’interno di un sito oggetto di bonifica già caratterizzato ai sensi dell’articolo 242 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, è sempre consentito a condizione che sia garantita la conformità alle concentrazioni soglia di contaminazione per la specifica destinazione d’uso o ai valori di fondo naturale. Nel caso in cui l’utilizzo delle terre e rocce da scavo sia inserito all’interno di un progetto di bonifica approvato, si applica quanto previsto dall’articolo 242, comma 7, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.
Inoltre, secondo la medesima normativa, le terre e rocce da scavo non conformi alle concentrazioni soglia di contaminazione o ai valori di fondo, ma inferiori alle concentrazioni soglia di rischio, possono essere utilizzate nello stesso sito alle condizioni fissate dall’art. 26 del D.P.R. 13 giugno 2017 n. 120.7
Trasporto del materiale qualificato come rifiuto
Già l’articolo 23 del D.P.R. 13 giugno 2017, n. 120 stabilisce le modalità di trasferimento delle terre e rocce da scavo nel caso siano qualificate come rifiuti, e l’art. 5, definendolo deposito intermedio, stabilisce la disciplina del deposito temporaneo di tali materiali.
Il deposito temporaneo è ammesso nel sito di produzione, nel sito di destinazione o in altro sito a condizione che siano rispettati i requisiti previsti dall’art. 5 del D.P.R. 13 giugno 2017, n. 120.8
In particolare, per i rifiuti classificati come pericolosi, il deposito è realizzato nel rispetto delle norme che disciplinano il deposito delle sostanze pericolose in essi contenute e in maniera tale da evitare la contaminazione delle matrici ambientali, garantendo in particolare un idoneo isolamento dal suolo, nonché la protezione dall’azione del vento e dalle acque meteoriche, anche con il convogliamento delle acque stesse.
- Allegato 9 al D.M. 161/2012 (Materiali di riporto di origine antropica): «I riporti di cui all’articolo 1 del presente Regolamento si configurano come orizzonti stratigrafici costituiti da materiali di origine antropica, ossia derivanti da attività quali attività di scavo, di demolizione edilizia, ecc. che si possono presentare variamente frammisti al suolo e al sottosuolo. In particolare, i riporti sono per lo più una miscela eterogenea di terreno naturale e di materiali di origine antropica, anche di derivazione edilizio-urbanistica pregressa che, utilizzati nel corso dei secoli per successivi riempimenti e livellamenti del terreno, si sono stratificati e sedimentati nel suolo fino a profondità variabili e che, compattandosi con il terreno naturale, si sono assestati determinando un nuovo orizzonte stratigrafico. I materiali da riporto sono stati impiegati per attività quali rimodellamento morfologico, recupero ambientale, formazione di rilevati e sottofondi stradali, realizzazione di massicciate ferroviarie e aeroportuali, riempimenti e colmate, nonché formazione di terrapieni. Ai fini del presente regolamento, i materiali di origine antropica che si possono riscontrare nei riporti, qualora frammisti al terreno naturale nella quantità massima del 20%, sono indicativamente identificabili con le seguenti tipologie di materiali: materiali litoidi, pietrisco tolto d’opera, calcestruzzi, laterizi, prodotti ceramici, intonaci».↩︎
- Articolo 184-bis comma 1 lett. c) D.Lgs. 152/06: la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale↩︎
- Nel caso in cui, per fenomeni di origine naturale siano superate le concentrazioni soglia di contaminazione di cui alle colonne A e B, Tabella 1, Allegato 5, al Titolo V, della Parte IV, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, i valori di fondo naturale sostituiscono le suddette concentrazioni soglia di contaminazione. A tal fine, i valori di fondo da assumere sono definiti con la procedura di cui all’articolo 11, comma 1, e, in tal caso, l’utilizzo delle terre e rocce da scavo come sottoprodotti è possibile nel rispetto delle condizioni indicate nell’articolo 11, comma 2.↩︎
- Qualora il sito di produzione delle terre e rocce da scavo ricada in un sito oggetto di bonifica, su richiesta e con oneri a carico del produttore, i requisiti di qualità ambientale di cui all’articolo 4, sono validati dall’Agenzia di protezione ambientale territorialmente competente, secondo la procedura definita nell’articolo 12.↩︎
- Articolo 3, comma 2, decreto-legge 25 gennaio 2012, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 28. 2. Ai fini dell’applicazione del presente articolo, per matrici materiali di riporto si intendono i materiali eterogenei, come disciplinati dal decreto di attuazione dell’articolo 49 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, utilizzati per la realizzazione di riempimenti e rilevati, non assimilabili per caratteristiche geologiche e stratigrafiche al terreno in situ, all’interno dei quali possono trovarsi materiali estranei.↩︎
- L’austriaco Ludwig Hatscheck nel 1901 brevettò un manufatto in cemento-amianto dandogli il nome Eternit, nel 1906 l’ingegnere italiano Adolfo Mazza acquistò il brevetto e nel 1907 la società Eternit, di cui Mazza era azionista, attivò la produzione di manufatti di cemento amianto a Casale Monferrato nel più grande stabilimento d’Europa.↩︎
- DPR 13 giugno 2017, n. 120. Art. 26. Utilizzo nel sito 2. Le terre e rocce da scavo non conformi alle concentrazioni soglia di contaminazione o ai valori di fondo, ma inferiori alle concentrazioni soglia di rischio, possono essere utilizzate nello stesso sito alle seguenti condizioni: a) le concentrazioni soglia di rischio, all’esito dell’analisi di rischio, sono preventivamente approvate dall’autorità ordinariamente competente, nell’ambito del procedimento di cui agli articoli 242 o 252 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, mediante convocazione di apposita conferenza di servizi. Le terre e rocce da scavo conformi alle concentrazioni soglia di rischio sono riutilizzate nella medesima area assoggettata all’analisi di rischio e nel rispetto del modello concettuale preso come riferimento per l’elaborazione dell’analisi di rischio. Non è consentito l’impiego di terre e rocce da scavo conformi alle concentrazioni soglia di rischio in sub-aree nelle quali e’ stato accertato il rispetto delle concentrazioni soglia di contaminazione; b) qualora ai fini del calcolo delle concentrazioni soglia di rischio non sia stato preso in considerazione il percorso di lisciviazione in falda, l’utilizzo delle terre e rocce da scavo e’ consentito solo nel rispetto delle condizioni e delle limitazioni d’uso indicate all’atto dell’approvazione dell’analisi di rischio da parte dell’autorità competente.↩︎
- DPR 13 giugno 2017, n. 120. Art. 5. Deposito intermedio 1. Il deposito intermedio delle terre e rocce da scavo può essere effettuato nel sito di produzione, nel sito di destinazione o in altro sito a condizione che siano rispettati i seguenti requisiti: a) il sito rientra nella medesima classe di destinazione d’uso urbanistica del sito di produzione, nel caso di sito di produzione i cui valori di soglia di contaminazione rientrano nei valori di cui alla colonna B, Tabella 1, Allegato 5, al Titolo V, della Parte IV, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, oppure in tutte le classi di destinazioni urbanistiche, nel caso in cui il sito di produzione rientri nei valori di cui alla colonna A, Tabella 1, Allegato 5, al Titolo V, della Parte IV, del medesimo decreto legislativo; b) l’ubicazione e la durata del deposito sono indicate nel piano di utilizzo o nella dichiarazione di cui all’articolo 21; c) la durata del deposito non può superare il termine di validità del piano di utilizzo o della dichiarazione di cui all’articolo 21; d) il deposito delle terre e rocce da scavo è fisicamente separato e gestito in modo autonomo anche rispetto ad altri depositi di terre e rocce da scavo oggetto di differenti piani di utilizzo o dichiarazioni di cui all’articolo 21, e a eventuali rifiuti presenti nel sito in deposito temporaneo; e) il deposito delle terre e rocce da scavo è conforme alle previsioni del piano di utilizzo o della dichiarazione di cui all’articolo 21 e si identifica tramite segnaletica posizionata in modo visibile, nella quale sono riportate le informazioni relative al sito di produzione, alle quantità del materiale depositato, nonché i dati amministrativi del piano di utilizzo o della dichiarazione di cui all’articolo 21. 2. Il proponente o il produttore può individuare nel piano di utilizzo o nella dichiarazione di cui all’articolo 21, uno o più di siti di deposito intermedio idonei. In caso di variazione del sito di deposito intermedio indicato nel piano di utilizzo o nella dichiarazione di cui all’articolo 21, il proponente o il produttore aggiorna il piano o la dichiarazione in conformità alle procedure previste dal presente regolamento. 3. Decorso il periodo di durata del deposito intermedio indicato nel piano di utilizzo o nella dichiarazione di cui all’articolo 21, viene meno, con effetto immediato, la qualifica di sottoprodotto delle terre e rocce non utilizzate in conformità al piano di utilizzo o alla dichiarazione di cui all’articolo 21 e, pertanto, tali terre e rocce sono gestite come rifiuti, nel rispetto di quanto indicato nella Parte IV, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.↩︎