Movida e inquinamento acustico: l’incertezza della Cassazione
di Gianfranco Amendola
C’è un inquinamento di cui si parla poco perché ritenuto meno grave ed è l’inquinamento da rumore. Niente di più sbagliato: già ne abbiamo parlato su queste colonne rilevando sin dal 20221 che l’inquinamento acustico non significa solo molestia e disturbo ma, secondo l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), costituisce, dopo l’inquinamento atmosferico, la seconda maggiore concausa ambientale di danni alla salute, con almeno 48.000 nuovi casi di malattie cardiache e 12.000 decessi prematuri ogni anno in Europa, soprattutto, e non a caso, nelle aree urbane. Ed abbiamo anche ricordato che la nostra difesa specifica da questo inquinamento è affidata alla legge 26 ottobre 1995, n. 447 ed ai suoi (carenti) provvedimenti di esecuzione, con cui si stabiliscono competenze, limiti e procedure con sanzioni solo amministrative; ma che, per fortuna, esiste anche il buon vecchio codice penale che, con l’art. 659, intitolato al “disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone”, stabilisce che “chiunque, mediante schiamazzi o rumori, ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche, ovvero suscitando o non impedendo strepiti di animali, disturba le occupazioni o il riposo delle persone, ovvero gli spettacoli, i ritrovi o i trattenimenti pubblici, è punito con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a euro 309” (comma 1), aggiungendo che “si applica l’ammenda da euro 103 a euro 516 a chi esercita una professione o un mestiere rumoroso contro le disposizioni di legge o le prescrizioni dell’autorità” (comma 2)2; modificato, di recente, dalla legge Cartabia (D. Lgs. 150 del 10 ottobre 2022) la quale ha pensato bene di aggiungere un comma per introdurre, in alcuni casi, la perseguibilità a querela3.
Se oggi torniamo su questa tematica è per l’impressionante aumento di violazioni verificatosi, nell’estate appena trascorsa, soprattutto a causa della cd. movida, e cioè musica e schiamazzi insopportabili connessi alla presenza di locali aperti fino a tardi (specie con l’uso di dehors) in pieno centro abitato. Giova, quindi, ricapitolare la giurisprudenza della Cassazione in proposito, così come sintetizzato da una recente sentenza4, incentrata sulle possibili responsabilità del gestore dell’attività che provoca disturbo.
In estrema sintesi, secondo la suprema Corte5, l’esercizio di una attività o di un mestiere rumoroso, integra:
A) l’illecito amministrativo di cui all’art. 10, comma 2, della legge n. 447 del 1995, qualora si verifichi esclusivamente il mero superamento dei limiti di emissione del rumore fissati dalle disposizioni normative in materia;
B) il reato di cui al comma primo dell’art. 659 cod. pen., qualora il mestiere o l’attività vengano svolti eccedendo dalle normali modalità di esercizio, ponendo così in essere una condotta idonea a turbare la pubblica quiete;
C) il reato di cui al comma secondo (oggi terzo) dell’art. 659 cod. pen., qualora siano violate specifiche disposizioni di legge o prescrizioni della Autorità che regolano l’esercizio del mestiere o della attività, diverse da quelle relativa ai valori limite di emissione sonore stabiliti in applicazione dei criteri di cui alla legge n. 447 del 19956
Orientamento pienamente confermato dalla sentenza in esame la quale, richiamando la sua giurisprudenza, ha ricordato anche che il gestore di un pubblico esercizio ha l’obbligo di impedire i continui schiamazzi provocati dagli avventori in sosta davanti al locale anche nelle ore notturne, in quanto spetta a lui controllare, chiamando le forze dell’ordine o escludendo avventori molesti, che “la frequentazione del locale da parte degli utenti non sfoci in condotte contrastanti con le norme poste a tutela dell’ordine e della tranquillità pubblica”. Più in particolare, infatti, sempre secondo la Cassazione, in questi casi non basta (“misura inadeguata”) per il gestore mettere un cartello nel locale che invita a non provocare schiamazzi, ma occorre un intervento attivo di controllo dei rumori che possono essere molesti per il vicinato7. Se non lo fa, -conferma la sentenza in esame – può essere condannato per concorso nel reato di disturbo alle occupazioni o al riposo delle persone8. Peraltro, in questi casi, aggiunge il Consiglio di Stato, qualora “il disagio provocato agli abitanti del posto raggiunge un grado di intollerabilità, oggettivamente accertato, tale da assurgere a una forma di vero e proprio inquinamento acustico con danno alla salute delle persone”9, il sindaco ha l’obbligo di intervenire con ordinanze di necessità, limitando gli orari di esercizio o ordinando la chiusura del locale anche se si tratta di fatti non direttamente imputabili all’esercente, come capita, ad esempio, quando si verificano rumorosi assembramenti nelle prospicienze del locale. E, quanto all’accertamento della rumorosità e del disturbo, è importante ricordare anche che, secondo la suprema Corte, ”per individuare l’idoneità delle emissioni sonore e arrecare pregiudizio ad un numero indeterminato di persone, il giudice non è tenuto a basarsi necessariamente su specifiche indagini tecniche, ben potendo fondare il proprio convincimento su altri elementi in grado di dimostrare la sussistenza di un fenomeno idoneo ad arrecare oggettivamente disturbo della pubblica quiete. Pertanto, ai fini della configurabilità della contravvenzione di cui all’art. 659 cod. pen. si possono trarre tre principi generali consolidati nella giurisprudenza: 1) l’affermazione di responsabilità per la fattispecie di cui all’art. 659, comma 1, cod. pen., non implica, attesa la natura di reato di pericolo presunto, la prova dell’effettivo disturbo di più persone, essendo sufficiente l’idoneità della condotta a disturbarne un numero indeterminato; 2) l’attitudine dei rumori ad arrecare pregiudizio al riposo od alle occupazioni delle persone non va necessariamente accertata mediante perizia o consulenza tecnica, di tal ché il Giudice ben può fondare il proprio convincimento su elementi probatori di diversa natura, quali le dichiarazioni di coloro che sono in grado di riferire le caratteristiche e gli effetti dei rumori percepiti, sì che risulti oggettivamente superata la soglia della normale tollerabilità; 3) la piena attendibilità delle deposizioni assunte, invero non contestata con argomenti concreti nel ricorso”10. E, a questo proposito, il Consiglio di Stato ha aggiunto di recente che, se si misurano i decibel con il fonometro, trattasi di accertamenti che possono essere fatti “a sorpresa” senza obbligo di preavvisare il possibile responsabile11.
In questo quadro, tuttavia, va segnalato, infine, che la sentenza in esame solleva un importante problema connesso con la modifica già citata della legge Cartabia, secondo cui il reato di cui all’art. 659 c.p., prima perseguibile sempre di ufficio, non è più punibile se manca la querela di chi viene danneggiato, “salvo che il fatto abbia ad oggetto spettacoli, ritrovi o trattenimenti pubblici, ovvero sia commesso nei confronti di persona incapace, per età o per infermità”. Modifica, a nostro sommesso avviso, veramente inaccettabile perché, come già abbiamo notato su questa rivista12, subordina il nostro diritto fondamentale, costituzionalmente garantito, alla salute, alla formalità della presentazione di una querela, con tutte le complicazioni ed i ritardi che questo comporta. Se restiamo nell’ambito della movida, infatti, è evidente, ad esempio, la difficoltà per i danneggiati a presentare querela di notte da casa propria, anche se, fortunatamente, la più recente giurisprudenza considera questa condizione non in modo rigorosamente formale in ossequio al principio del favor querelae13. Ciò premesso, appare evidente che oggi, per valutare l’entità della modifica in caso di movida, occorre chiarire l’ambito della dizione “ritrovi pubblici”. Questione affrontata dalla suprema Corte subito dopo la legge di modifica, nel caso di un locale “dal quale provenivano quotidianamente durante l’orario notturno emissioni sonore derivanti dalla diffusione di musica superiori a quelle consentite ex lege oltre agli schiamazzi degli avventori che sostavano fuori dall’esercizio commerciale”, con disturbo della pubblica quiete; rispetto al quale la Cassazione precisava con chiarezza che “il reato in contestazione non risulta interessato dalle modifiche apportate all’art. 659 c.p. dal D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 che ne prevede la procedibilità a querela di parte, salvo che il fatto abbia ad oggetto spettacoli, ritrovi o trattenimenti pubblici, ovvero sia commesso nei confronti di persona incapace, per età o per infermità: provenendo, invero, le emissioni sonore da un locale in cui si ascoltava musica, così come indicato già nell’imputazione, deve ritenersi che si verta nell’ambito dei “ritrovi”, accezione nella quale sono ricompresi nella terminologia corrente i luoghi pubblici o aperti alla frequentazione di una pluralità di persone non preventivamente determinate per intrattenersi in un comune divertimento o in una attività condivisa indipendentemente dalle modalità di svolgimento dell’incontro,…onde il reato deve ritenersi procedibile di ufficio …”.14
Ma è proprio questo principio che viene messo in discussione dalla sentenza in esame relativa alla condanna del gestore di un bar-caffetteria oggetto di “segnalazione di rumori molesti da parte di cittadini residenti nei fabbricati prospicienti o limitrofi all’esercizio commerciale” con riferimento al primo comma dell’art. 659 c.p., in epoca precedente alla legge Cartabia. Afferma la Cassazione, infatti, che, quindi, “si è al cospetto di un reato, procedibile di ufficio al momento della sua commissione, divenuto procedibile a querela, a decorrere dal 30 dicembre 2022, in virtù dell’entrata in vigore del d.lgs. 150/22, giudicato nel settembre del 2024”. Ed aggiunge, subito dopo, che il fatto non rientra nelle “eccezioni al nuovo regime di procedibilità a querela di cui all’art. 659, ultimo comma, in particolare non essendosi in presenza di fatto “avente ad oggetto spettacoli, ritrovi o trattenimenti pubblici” in relazione al quale soltanto il d.lgs. n. 150/2022 ha inteso confermare il previgente regime di procedibilità di ufficio (cfr. Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150: “Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari”)”. E, pertanto, in base al disposto dell’art. 2, comma 2, c.p.15, in assenza di querela e di costituzione di parte civile, annulla la condanna del gestore.
È, quindi, evidente che con questa sentenza la Cassazione ribalta totalmente il suo orientamento precedente, peraltro senza spiegare l’ambito della eccezione in relazione ai “pubblici ritrovi” così come, invece aveva fatto la sentenza del 2023; depotenziando, così, la portata punitiva della norma.
Trattasi di questione importante proprio perché, come abbiamo detto, attiene, in definitiva, al nostro benessere e, se pure è vero che non sarà certo il debole disposto dell’art. 659 c.p. a risolvere il problema, è anche vero che, a nostro sommesso avviso, in questi casi un po’ di sana repressione penale non guasta.
- AMENDOLA Inquinamento acustico tra sanzioni amministrative e penali. Le conclusioni della Cassazione, in questa Rivista, novembre 2022, cui si rinvia per ulteriori richiami↩︎
- Norma sfruttata al massimo dalla giurisprudenza applicandola contro l’inquinamento acustico in qualsiasi modo provocato, dal cane alle campane, dalla motocicletta all’aeroporto, agli allarmi e alle discoteche, precisando, tuttavia, che deve trattarsi di rumori “potenzialmente idonei a disturbare il riposo e le occupazioni di un numero indeterminato di persone”. Il che non è sempre facile da provare in giudizio.↩︎
- In proposito si rinvia, per approfondimenti critici e richiami, al nostro Danni alla salute: inquinamento acustico punibile a querela? in questa Rivista, agosto 2024↩︎
- Cass. pen., sez. 3, 11 marzo-28 agosto 2025, n. 29866, Paolino↩︎
- Cass. pen., sez. 3, 5 settembre 2014, n. 37184, Torricella↩︎
- In sostanza, quindi, secondo la suprema Corte, non si pone mai un problema di assorbimento o di specialità in quanto trattasi di violazioni diverse che possono concorrere tra di loro.↩︎
- Cfr. per tutte, Cass. pen., sez. 3, 13 maggio 2020, n. 14750, Comelli, secondo cui “risponde del reato di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone il gestore di un pubblico esercizio che non impedisca i continui schiamazzi provocati dagli avventori in sosta davanti al locale anche nelle ore notturne, ciò in base al pertinente rilievo secondo cui la veste di titolare della gestione dell’esercizio pubblico comporta l’assunzione dell’obbligo giuridico di controllare, con possibile ricorso ai vari mezzi offerti dall’ordinamento, come l’attuazione dello “ius excludendi” e il ricorso all’Autorità, che la frequenza del locale da parte degli utenti non sfoci in condotte contrastanti con le norme poste a tutela dell’ordine e della tranquillità pubblica; a tal fine, poiché l’evento possa essere addebitato al gestore dell’esercizio commerciale, occorre che esso sia riconducibile al mancato esercizio del potere di controllo da parte dell’agente. Ciò implica un’adeguata verifica in sede di merito, volta ad accertare la consistenza degli spazi fruibili dagli avventori, la tipologia delle emissioni sonore e le iniziative assunte dal gestore del locale per eliminarle o almeno per contenerle”↩︎
- nel caso di specie si trattava di un bar caffetteria di Chieti oggetto di disperate segnalazioni degli abitanti limitrofi esasperati per i continui schiamazzi causati dagli avventori dentro e fuori il locale.↩︎
- CDS, sez. V, n. 240/2025. Giurisprudenza costante: sin dal 2021, infatti, il Consiglio di Stato ha affermato che “la presenza di una accertata situazione di inquinamento acustico rappresenta di per sé una minaccia per la salute pubblica”, la quale impone un immediato intervento del Comune “con ordinanze, anche contingibili ed urgenti, provvedendo, ad esempio, alla limitazione degli orari di esercizio” (CDS 4041/2008 e 2075/2021) o alla chiusura dei locali. E, sia chiaro, non si tratta di un potere ma di un dovere, proprio perché riguarda la salute dei cittadini.↩︎
- Cass. pen., sez. 3, 13 marzo 2019, n. 10938, Cfr, in precedenza, ID. 16 marzo 2015, n. 11031, Montoli, secondo cui “la effettiva idoneità delle emissioni sonore ad arrecare pregiudizio alla quiete al riposo ed alle occupazioni di un numero indeterminato di persone costituisce un accertamento in fatto rimesso all’apprezzamento del giudice del merito, il quale non è tenuto a basarsi esclusivamente sull’espletamento di specifici accertamenti di natura tecnica, ben potendo fondare il proprio convincimento sulla base di altri dati fattuali suscettibili di valutazione ed oggettivamente sintomatici della sussistenza di un fenomeno oggettivamente disturbante.↩︎
- CDS sez. 4, n. 3012 del 9 aprile 2025, secondo cui “la verifica delle immissioni sonore è svolta senza preavviso della controparte, allo copo di evitare che siano apportare modifiche agli impianti o alle attività tali da pregiudicare l’esito delle rilevazioni. Orbene, allorquando sia stato accertato il superamento dei limiti di rumorosità stabiliti dalla vigente normativa, il rapporto redatto dall’organo accertatore costituisce la base per l’avvio del procedimento amministrativo, di norma da parte del Comune territorialmente competente”↩︎
- AMENDOLA, Danni alla salute, cit. supra, cui si rinvia per approfondimenti e richiami.↩︎
- Per approfondimenti e richiami si rinvia ancora a AMENDOLA, op.loc.ult.cit..↩︎
- Cass. pen., sez. 3, 25 gennaio-10 maggio 2023, n. 19594↩︎
- secondo cui “se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo”.↩︎
 
					
