L’incendio del TMB di Malagrotta. Spunti di riflessione

L’incendio del TMB di Malagrotta. Spunti di riflessione

di Gianfranco Amendola

Di recente la stampa, nazionale e romana, ha riferito diffusamente del grave incendio verificatosi a dicembre 2023 nell’impianto di trattamento rifiuti della discarica di Malagrotta sulle cui cause, con eventuali connesse responsabilità penali, la Procura di Roma ha attivato immediate indagini.

Ovviamente, per una valutazione completa è necessario attendere l’esito di queste indagini ma, nel frattempo, vi sono alcune circostanze che meritano, comunque, di essere messe subito in luce.

La prima riguarda la localizzazione dell’incendio. Non si tratta, infatti, del sito della discarica di Malagrotta, ove certamente, in determinate condizioni, sono possibili episodi di autocombustione, ma dell’impianto TMB ad essa collegato per il trattamento dei rifiuti, per il quale tale eventualità è praticamente inesistente. Tanto più che, circa un anno fa, analoga sorte (incendio) è toccata all’altro TMB operante a Malagrotta; così come, negli ultimi due anni, è avvenuto per gli altri due impianti del territorio romano. Appare, quindi, evidente che, comunque, nel prossimo futuro, questo incendio comporterà notevoli conseguenze in ordine allo smaltimento ed al recupero dei rifiuti romani. Come è noto, infatti, la normativa italiana, ricalcando quella europea, prevede il divieto di <<smaltire i rifiuti urbani non pericolosi in regioni diverse da quelle dove gli stessi sono prodotti>> (art. 182, comma 3 d. lgs 152/06) correlativamente all’obbligo di <<permettere lo smaltimento dei rifiuti ed il recupero dei rifiuti urbani indifferenziati in uno degli impianti idonei più vicini ai luoghi di produzione o raccolta, al fine di ridurre i movimenti dei rifiuti stessi>> (art. 182 bis, comma 1 lett. b)1. Insomma, non c’è dubbio che i rifiuti urbani indifferenziati vanno, di regola, smaltiti nella regione di produzione e, comunque, anche se destinati al recupero, devono utilizzare l’impianto idoneo più vicino al luogo di produzione. A questo proposito, giova ricordare che, dopo la chiusura della discarica di Malagrotta, nel Lazio le alternative non sono molte e che proprio per questo, molto spesso, i rifiuti urbani indifferenziati vengono sottoposti a trattamento in modo da cambiare il loro codice EER in 19.12.12, divenendo, così, rifiuti speciali che possono circolare liberamente. Illuminanti a questo proposito sono le dichiarazioni rese alla Commissione parlamentare <<ecomafia>>, l’11 giugno 2019, dal direttore di ARPA Lazio, Marco Lupo, il quale evidenziava, senza peli sulla lingua, che <<in Italia su questa questione del trattamento secondo me si fa molta demagogia e molto spesso il rifiuto viene mandato negli impianti di trattamento per cambiare codice e per poter «perdere» la natura urbana, poter diventare speciale e quindi girare liberamente per il nostro Paese…. quindi il rifiuto viene mandato negli impianti che fanno un trattamento, sulla cui sostanzialità si può molto discutere. e poi vengono trasferiti con codice 19, senza bisogno di accordo interregionale, ma possono circolare liberamente essendo rifiuti speciali>>. Espediente che, tuttavia, veniva sonoramente bocciato sia dalla Corte europea di giustizia la quale precisava con chiarezza che, a prescindere dal codice assegnato, i rifiuti urbani indifferenziati restano tali anche se, essendo destinati a recupero energetico, hanno subito un trattamento meccanico, il quale non ha, tuttavia, sostanzialmente alterato le loro proprietà originarie, sia dal Consiglio di Stato secondo cui la possibilità di attribuire a un rifiuto il codice 19.12.12 dipende dall’accertamento della coesistenza di due elementi, vale a dire che non siano presenti componenti pericolose e che il materiale in questione sia assoggettato ad una procedura preliminare qualificabile come “trattamento meccanico”; aggiungendo che “ciò che conta è la natura effettiva del rifiuto alla luce delle caratteristiche che il medesimo presenta in esito al processo di trattamento cui è sottoposto2. Conclusione che, sostanzialmente, coincide con quella, contenuta nell’aggiunta recente alle Linee guida SNPA per la classificazione dei rifiuti, proprio e solo sui rifiuti urbani indifferenziati sottoposti a trattamento meccanico biologico, secondo cui <<resta fermo che una condizione essenziale affinché i rifiuti derivanti dal trattamento siano classificabili con codici dell’elenco europeo differenti rispetto a quello del rifiuto d’origine è che il processo abbia portato alla formazione di un rifiuto differente dal punto di vista chimico-fisico (tra cui, composizione, natura, potere calorifico, caratteristiche merceologiche, ecc.>>) 3.

In ogni caso, pur volendo continuare ad ignorare questi chiarissimi argomenti, appare evidente che, venuti meno gli impianti di trattamento, a Roma i rifiuti urbani, che, grazie ai TMB, andavano nella stragrande maggioranza fuori Regione o all’estero con il codice 19.12.12, dovrebbero, di regola, essere smaltiti o recuperati in prossimità del loro luogo di origine. Come chiarito, infatti, dal Ministero della transizione ecologica, “il citato articolo 182-bis d.lgs. 152/2006 dispone che l’autosufficienza gestionale locale debba essere realizzata non solo per i rifiuti urbani non pericolosi, ma anche per i rifiuti derivanti dal loro trattamento, pur rientrando questi ultimi nella classificazione di rifiuti speciali di cui al summenzionato comma 3 lettera g) dell’articolo 184, D.lgs. 152/06 e s.m.i. Trova pertanto piena applicazione la sentenza della Corte di Giustizia UE, dell’11 novembre 2021 relativa alla causa C-315/20, che conferma il regime giuridico di “rifiuti urbani” per i rifiuti provenienti da TMB e conseguentemente, l’applicazione del principio di prossimità anche nell’eventualità di trattamento meccanico con cambio di codice EER4.

In più, se si tratta di smaltimento in discarica, l’art. 7 del d.lgs. 36/2003 stabilisce che “i rifiuti possono essere collocati in discarica solo dopo trattamento5”. Trattamento oggi non più effettuabile nei TMB divenuti inservibili. Tanto più che, come chiarito dalla CGGE nella sentenza citata, il frazionamento svolto nei TMB non può essere considerato come un trattamento idoneo e sufficiente a permettere lo smaltimento degli RSU in discarica6.

Del resto, è il ruolo stesso dei TMB che oggi viene messo in discussione in nome dell’economia circolare. Secondo gli ultimi dati ISPRA, il 42,2% del totale dei rifiuti prodotti dai TMB, corrispondente a oltre 3,3 milioni di tonnellate, viene smaltito in discarica; il 25,2% va a termovalorizzazione; il 14% è destinato a ulteriore trattamento, ovvero a processi di biostabilizzazione e produzione/raffinazione di Css (Combustibile solido secondario); il 6,6% a coincenerimento presso impianti produttivi; il 3% a copertura di discarica; le quantità destinate al riciclo sono pari a circa 81 mila tonnellate (1% del totale prodotto, +0,1% sul 2021); all’estero vengono conferite infine più di 511 mila tonnellate dei rifiuti prodotti dai TMB. Pertanto, il 99% dei rifiuti in uscita dai TMB non può essere ad oggi avviato a riciclo.

Se, a questo punto, torniamo ai rifiuti di Roma, appare evidente che, già prima di questi incendi, il principio di prossimità veniva ben poco rispettato7. In proposito, sembra sufficiente ricordare ancora quanto riferito nel 2019 da Marco Lupo alla Commissione ecomafia, da cui risulta che “il 52 per cento dei rifiuti va in altre regioni, mentre il 48 per cento è destinato ad impianti ubicati all’interno della regione Lazio. Dopodiché, se andiamo ad analizzare quelli che vanno a termovalorizzazione, il 63 per cento di quelli che vanno a termovalorizzazione va fuori regione e il 37 per cento va dentro la regione; se guardiamo quelli che vanno in discarica, il 64 per cento va fuori regione e il 36 per cento all’interno della regione, poi ci sono quelli che vanno a recupero. In generale, quindi, prendendo queste 952.000 tonnellate di rifiuti, 492.000 tonnellate vanno al di fuori del territorio regionale per essere termovalorizzate oppure smaltite in discarica. Unendo questi numeri con quelli che vanno a trattamento in altre province, con quelli che vanno direttamente a smaltimento in discarica in altre province, con quelli che vanno in altre regioni direttamente, per esempio in Abruzzo o in Austria, nel 2018 sono uscite dal territorio della città metropolitana di Roma un milione e 50.000 tonnellate di rifiuti”; aggiungendo che “302.000 escono dalla provincia di Roma e vanno nelle altre province, in impianti TMB di altre province”. Situazione che, peraltro non sembra aver subito miglioramenti negli ultimi anni: secondo i dati di ARPALAZIO sul 2021 il flusso dei rifiuti avviati a trattamento presso impianti ubicati fuori regione è “pari a 537.311 tonnellate annue. Tale flusso è destinato per il 84% ad operazioni di recupero e per il 16% ad operazioni di smaltimento. Infine il flusso dei rifiuti avviati a trattamento presso impianti ubicati all’estero, pari a 73.014 tonnellate annue, è per il 99% destinato ad operazioni di recupero. E, secondo l’ultimo rapporto ISPRA sui rifiuti urbani, nel 2022 il Lazio è risultata una delle regioni d’Italia che ha spedito più rifiuti a trattamento fuori dai propri confini: con 154mila tonnellate (di cui 132mila generate dai TMB regionali), destinate principalmente a Cipro e in Portogallo per la valorizzazione energetica, e tenendo conto che a tale operazione sono avviate anche circa 38 mila tonnellate di “rifiuti prodotti dal trattamento dei rifiuti” (EER 191212) esportati nei Paesi Bassi e in Germania8, il Lazio figura al secondo posto nella classifica dell’export transfrontaliero, dopo la Campania. E’ invece al primo posto per quantità di rifiuti non riciclabili spediti in altre regioni: in inceneritori in Lombardia (92mila tonnellate), Molise (23mila) ed Emilia-Romagna (17mila), e in discariche per 82mila tonnellate, tanto per citare le destinazioni principali.

A questo punto, quindi, sarà necessario rivedere totalmente la gestione di questi rifiuti sia in relazione al loro trattamento sia in ordine alla destinazione finale di smaltimento in discarica o recupero in termovalorizzatori. Ed è altrettanto evidente che tutto questo comporterà un abbandono quasi totale del principio di prossimità voluto dalla normativa europea e nazionale, già, come abbiamo visto, ampiamente disatteso.

E così arriviamo al punto nodale di tutta la vicenda. Perché, oggettivamente, ancora una volta ritorna uno schema da sempre ricorrente a Malagrotta, e cioè il ricorso a provvedimenti eccezionali e di emergenza in deroga ai normali principi sanciti dalla legge.

Basta ricordare, in proposito, che, come accertato a suo tempo dalla magistratura romana, la discarica di Malagrotta ha operato per oltre 10 anni con autorizzazione provvisoria della Provincia di Roma rilasciata nel 1988 con riferimento agli impianti all’epoca esistenti; e che, come sottolineato dal GIP di Roma in un procedimento del 20149 il gruppo che la gestiva utilizzava la tecnica di <<costruire l’emergenza e, contemporaneamente, programmare la via d’uscita presentando se stesso come unica alternativa>>; quindi, <<problema e soluzione al tempo stesso>> approfittando della <<inerzia colpevole e connivente delle amministrazioni coinvolte>>; ricavandone, ovviamente, ingenti profitti10.

Oggi, ovviamente, i tempi sono cambiati e la discarica di Malagrotta è gestita a livello commissariale, ma, come abbiamo visto, si riaffaccia lo spettro dell’emergenza e delle deroghe alla legge.

Né si può dire che ciò sia avvenuto a seguito di avvenimenti eccezionali. Come accertato dalla Commissione bicamerale ecomafia, gli incendi in impianti di rifiuti sono stati più di 250 in meno di tre anni, con un vertiginoso aumento da gennaio 2015 ad agosto 2017; cui si aggiungono almeno altri successivi 128 incendi come documentato sul suo blog dall’on. Claudia Mannino.

Ed è altrettanto significativo ricordare, in proposito, che già nel 2017 Roberto Pennisi, magistrato coordinatore del gruppo di lavoro della Procura nazionale antimafia sui crimini ambientali, evidenziava che “l’autocombustione non esiste ” e che “il fuoco può servire a tante cose, può risolvere tanti problemi, soprattutto quando ci sono cose irregolari che a un certo punto prendono fuoco. Come per gli impianti per i rifiuti11.

La stessa conclusione, del resto, cui perviene, pochi anni dopo, la Commissione ecomafia.

Ed è interessante notare, a questo punto e in conclusione, che il 28 dicembre 2023, negli stessi giorni dell’incendio del TMB di Malagrotta, il sito istituzionale di Roma Capitale dava notizia della “maxi-gara pubblicata sulla piattaforma telematica Invitalia, la più grande mai proposta da AMA, in accordo e in coordinamento con Roma Capitale, per il trasporto, scarico e trattamento/recupero per i prossimi 3 anni (2024-2026) di circa 2 milioni di tonnellate complessive tra rifiuti solidi e rifiuti urbani residui (indifferenziato)” aggiungendo che “l’ordine di grandezza di 2 milioni di tonnellate complessivi di rifiuti è già comprensivo di una quota eccedente stimata per l’anno giubilare (2025)” e che “l’importo complessivo massimo di spesa dell’accordo quadro è pari a circa 400 milioni di euro (più IVA)”; precisando altresì che “la procedura, aperta ai sensi degli art. 59 e 71 del d. lgs. n. 36/2023, riguarda la conclusione di accordi quadro con uno o più operatori economici per l’affidamento del “servizio di trasporto, scarico e trattamento/recupero dei rifiuti solidi prodotti dagli impianti di trattamento di AMA e dei rifiuti urbani residui prodotti nel territorio di Roma Capitale – eccedenti le quantità trattate presso gli impianti AMA e gli altri impianti regionali – su territorio nazionale ed estero”, suddiviso in 7 lotti, per un periodo di 36 mesi”.

E qui ci fermiamo. Almeno per ora.


  1. Più in dettaglio, l’art. 182-bis del d.lgs. 152/2006 stabilisce che “lo smaltimento dei rifiuti ed il recupero dei rifiuti urbani non differenziati sono attuati con il ricorso ad una rete integrata ed adeguata di impianti, tenendo conto delle migliori tecniche disponibili e del rapporto tra i costi e i benefici complessivi, al fine di: a) realizzare l’autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi e dei rifiuti del loro trattamento in ambiti territoriali ottimali; b) permettere lo smaltimento dei rifiuti ed il recupero dei rifiuti urbani indifferenziati in uno degli impianti idonei più vicini ai luoghi di produzione e raccolta, al fine di ridurre i movimenti dei rifiuti stessi, tenendo conto del contesto geografico o della necessità di impianti specializzati per determinati tipi di rifiuti “; c) utilizzare i metodi e le tecnologie più idonei a garantire un alto grado di protezione dell’ambiente e della salute pubblica”.↩︎
  2. Cons Stato, sez. IV – 25 gennaio 2023, n. 849 in RGA n. 41, aprile 2023↩︎
  3. In proposito per chiarimenti, dettagli, approfondimenti e richiami si rinvia al nostro Rifiuti urbani, Corte europea e CER 19.12.12: una sentenza «esplosiva»? in www.rivistadga.it. 2021, n. 6↩︎
  4. Parere del Ministero della Transizione ecologica 15 marzo 2022, n. 32592↩︎
  5. L’art. 2 del decreto definisce le operazioni di “trattamento” come “i processi fisici, termici, chimici o biologici, incluse le operazioni di cernita, che modificano le caratteristiche dei rifiuti, allo scopo di ridurne il volume o la natura pericolosa, di facilitarne il trasporto, di agevolare il recupero o di favorirne lo smaltimento in condizioni di sicurezza”.↩︎
  6. Cfr. SANNA, La Corte di Giustizia europea ed i TMB italiani, in Unaltroambiente 14 aprile 2022. “Pertanto viene così di fatto ad essere escluso che la semplice separazione del rifiuto urbano in due frazioni possa soddisfare quanto previsto dall’art 7 del D.Lgs. 36/03 e possa essere considerata un trattamento adeguato a determinare qualche beneficio ambientale quando esso è abbancato in discarica riducendone il volume e le caratteristiche di pericolo, perché essa non determina invece di per sé stessa, alcuna modifica dei suoi requisiti di qualità ambientale e lascia inalterata. la sua identità↩︎
  7. Si tenga conto, a proposito della attendibilità dei dati, che una notevole confusione deriva dal codice 19.12.12 impropriamente utilizzato.↩︎
  8. Il Lazio esporta anche circa 8 mila tonnellate di “Compost fuori specifica” (EER 190503) in Ungheria dove vengono smaltite in discarica↩︎
  9. sfociato, tuttavia, in assoluzioni e prescrizioni↩︎
  10. Corriere della sera, ed. romana, 9 gennaio 2014↩︎
  11. Avvenire, 15 luglio 2017↩︎
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