La tutela penale delle funzioni di controllo e di vigilanza in materia ambientale
di Giuseppe De Nozza
Il tema della connessione tra il delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti e quello di impedimento del controllo di cui all’art. 452 septies involge una casistica così ricca e variegata da non consentire ex ante rigide classificazioni e tipizzazioni ma, con ogni probabilità e senza minimamente voler coltivare pretese di esaustività, la relazione di connessione che è più ragionevole immaginare nel concreto è quella prevista dall’art. 12 del c.p.p., lett. c), seconda ipotesi e, cioè, quella teleologica.
Si può immaginare, infatti, che si possa addivenire alla determinazione d’impedire lo svolgimento del controllo proprio al fine di occultare una pregressa attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti.
Non è immaginabile un contrasto efficace al complesso fenomeno del traffico illecito senza un efficace esercizio della funzione di controllo e di vigilanza ambientale ma, soprattutto, senza un serio ed efficace presidio a tutela del suo esercizio.
La funzione di controllo è un cardine dell’architettura del Testo unico ambientale, che ha disegnato il rapporto tra l’attività antropica e l’ambiente prevedendo la necessità del rilascio di un’autorizzazione e del controllo sull’osservanza dei contenuti dell’autorizzazione medesima e, più in generale, di quel complesso microcosmo normativo costituito dai precetti a tutela dell’ambiente.
La tutela della funzione di controllo preesisteva all’entrata in vigore della Legge 22 maggio 2015, n. 68, così come preesisteva la tutela del suo esercizio, seppur si trattasse della tutela generale predisposta dagli artt. 336 e 337 del c.p. e di quella avente carattere di specialità prevista dall’art. 137, comma 8, del TUA, in tema di controllo sugli scarichi.
Da un lato, un presidio di tutela avente le forme del delitto ma destinato ad esplicare la sua efficacia solo in presenza di un turbamento all’esercizio della funzione di controllo portato con violenza o con minaccia o con entrambe.
Dall’altro, uno costruito con la forma del reato contravvenzionale, punito con la pena dell’arresto fino a due anni, e destinato ad esplicare la sua efficacia solo in relazione all’esercizio della funzione di controllo sugli scarichi.
Con l’inevitabile materializzarsi di ampi vuoti di tutela in relazione a quei casi nei quali il turbamento alla funzione di controllo fosse stato portato non con la violenza o con la minaccia ma, ad esempio, con la frode, come nel caso in cui si fosse compromesso l’esercizio della funzione di controllo mutando artificiosamente, poco prima del suo avvio, lo stato dei luoghi.
All’esigenza di colmare questo vuoto di tutela ha obbedito l’introduzione del delitto d’impedimento del controllo, che può considerarsi presidio di tutela forte e di portata generale in una duplice direzione. 1
Forte perché tale presidio è stato configurato con le forme del delitto, punito con la reclusione da sei mesi a tre anni, e, quindi, con forme più solide di quelle di cui ha fatto uso il legislatore del TUA allorquando ha introdotto il comma 8 dell’art. 137.
Generale in una duplice direzione, perché si è colmato il vuoto di tutela in relazione alla condotta d’impedimento posta in essere con la frode e perché, con l’introduzione dell’art. 452 septies, ad essere presidiato dalla sanzione penale è l’esercizio di qualsivoglia funzione di controllo e di vigilanza ambientale, svolta da qualunque soggetto titolato per Legge ad esercitarla ed in qualunque ambito di materia, quindi, ben oltre il confine della materia degli scarichi.
Il minor carico di offesa all’interesse protetto – che il Legislatore del Codice penale di regola correla alla condotta di frode rispetto a quella di violenza o di minaccia – ha con ogni probabilità determinato la previsione di una cornice edittale meno grave di quella prevista per le fattispecie di violenza o minaccia e di resistenza ad un pubblico ufficiale o ad un incaricato di pubblico servizio.
Altro tema è costituito dall’ampiezza del ventaglio degli strumenti dell’investigazione preliminare utilizzabili per accertare l’avvenuta commissione del reato e dall’ampiezza delle misure di cautela eventualmente richiedibili, ampiezza sulla quale, ovviamente, incide una cornice edittale che non consentirà l’uso di tutti gli strumenti dell’investigazione e la messa in campo di tutte le misure di cautela personale.
Ma la riflessione su tale tema nulla toglie ad una scelta del Legislatore che rimane strategica.
La nuova incriminazione è il prodotto di una consapevolezza forte del Legislatore, sopravvenuta all’iniziale stesura dei contenuti del disegno di Legge poi progredito verso l’approvazione delle due Camere.
Del delitto d’impedimento del controllo, infatti, non vi è traccia nella versione iniziale di quel disegno di Legge, che si è arricchito di tale contenuto in una seconda fase e, cioè, dopo una serrata riflessione sul se configurarlo come reato proprio o come reato comune.
L’esame e la valutazione dei lavori sia della Camera dei Deputati che del Senato offre molteplici spunti di riflessione ed è per tale ragione che si ritiene utile descrivere sinteticamente il relativo iter parlamentare.
L’evoluzione dei contorni della fattispecie nel progredire dei lavori preparatori.
La descrizione della genesi della riforma degli ecoreati sul tema rimanda alla seduta del 17 dicembre del 2013 della Camera dei Deputati, allorquando, ultimato il processo di unificazione di più atti d’iniziativa legislativa, veniva avviata la discussione della proposta di testo unificato di Legge “C. 957 Micillo, C. 342 Realacci e C. 1814 Pellegrino, avente ad oggetto disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente e l’azione di risarcimento del danno ambientale, nonché delega al Governo per il coordinamento delle disposizioni riguardanti gli illeciti in materia ambientale”.
Nell’originaria formulazione il delitto d’impedimento del controllo non era contemplato: i contenuti caratterizzanti della proposta erano costituiti, infatti, dalle due nuove fattispecie di inquinamento ambientale e di disastro ambientale.
La tutela penale delle funzioni di controllo ha fatto il suo esordio il 14 gennaio del 2014, introdotta da più emendamenti e, cioè, dall’1.5, a firma dei Deputati Pellegrino, Zaratti, Zan, Daniele Farina e Sannicandro, dall’1.40, a firma dei Deputati Turco, Businarolo, Agostinelli, Bonafede, Ferraresi, Sarti e Colletti (emendamenti dal contenuto sostanzialmente sovrapponibile), e dall’1.23, a firma dei Deputati Bratti e Rossomando.
L’emendamento 1.5 introduceva, nel corpo dell’art. 452 – quinquies. 2., il delitto di “impedimento al controllo”.
Tale delitto veniva, però, costruito come reato proprio, cioè come reato commettibile solo dal titolare o dal gestore di un impianto (“che, negando l’accesso, predisponendo ostacoli o mutando artificiosamente lo stato dei luoghi, impedisce o intralcia l’attività di controllo….) e, quindi, dal soggetto destinatario dell’autorizzazione ambientale nonché dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di pubblico servizio, prevedendosi, in quest’ultimo caso, un aumento della pena.
Si prevedeva, quindi, che, salvo che il fatto avesse costituito più grave reato, “il titolare o il gestore di un impianto che, negando l’accesso, predisponendo ostacoli o mutando artificiosamente lo stato dei luoghi, impedisce o intralcia l’attività di controllo degli insediamenti o di parte di essi ai soggetti legittimati è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Se taluno dei reati di cui al presente titolo è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio, violando i doveri inerenti alle funzioni o al servizio o comunque abusando della sua qualità o dei suoi poteri, la pena della reclusione è aumentata di un terzo”.
L’emendamento 1.40 veniva depositato, come anticipato, con contenuti identici a quello dell’1.5 e con le uniche varianti costituite dal proposito di consegnare la nuova fattispecie all’art. 452 octies del c.p. e dalla mancata previsione della circostanza aggravante costituita dall’essere stato commesso il fatto dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di pubblico servizio.
L’emendamento 1.23 introduceva, invece, all’art. 452 septies e, cioè, il delitto di “impedimento del controllo”, selezionando le condotte penalmente rilevanti in modo quasi sovrapponibile a quella che sarebbe poi stata la formulazione definitiva dell’attuale 452 septies del c.p.
Il delitto veniva, però, costruito come reato comune, commettibile, quindi, da chiunque, il quale, salvo che il fatto avesse costituito più grave reato, “negando l’accesso, predisponendo ostacoli o mutando artificiosamente lo stato dei luoghi, impedisce, intralcia o elude l’attività di vigilanza e di controllo ambientali, ovvero ne compromette gli esiti”.
Nel primo emendamento si prevedeva la pena della reclusione da sei mesi a tre anni mentre, nel secondo, la cornice edittale veniva rinforzata dalla previsione della pena della reclusione da uno a quattro anni.
Nell’emendamento 1.23 il processo di selezione e di tipizzazione delle condotte si era arricchito del riferimento alla condotta di “elusione” ed a quella di “compromissione degli esiti” dello svolgimento della funzione di controllo.
Quanto all’oggettività giuridica, anch’essa subiva un sensibile arricchimento, prevedendosi la sanzione penale a presidio dell’esercizio, oltre che della funzione di controllo, anche di quella di vigilanza in materia ambientale.
E’ con l’emendamento 1.168, a firma dei senatori Casson, Lumia, Caleo ed altri, presentato in occasione della discussione al Senato del testo unificato della proposta di Legge approvato dalla Camera dei Deputati, che veniva introdotto, nell’articolato del futuro art. 452 sexies, il riferimento alle materie dell’igiene e della sicurezza sui luoghi di lavoro, in tal modo potenziandosi in modo significativo il respiro applicativo della futura fattispecie, ma probabilmente, nel contempo, forse snaturandola in parte, data la scelta di allocarla nell’introducendo Titolo VI bis del Codice Penale, avente ad oggetto, però, i “soli” delitti contro l’ambiente.2
L’esame e la valutazione dei Lavori parlamentari suggerisce che l’introduzione della fattispecie di reato di cui all’art. 452 septies sia il risultato di un processo di formazione progressiva di una moderna consapevolezza sulle reali necessità di una strategia efficace di contrasto al crimine ambientale, che tale non può considerarsi senza prevedere, oltre che la tutela diretta ed immediata del bene “finale” ambiente, anche quella anticipatoria dell’interesse c.d. “intermedio”, nella specie quello costituito dall’efficace e corretto svolgersi delle funzioni di controllo e di vigilanza in materia ambientale.3
La nuova fattispecie è il risultato di un processo di sintesi delle due diverse impostazioni affacciatesi nel corso dei lavori preparatori, avendo il Legislatore mutuato dalla prima la cornice edittale e dalla seconda, invece, la configurazione del reato come delitto comune.
L’art. 452 septies prevede che del delitto in questione risponda, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, colui che: “negando l’accesso, predisponendo ostacoli o mutando artificiosamente lo stato dei luoghi, impedisce, intralcia o elude l’attività di vigilanza e controllo ambientali e di sicurezza o igiene del lavoro, ovvero ne compromette gli esiti…”.
Di tale fattispecie, che è, all’evidenza, a forma vincolata, non ne è stata prevista la variante colposa.
Il perimetro oggettivo di applicazione della fattispecie.
Secondo un’interpretazione sostanzialmente condivisa in dottrina, si è in presenza di una fattispecie di reato a forma vincolata, costruita selezionando tre condotte penalmente rilevanti ed alternative tra di loro.
La prima ha ad oggetto la negazione dell’accesso, termine che, secondo la dottrina, può avere significati differenti.
Secondo una parte di essa, tale formula allude a situazioni nelle quali si sia materializzata l’impossibilità materiale o fisica all’accesso, anche mediante condotta omissiva. 4
Secondo altra parte di essa, invece, tale formula richiamerebbe una fattispecie puramente dichiarativa.5
La seconda condotta selezionata è quella consistente nell’avvenuta predisposizione di ostacoli, condotta che richiamerebbe, secondo la dottrina 6, situazioni nelle quali il gestore ha realizzato opere o tenuto condotte che abbiano reso disagevole il controllo, quali, ad esempio, la realizzazione di strutture poste a nascondimento di condutture abusive, di pozzetti di prelievo o di camini di emissione non autorizzati oppure la realizzazione di bypass per gli scarichi.
Infine la condotta di mutazione artificiosa dello stato dei luoghi interessati dal controllo, condotta alla quale la dottrina 7 riconduce, ad esempio, il seppellimento di cumuli di rifiuti nonché, proponendo un’interpretazione estensiva della formulazione della norma, anche le condotte di smontaggio e di rimozione di condutture abusive o di camini non autorizzati, condotte generative di ostacoli non in senso squisitamente materiale ma in senso “cognitivo”, nel senso che “si tratta di condotte che frappongono all’autorità di controllo un ostacolo alla ricostruzione della realtà, impedendo loro di comprendere (o di comprendere tempestivamente) la configurazione dell’impianto e/o il suo reale impatto ambientale”.
Trattandosi di reato di evento, la compiuta configurazione della fattispecie impone che la condotta di ostacolo, tipizzata con forme vincolate ed alternative tra di loro, produca quale evento o l’impedimento o l’intralcio o l’elusione dell’esercizio della funzione di controllo o la compromissione dei relativi esiti.8
Il perimetro soggettivo di applicazione della fattispecie.
Il tema stimola la riflessione sul se, all’ampio respiro applicativo dal punto di vista oggettivo, corrisponda pari ampiezza di applicazione della fattispecie anche dal punto di vista soggettivo.
La costruzione del reato come delitto comune rende la norma dell’art. 452 septies applicabile a chiunque, quindi non solo al soggetto portatore del titolo autorizzativo ma anche a quello sprovvisto di tale titolo ed ovviamente anche al pubblico ufficiale titolare della funzione di controllo.
Il delitto, però, non è entrato a far parte del catalogo dei reati ambientali che possono fungere da presupposto della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, responsabilità introdotta in modo postumo dal Decreto Legislativo del 7 luglio 2011, n. 121, dall’art. 2, comma II, che ha innovato il Decreto Legislativo dell’8 giugno 2011, n, 231, inserendo l’art. 25 undecies.
L’impedimento del controllo è uno dei pochi delitti contro l’ambiente del Titolo VI bis del Libro II del c.p., al pari di quello di omessa bonifica di cui all’art. 452 terdecies del c.p., a non essere stato inserito in quel catalogo.
Nel caso in cui, quindi, la turbativa alla funzione di controllo fosse arrecata da una decisione assunta nell’interesse o a vantaggio di uno dei soggetti di cui all’art. 1, comma II, del citato Decreto n. 231 del 2001 e, quindi, di una società o di un ente, il relativo vulnus non potrà che trovare rimedio sul terreno della “sola” responsabilità penale della persona fisica.
Sul tema del rapporto tra il delitto in questione e la responsabilità amministrativa della persona giuridica ha preso posizione, il 27 maggio del 2020, il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, parlando di “disallineamento normativo” meritevole di riflessione da parte del Legislatore in prospettiva “de iure condendo”.
Ed in effetti, in data 17 ottobre del 2020, è stato depositato alla Camera dei Deputati il disegno di Legge comunemente noto “Terra Mia”, che si propone, tra gli obiettivi, anche quello di ulteriormente ampliare il catalogo dei delitti ambientali presupposto di responsabilità amministrativa degli enti, inserendovi, tra gli altri, anche quello di impedimento del controllo.
Un ulteriore spunto di riflessione sul tema della responsabilità amministrativa è generato, però, dall’esame dell’art. 452 octies, che contempla, per i delitti di cui agli artt. 416 e 416 bis del c.p., la specifica aggravante ad efficacia comune costituita dall’essere l’associazione per delinquere diretta, in via esclusiva o concorrente, allo scopo di commettere taluno dei delitti previsti dal Titolo VI bis del c.p. e, quindi, anche quello d’impedimento del controllo, configurando, altresì, l’ulteriore aggravante ad effetto speciale per il caso in cui dell’associazione per delinquere facciano parte anche pubblici ufficiali od incaricati di un pubblico servizio che esercitino funzioni o svolgano servizi in materia ambientale e, quindi, anche i pubblici ufficiali o gli incaricati di un pubblico servizio titolari di una funzione di controllo e di vigilanza ambientale.
L’associazione per delinquere che si prefigga quale scopo sociale esclusivo o concorrente quello di arrecare turbativa all’esercizio della funzione di controllo, se del caso assoldando stabilmente al suo interno anche i pubblici ufficiali titolari della funzione medesima, e che trovi la genesi o il suo sviluppo in seno ad una società o ad un ente, nell’interesse o a vantaggio del quale agisca, è soggetto criminale il cui agire può dar luogo a responsabilità anche della società o dell’ente, rientrando l’art. 452 octies nel catalogo dei reati presupposto di responsabilità amministrativa in forza della previsione di cui alla lettera d) del citato art. 25 undecies.
Un ulteriore spunto di riflessione è generato da tale catalogo nella parte in cui, alla lettera c), configura la responsabilità amministrativa anche nel caso di violazione dell’art. 452 quinquies e, cioè, in relazione alla commissione dei delitti colposi d’inquinamento ambientale e di disastro ed a quello del pericolo del verificarsi di uno di questi due eventi.
A generare, quindi, la responsabilità amministrativa della società o dell’ente può essere sufficiente il solo creare il pericolo di un inquinamento o di un disastro ambientale, mentre non può esserlo il danno vero e proprio alla funzione di controllo, come ad esempio nel caso in cui se ne compromettano i relativi esiti.
Tale diversità d’impostazione merita vieppiù riflessione ove si consideri che la condotta che genera il pericolo di un inquinamento ambientale o di un disastro è assistita da una cornice edittale di minor gravità rispetto a quella prevista per il delitto d’impedimento.
Gli ambiti di potenziale applicazione in concreto del delitto.
L’introduzione di una tutela penale di portata generale della funzione di controllo non può esimere dallo sforzo ricostruttivo necessario a tipizzare gli ambiti di potenziale applicazione in concreto della fattispecie di cui all’art. 452 septies c.p., da quello di individuare e descrivere i contenuti della funzione di controllo e dei suoi parametri di giudizio nonché, infine, da quello di enucleare gli strumenti attraverso i quali tale funzione di controllo trova concreta attuazione, a partire proprio dallo specifico settore del ciclo dei rifiuti, settore nel quale, come anticipato, l’impedimento del controllo può trovare un senso ed un significato proprio nell’ottica di occultare un traffico illecito di rifiuti.
Nel settore del ciclo e della gestione dei rifiuti titolare della potestà di controllo è la Provincia, ma non solo.
Il fondamento normativo di tale potestà per è costituito dall’art. 197 del TUA, che testualmente recita:
“In attuazione dell’articolo 19 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, alle province competono in linea generale le funzioni amministrative concernenti la programmazione ed organizzazione del recupero e dello smaltimento dei rifiuti a livello provinciale, da esercitarsi con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente ed in particolare:
a) il controllo e la verifica degli interventi di bonifica ed il monitoraggio ad essi conseguenti;
b) il controllo periodico su tutte le attività di gestione, di intermediazione e di commercio dei rifiuti, ivi compreso l’accertamento delle violazioni delle disposizioni di cui alla parte quarta del presente decreto;….
2. Ai fini dell’esercizio delle proprie funzioni le province possono avvalersi, mediante apposite convenzioni, di organismi pubblici, ivi incluse le Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente (ARPA)…..
3. Gli addetti al controllo sono autorizzati ad effettuare ispezioni, verifiche e prelievi di campioni all’interno di stabilimenti, impianti o imprese che producono o che svolgono attività di gestione dei rifiuti. Il segreto industriale non può essere opposto agli addetti al controllo, che sono, a loro volta, tenuti all’obbligo della riservatezza ai sensi della normativa vigente.
4. Il personale appartenente al Comando carabinieri tutela ambiente (C.C.T.A.) è autorizzato ad effettuare le ispezioni e le verifiche necessarie ai fini dell’espletamento delle funzioni di cui all’articolo 8 della legge 8 luglio 1986, n. 349, istitutiva del Ministero dell’ambiente.
5. Nell’ambito delle competenze di cui al comma 1, le province sottopongono ad adeguati controlli periodici gli enti e le imprese che producono rifiuti pericolosi, le imprese che raccolgono e trasportano rifiuti a titolo professionale, gli stabilimenti e le imprese che smaltiscono o recuperano rifiuti, curando, in particolare, che vengano effettuati adeguati controlli periodici sulle attività sottoposte alle procedure semplificate di cui agli articoli 214, 215, e 216 e che i controlli concernenti la raccolta ed il trasporto di rifiuti pericolosi riguardino, in primo luogo, l’origine e la destinazione dei rifiuti…..
6. Restano ferme le altre disposizioni vigenti in materia di vigilanza e controllo previste da disposizioni speciali.
E’ il legislatore, quindi, a fissare i parametri di giudizio che devono orientare lo svolgimento della funzione di controllo, individuandoli, nello specifico, nell’autorizzazione e, più in generale, nei precetti della parte quarta del Testo unico.
Quanto agli strumenti di cui avvalersi per esercitare tale funzione, il dato letterale della norma li tipizza individuandoli nell’ispezione, nella verifica e nel prelievo del campione, in quest’ultimo caso o di rifiuto o di matrice ambientale.
Non vi è esplicita menzione nella norma della richiesta di dati e di informazioni al gestore dei rifiuti come strumento di controllo dei contenuti della gestione medesima.
La mancata menzione non pare, però, tracciare i contorni della funzione di controllo ambientale in materia di rifiuti in modo “depotenziato” rispetto agli strumenti previsti in altri specifici settori, come ad esempio – e come si esporrà nel prosieguo – in tema d’inquinamento atmosferico.
La circostanza che il titolare dell’attività di gestione dei rifiuti non possa opporre agli “addetti al controllo” il segreto industriale è scelta legislativa che rassicura in ordine alla concreta possibilità – da parte degli addetti al controllo – di poter richiedere al titolare anche la consegna o la trasmissione di dati e/o di informazioni, addirittura anche di quelli “più sensibili”.
Per l’esercizio della funzione di controllo la provincia può avvalersi, mediante la stipula di un’apposita convenzione, dell’ARPA, che è agenzia istituzionalmente preposta a sostenere dal punto di vista tecnico l’esercizio del controllo da parte della regione di volta in volta competente, ma che, all’occorrenza quindi, i medesimi compiti può essere chiamata a svolgere a sostegno della provincia.
Vi è, però, un “plus” che attribuisce alla funzione di controllo sulla gestione dei rifiuti una sua identità peculiare, identità che può cogliersi non solo e non tanto nell’ampiezza degli strumenti del controllo, tra i quali il legislatore annovera anche la “verifica”, evidentemente di qualcosa che non siano luoghi o impianti ma altro, ma soprattutto nella cadenza di esercizio della potestà di controllo che, in materia di gestione dei rifiuti, deve avere natura “periodica” per espressa scelta del Legislatore nonché anche “adeguata” per una serie di attività “sensibili”, nella specie per quelle indicate al comma 5 del citato art. 197, tra le quali spicca, per importanza, l’attività di produzione del rifiuto pericoloso.
La previsione del requisito dell’adeguatezza pare indiziare la volontà di prevedere per determinate attività scansioni temporali della funzione di controllo non solo periodiche ma anche “ristrette”.
Titolare della potestà di controllo sull’attuazione della parte quarta del TUA è anche lo Stato e, per esso, il Ministero dell’Ambiente, della tutela del territorio e del mare, che, a tal fine, si avvale dell’ISPRA e può procedere ad “audit”.
Questa volta il fondamento normativo è l’art. 206 bis del TUA, che testualmente recita: “ 1. Al fine di garantire l’attuazione delle norme di cui alla parte quarta del presente decreto con particolare riferimento alla prevenzione della produzione della quantità e della pericolosità dei rifiuti ed all’efficacia, all’efficienza ed all’economicità della gestione dei rifiuti, degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio, nonché alla tutela della salute pubblica e dell’ambiente, il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e del mare svolge, in particolare, le seguenti funzioni:
a) vigila sulla gestione dei rifiuti, degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio anche tramite audit nei confronti dei sistemi di gestione dei rifiuti di cui ai Titoli I, II e III della parte quarta del presente decreto;….
4. Per l’espletamento delle funzioni di vigilanza e controllo in materia di rifiuti, il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare si avvale dell’ISPRA, a tal fine utilizzando le risorse di cui al comma 6.
In tema d’inquinamento atmosferico, lo spazio applicativo del delitto in questione può materializzarsi in occasione, ad esempio, dei controlli previsti dall’art. 269 del TUA.
L’art. 269, comma I, prevede, infatti, che, per tutti gli stabilimenti che producono emissioni, deve essere richiesta un’autorizzazione da parte del gestore dello stabilimento.
L’autorità competente al rilascio dell’autorizzazione è, in forza della lettera o) dell’art. 268, “la regione o la provincia autonoma o la diversa autorità indicata dalla legge regionale quale autorità competente al rilascio dell’autorizzazione…..; per gli stabilimenti sottoposti ad autorizzazione integrata ambientale e per gli adempimenti a questa connessi, l’autorità competente è quella che rilascia l’autorizzazione”.
In ragione di quanto previsto dalla lettera p) del medesimo art. 268, l’Autorità competente per il controllo è quella “a cui la legge regionale attribuisce il compito di eseguire in via ordinaria i controlli circa il rispetto dell’autorizzazione e delle disposizioni del presente titolo, ferme restando le competenze degli organi di polizia giudiziaria”.
È sempre la lettera p) a prevedere che l’autorità competente a controllare l’osservanza dell’autorizzazione alle emissioni in atmosfera coincida di regola con quella competente al rilascio dell’autorizzazione medesima.
In materia di emissioni in atmosfera, quindi, le funzioni di controllo sono esercitate dalla regione o dalla diversa autorità indicata dalla legge regionale o dalla provincia autonoma o dall’autorità competente al rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale per gli impianti sottoposti a tale regime autorizzatorio.
È a queste organizzazioni che fa riferimento il comma 9 dell’art. 269 del TUA allorquando prevede che “L’autorità competente per il controllo è autorizzata ad effettuare presso gli stabilimenti tutte le ispezioni che ritenga necessarie per accertare il rispetto dell’autorizzazione. Il gestore fornisce a tale autorità la collaborazione necessaria per i controlli, anche svolti mediante attività di campionamento ed analisi e raccolta di dati ed informazioni, funzionali all’accertamento del rispetto delle disposizioni della parte quinta del presente decreto. Il gestore assicura in tutti i casi l’accesso in condizioni di sicurezza, anche sulla base delle norme tecniche di settore, ai punti di prelievo e di campionamento”.
L’esame della norma è foriero ancora una volta di plurimi spunti di valutazione.
Il primo ed il più importante di essi involge l’individuazione dei contenuti e degli strumenti di esercizio della funzione di controllo ambientale svolta dall’autorità competente al rilascio dell’autorizzazione alle emissioni, individuazione che, come scritto, costituisce premessa irrinunciabile di qualunque sforzo teso a fissare il perimetro in concreto dell’oggetto della tutela penale predisposta dall’art. 452 septies del c.p.
La funzione di controllo è finalizzata ad accertare se la gestione dello stabilimento abbia avuto luogo nel rispetto dei contenuti dell’autorizzazione e delle norme – in questo caso ovviamente – della parte quinta del TUA, cioè delle norme in materia di tutela dell’aria e di riduzione delle emissioni atmosfera.
Gli strumenti di cui può avvalersi il concreto esercizio della funzione di controllo sono, in tema di inquinamento atmosferico, l’ispezione, il campionamento e l’analisi dell’aria nonché l’acquisizione dal gestore di dati ed informazioni concernenti la gestione dell’impianto.
Può immaginarsi che sia chiamato a rispondere del delitto di cui all’art. 452 septies del c.p., ad esempio, con condotta impeditiva l’imprenditore che neghi ai funzionari incaricati del controllo l’accesso ai punti di prelievo o di campionamento o non lo consenta in presenza delle necessarie condizioni di sicurezza o, addirittura, si spinga sino al punto di sbarrare fisicamente l’accesso a tali punti, in tal modo fisicamente impedendo l’esercizio della funzione di controllo.
Può immaginarsi che sia chiamato a rispondere del medesimo delitto, sempre con condotta impeditiva, l’imprenditore che fisicamente impedisca l’accesso al controllore che intenda procedere ad ispezione dello stabilimento.
Può immaginarsi che sia chiamato a rispondere del medesimo delitto, questa volta con condotta di intralcio, l’imprenditore che, alla richiesta di dati ed informazioni da parte dell’autorità di controllo, ne fornisca solo una parte o li fornisca in ritardo o addirittura li fornisca manipolati od alterati.
Il riferimento contenuto nella norma del comma 9 al fatto che l’autorità incaricata del controllo sia autorizzata ad effettuare presso gli stabilimenti “tutte le ispezioni che ritenga necessarie” induce ragionevolmente a ritenere che l’esercizio della funzione di controllo sia normativamente autorizzato ogni qual volta l’autorità di controllo riceva la notizia qualificata della violazione di una o più prescrizioni dell’autorizzazione o delle disposizioni della parte quinta del TUA, notizia della violazione che, proprio perché qualificata, rende necessario procedere al controllo e, quindi, ad ispezione.
La messa in campo e l’efficace operare degli strumenti del controllo non può prescindere, anche in questo caso, dalla collaborazione del gestore dell’impianto, che tale collaborazione, quindi, è obbligato a prestare.
In tema di controllo sugli scarichi, il fondamento normativo della relativa funzione è costituito dall’art. 128 del TUA, che prevede che l’autorità competente effettui il controllo degli scarichi sulla base di un programma che assicuri un periodico, diffuso, effettivo ed imparziale sistema di controlli.
È il successivo art. 129 a tipizzare gli strumenti del controllo, prevedendo che, a tal fine, possano essere utilizzate le ispezioni ed i prelievi necessari all’accertamento del rispetto dei valori limiti di emissione, per consentire i quali il gestore dello stabilimento ha l’obbligo di far accedere i rappresentanti dell’autorità di controllo.
Per gli scarichi contenenti le sostanze di cui alla Tabella 5 dell’Allegato 5 parte terza del TUA, si contempla la possibilità che l’autorità competente al rilascio dell’autorizzazione possa prescrivere, a carico del titolare dello scarico, l’installazione di strumenti di controllo in automatico, nonché le modalità di gestione degli stessi e di conservazione dei relativi risultati, che devono rimanere a disposizione dell’autorità competente al controllo per un periodo non inferiore a tre anni dalla data di effettuazione dei singoli controlli.
È poi la norma dell’art. 132 del TUA a contemplare, come si è scritto, una fattispecie di reato di natura contravvenzionale per il caso in cui – e sempre che il fatto non costituisca più grave reato – il titolare dello scarico non consenta l’accesso agli insediamenti da parte del soggetto incaricato del controllo ai fini di cui all’art. 101, commi 3 e 4, del medesimo Testo unico.
Di questa fattispecie di reato si è scritto in esordio allorquando si è sottolineata la natura strategica della scelta operata dal Legislatore con l’introduzione dell’art. 452 septies del c.p., introduzione pensata al fine di colmare il vuoto di tutela generato dall’inesistenza di una norma di pari contenuto nella materia dei rifiuti o in quella dell’inquinamento atmosferico.
Gli ambiti ulteriori di potenziale applicazione in concreto del delitto d’impedimento del controllo in seno al Testo unico dell’Ambiente e nella legislazione di settore.
Alla funzione di controllo ambientale e, quindi, ad un ambito di potenziale applicazione dell’art. 452 septies del c.p. è ragionevole possa ricondursi anche la funzione di verifica dell’adempimento della prescrizione prevista dall’art. 318 quater del Testo unico, a tenore del quale “entro sessanta giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione ai sensi dell’art. 318 ter, l’organo accertatore verifica se la violazione è stata eliminata secondo le modalità ed i tempi indicati nella prescrizione”.
Nonché la funzione di controllo contemplata dall’art. 14 della Legge 22 febbraio 2001, n. 36 e, cioè, dalla Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni ai campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici.
In forza del comma 4 della citata disposizione, il personale incaricato dei controlli per conto delle amministrazioni provinciali e comunali, nell’esercizio delle funzioni di vigilanza e di controllo, può accedere agli impianti che costituiscono fonte di emissioni elettromagnetiche e richiedere, in conformità alle disposizioni della Legge 7 agosto 1990, n. 241, i dati, le informazioni ed i documenti necessari per l’espletamento delle proprie funzioni.
Nonché, ed infine, la funzione di controllo prevista dal comma III dell’art. 14 e dalla lettera c) dell’art. 5 della Legge 26 ottobre 1995, n. 447, e, cioè, della Legge quadro sull’inquinamento acustico, combinato disposto in forza del quale il personale della provincia, che è l’autorità preposta al controllo, nell’esercizio di tale funzione e di quella di vigilanza, può accedere agli impianti ed alle sedi di attività che costituiscono fonte di rumore e richiedere i dati, le informazioni ed i documenti necessari per l’espletamento delle proprie funzioni, espletamento rispetto al quale il gestore della fonte del rumore non può opporre il segreto industriale.
Come si è scritto, non si è coltivata la pretesa dell’esaustività sul tema degli spazi di potenziale applicazione della norma, anche perché è stata introdotta una tutela generale e senza eccezioni di qualsivoglia funzione di controllo e di vigilanza ambientale, da qualunque soggetto svolta, quindi, anche quella svolta dagli organi di Polizia Giudiziaria che, nell’esercizio delle loro funzioni, agiscano con compiti di controllo o d’iniziativa o su delega della Magistratura. 9
Circoscrivere i contenuti e gli strumenti della funzione di controllo può essere d’ausilio, però, anche ad un ulteriore fine e, cioè, a quello di fissare il confine tra la funzione di controllo e quella di vigilanza, fine che appare meritevole di essere coltivato stante l’assenza sul punto di una presa di posizione definitoria da parte del Legislatore, che, spesso, pare fare uso indistintamente ed in modo equivalente di termini quali “controllo”, “vigilanza” e “sorveglianza”.
Può ragionevolmente immaginarsi che il controllo costituisca una fase della vigilanza nonché il suo culmine, nel senso che il concreto svolgersi dell’attività di vigilanza può far emergere le condizioni o i presupposti perché si proceda all’atto di controllo, controllo il cui svolgimento si può imporre, ad esempio, a seguito dell’acquisizione, nel concreto esercizio della funzione di vigilanza, di una notizia qualificata di avvenuta violazione delle prescrizioni del titolo autorizzativo e, più in generale, delle norme di settore del TUA.
Così come può immaginarsi lo svolgimento di un atto di controllo anche senza il previo svolgimento di un’attività di vigilanza da parte del controllore, come nel caso di vigilanza svolta da un soggetto diverso dal titolare della potestà di controllo che, a quest’ultima, faccia una segnalazione qualificata di violazione (si può immaginare il caso di una segnalazione all’organo titolare della potestà di controllo da parte di un’associazione, ad esempio, come Legambiente).
La valutazione unitaria delle fonti normative richiamate consente di tracciare nei suoi connotati essenziali la struttura del sistema dei controlli, che pare ruotare intorno a due istituzioni con un ruolo centrale e, cioè, alla provincia ed alla regione, chiamate a svolgere tali compiti di controllo potendosi avvalere del sostegno tecnico di agenzie quali l’ARPA.
Sistema dei controlli nel quale recitano, comunque, un ruolo da protagonisti anche il Ministero dell’Ambiente ed il comune competente per territorio, che, al pari degli altri, sono chiamati a svolgere tali compiti facendo uso di strumenti tipizzati dalla Legge e, cioè, di quelli cui si è fatto riferimento descrivendo i singoli ambiti di potenziale applicazione della norma.
La confisca ed il delitto di impedimento del controllo.
Il delitto in esame appartiene al novero di quelli per i quali l’art. 452 undecies del c.p. prevede, in caso di condanna o di applicazione della pena ex art. 444 del c.p.p., la confisca delle cose che costituirono il prodotto o il profitto del reato o che servirono alla commissione del medesimo, fatto salvo il caso in cui tali cose appartengano a persona estranea al reato.
Si può ragionevolmente immaginare che l’istituto della confisca possa trovare applicazione in concreto in relazione alla fattispecie in esame nel caso, ad esempio, di condotta impeditiva posta in essere avvalendosi di mezzi meccanici o di condotta di compromissione degli esiti della funzione di controllo realizzata installando al camino di un impianto – che rilascia emissioni in atmosfera – un dispositivo in grado di rilasciare emissioni pulite destinate ad abbattere il valore di concentrazione degli inquinanti emessi da quell’impianto.
La tipizzazione delle condotte di rilevanza penale ai sensi dell’art. 452 septies.
I dati di conoscenza forniti dalla più che ventennale esperienza di applicazione, prima, del Decreto Legislativo n. 22 del 1997 e, poi, del vigente Testo unico sono stati posti a fondamento dello sforzo fatto da una parte della dottrina di tipizzare le condotte che, con maggiore frequenza, porranno all’ordine del giorno dell’interprete o dell’operatore il vaglio di ricorrenza della fattispecie in questione.
Senza alcuna pretesa di esaustività, sono state tipizzate quali condotte potenzialmente penalmente rilevanti quelle di seguito indicate 10:
- Il diniego di accesso ai luoghi ove deve essere effettuato il controllo;
- la predisposizione di bypass degli scarichi;
- la sottrazione alla vista di una massiccia diluizione degli stessi;
- la mirata riduzione dell’attività di un impianto;
- l’occultamento di specifiche attività incidenti sul carico inquinante di un determinato processo produttivo;
- il rifiuto della necessaria collaborazione che determini le conseguenze descritte dalla fattispecie in esame.
Ed, ancora, l’occultamento della documentazione esistente presso l’azienda, il c.d. giro bolla e l’informativa falsa o carente circa l’attività dell’azienda, “informativa necessaria per impostare e valutare correttamente i controlli, rischiando, altrimenti, di comprometterne gli esiti degli stessi”.11
- Sul delitto d’impedimento del controllo e, più in generale, sulla riforma degli ecoreati si evidenziano i contributi di MOLINO P., Corte di Cassazione, Ufficio del Massimario, Settore penale, “Novità legislative: Legge n. 68 del 22 maggio 2015, recante disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente”, 29 maggio del 2015; RAMACCI L., “Prime osservazioni sull’introduzione dei delitti contro l’ambiente nel codice penale e le altre disposizioni della Legge 22 maggio 2015, n. 68”, pubblicato su Lexambiente.it l’8 giugno del 2015 nonché RAMACCI L., Diritto penale dell’ambiente, Piacenza, 2015; TELESCA M., “Osservazioni sulla Legge n. 68 del 2015 recante disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente:ovvero i chiaroscuri di una agognata riforma”, pubblicato su Diritto penale contemporaneo il 17 luglio del 2015; AMENDOLA G., “Ecoreati: il nuovo delitto di impedimento del controllo. Primi appunti”, pubblicato su Lexambiente.it il 18 dicembre del 2015; GALLO M., “Ispezioni, il reato di impedimento del controllo tra luci ed ombre”, Guida al lavoro, anno 2015, Fasc. n. 31; POSTIGLIONE A., “Recenti sviluppi in Italia della tutela penale dell’ambiente”, Diritto e giurisprudenza agraria, alimentare e dell’ambiente, anno 2015, fasc. speciale, parte I; PARODI C., GEBBIA M., BORTOLOTTO M., CORINO V., “I nuovi delitti ambientali (legge 22 maggio 2015, n. 68)”, Milano, 2015; RUGA RIVA C., “Il delitto di impedimento del controllo (art. 452 septies). La tutela di funzioni ambientali assurge a bene giuridico esplicito”, pubblicato su Lexambiente.it il 3 novembre del 2017 nonché, sempre di RUGA RIVA C., “I nuovi ecoreati, Commento alla Legge 22 maggio 2015, n. 68”, Torino, 2015 e “Diritto penale dell’ambiente”, III ed., Torino, 2016; SALVI G., Intervento del Procuratore Generale della Corte di Cassazione al seminario in videoconferenza organizzato dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati sul tema: “La legge 22 maggio 2015, n. 68, sui delitti ambientali sei anni dopo”, Roma, 27 maggio del 2020, contributo scritto in collaborazione con il Consigliere della Corte di Cassazione FIMIANI P.↩︎
- Su tale estensione della portata applicativa della norma ha manifestato perplessità parte della dottrina, evidenziando che appare incomprensibile la ragione per la quale in un titolo del Codice penale dedicato ai delitti contro l’ambiente abbia potuto trovare spazio un ambito di materia, quello della igiene e della sicurezza dei luoghi di lavoro, del tutto diverso da quello oggetto della tutela. In tale direzione TELESCA M., op. cit., pag. 31 e ss.; di contrario avviso sul punto, invece, AMENDOLA L., op. cit., secondo il quale la scelta del legislatore del 2015 appare ragionevole, essendo l’igiene e la sicurezza dei luoghi di lavoro settore strettamente collegato a quello della tutela ambientale perché, nel concreto atteggiarsi delle realtà industriali, non può scindersi la tutela della salute all’interno ed all’esterno della fabbrica.↩︎
- RUGA RIVA C., Il delitto di impedimento del controllo (art. 452 septies del c.p.). La tutela di funzioni ambientali assurge a bene giuridico esplicito, già cit.↩︎
- RUGA RIVA C., Il delitto di impedimento del controllo (art. 452 septies del c.p.). La tutela di funzioni ambientali assurge a bene giuridico esplicito, già cit.↩︎
- PARODI C., GEBBIA M., BORTOLOTTO M., CORINO V., op. già cit.↩︎
- RUGA RIVA C., Il delitto di impedimento del controllo (art. 452 septies del c.p.). La tutela di funzioni ambientali assurge a bene giuridico esplicito, già cit.↩︎
- RUGA RIVA C., Il delitto di impedimento del controllo (art. 452 septies del c.p.). La tutela di funzioni ambientali assurge a bene giuridico esplicito, già cit.↩︎
- RUGA RIVA C., Il delitto di impedimento del controllo (art. 452 septies del c.p.). La tutela di funzioni ambientali assurge a bene giuridico esplicito, già cit.↩︎
- AMENDOLA G., op. già cit.↩︎
- RAMACCI L., Prime osservazioni sull’introduzione dei delitti contro l’ambiente nel codice penale e le altre disposizioni della Legge 22 maggio 2015, n. 68, op. già cit.↩︎
- AMENDOLA G., op. già cit.↩︎