La problematica dei termovalorizzatori tra normativa comunitaria, decreto “sblocca Italia”, corte europea di giustizia e corte costituzionale – Gianfranco
Amendola

I termovalorizzatori nella normativa UE

In Italia la problematica dei termovalorizzatori viene troppo spesso esaltata o demonizzata in base a considerazioni ideologiche, ragioni di schieramento politico, argomenti puramente tecnici e valutazioni solo economiche; tralasciando, soprattutto, di collocarla nel quadro generale della politica comunitaria, con specifico riferimento alla gerarchia, con scala di priorità, in tema di rifiuti e all’obiettivo della economia circolare e della lotta ai cambiamenti climatici.

Rinviando ad altre opere per un doveroso approfondimento (e relative citazioni)1, sembra sufficiente, in questa sede, ricordare che in un mondo dove le materie prime vanno rapidamente esaurendosi, i rifiuti di oggi devono essere le risorse di domani; e, pertanto, la opzione principale è di limitare l’uso delle risorse non rinnovabili, evitando, in ogni caso, che divengano rifiuti o, comunque, rifiuti non più riutilizzabili come materia, con il conseguente inquinamento. Tanto è vero che prevenzione e riciclaggio sono le due prime opzioni della scala di priorità comunitaria in tema di rifiuti mentre la termovalorizzazione viene collocata al terzo posto (seguita solo dallo smaltimento in discarica o incenerimento senza recupero di energia) in quanto, pur svolgendo una funzione utile attraverso la produzione di energia, consuma risorse e provoca alterazione ambientale. E, pertanto, ad essa si può ricorrere solo se le prime due opzioni non sono sufficienti e sempre a condizione di non ostacolarle. Con la consapevolezza, quindi, che non si tratta di opzioni “equivalenti” ma collocate in una scala di priorità cui, di regola, non si può derogare.

In altri termini, per la UE, si può ricorrere ai termovalorizzatori solo per i rifiuti che non si possono evitare e non si possono riutilizzare o riciclare in base alle prime due opzioni. Proprio per questo, la Commissione UE raccomanda agli Stati membri di non “esagerare” con la termovalorizzazione onde evitare che essa sia di ostacolo ad “obiettivi di riciclaggio più ambiziosi”, anche a costo di “introdurre una moratoria sui nuovi impianti e smantellare quelli più vecchi e meno efficienti”. E, contestualmente, tuttavia, evidenzia che la termovalorizzazione è preferibile (come “male minore”) allo smaltimento in discarica che non svolge alcuna funzione utile, distrugge risorse e provoca un inquinamento otto volte superiore. In sostanza, quindi, la Commissione UE, se da un lato afferma che “la normativa europea in materia di rifiuti è coerente con la gerarchia dei rifiuti dell’UE e mira ad elevare il livello della gestione dei rifiuti privilegiando la prevenzione, il riutilizzo e il riciclaggio e non la termovalorizzazione o, peggio, la discarica”, dall’altro precisa che, comunque, “i processi di termovalorizzazione possono svolgere un ruolo nella transizione a un’economia circolare a condizione che la gerarchia dei rifiuti dell’UE funga da principio guida e che le scelte fatte non ostacolino il raggiungimento di livelli più elevati di prevenzione, riutilizzo e riciclaggio”2. Confermando, quindi, che, la termovalorizzazione, nella gerarchia comunitaria dei rifiuti, viene solo accettata come “male minore” rispetto allo smaltimento “bruto”, e solo in caso di insufficienza delle prime due opzioni. Tanto è vero che, ai fini della transizione ecologica e del PNRR, la tassonomia Ue non la include tra le tecnologie che prevengono i cambiamenti climatici, ed anzi, secondo le linee guida della Commissione, l’incenerimento dei rifiuti è considerato, comunque, “un’attività che arreca un danno significativo all’ambiente”.

I termovalorizzatori nella normativa nazionale

Non altrettanto chiaro appare, invece, l’atteggiamento del nostro paese, che ha avuto un andamento oscillante, al termine del quale, tuttavia ha sostanzialmente recepito (pur se con qualche sbavatura) la gerarchia comunitaria attraverso la attuale formulazione dell’art. 179 D. Lgs 152/06 che riportiamo per intero3:

Art. 179 (Criteri di priorità nella gestione dei rifiuti)

1. La gestione dei rifiuti avviene nel rispetto della seguente gerarchia:

a) prevenzione;

b) preparazione per il riutilizzo;

c) riciclaggio;

d) recupero di altro tipo, per esempio il recupero di energia;

e) smaltimento.

2. La gerarchia stabilisce, in generale, un ordine di priorità di ciò che costituisce la migliore opzione ambientale. Nel rispetto della gerarchia di cui al comma 1, devono essere adottate le misure volte a incoraggiare le opzioni che garantiscono, nel rispetto degli articoli 177, commi 1 e 4, e 178, il miglior risultato complessivo, tenendo conto degli impatti sanitari, sociali ed economici, ivi compresa la fattibilità tecnica e la praticabilità economica.

3. Con riferimento a flussi di rifiuti specifici e’ consentito discostarsi, in via eccezionale, dall’ordine di priorità di cui al comma 1 qualora ciò sia previsto nella pianificazione nazionale e regionale e consentito dall’autorità che rilascia l’autorizzazione ai sensi del Titolo III-bis della Parte II o del Titolo I, Capo IV, della Parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152)), nel rispetto del principio di precauzione e sostenibilità, in base ad una specifica analisi degli impatti complessivi della produzione e della gestione di tali rifiuti sia sotto il profilo ambientale e sanitario, in termini di ciclo di vita, che sotto il profilo sociale ed economico, ivi compresi la fattibilità tecnica e la protezione delle risorse.

4. Con uno o più decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro della salute, possono essere individuate, con riferimento a flussi di rifiuti specifici, le opzioni che garantiscono, in conformità a quanto stabilito dai commi da 1 a 3, il miglior risultato in termini di protezione della salute umana e dell’ambiente.

Giova, a questo punto, ricordare che, al di là del recepimento formale dei criteri di priorità imposti dalla normativa comunitaria, il nostro paese ha dimostrato più volte una marcata e diretta simpatia verso i termovalorizzatori, attraverso agevolazioni, semplificazioni e facilitazioni cui ha dovuto rinunziare a malincuore, quasi sempre dopo il deciso intervento delle istituzioni comunitarie.

In estrema sintesi4, sembra sufficiente ricordare in proposito che la Corte europea di Giustizia, con sentenze della sezione 2, 23 novembre 2006, C-486/049 e del 9 luglio 2007, C-255/05, ha condannato il nostro paese per aver sottratto alla valutazione di impatto ambientale il termovalorizzatore di Massafra e la terza linea dell’inceneritore di Brescia.

Nello stesso quadro, si deve ricordare la normativa CIP 6 la quale, per decenni, al fine di erogare sostanziosi contributi da parte dello Stato, ha favorito i termovalorizzatori equiparando la produzione di energia tramite incenerimento di rifiuti a quella ottenuta con fonti rinnovabili (sole, vento ecc.); abrogata opportunamente dal governo Prodi-Pecoraro, prima che si arrivasse ad un’altra sentenza di condanna in sede comunitaria5.

Tuttavia, la conferma più evidente si aveva con il D. L. 12 settembre 2014, convertito con legge 11 novembre 2014 n. 164 (cd. Decreto “sblocca Italia”) del governo Renzi6, il cui art. 35, dettando “Misure urgenti per la realizzazione su scala nazionale di un sistema adeguato e integrato di gestione dei rifiuti urbani…”, prescrive che venga programmata una rete di inceneritori per coprire tutto il fabbisogno nazionale, precisando che “tali impianti di termotrattamento costituiscono infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale ai fini della tutela della salute e dell’ambiente“, e aggiungendo che “i termini previsti per l’espletamento delle procedure di espropriazione per pubblica utilità, di valutazione di impatto ambientale e di autorizzazione integrata ambientale degli impianti di cui al comma 1, sono ridotti alla metà. Se tali procedimenti sono in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, sono ridotti della metà i termini residui7; cui faceva seguito il DPCM attuativo 10 agosto 20168 con il quale si provvedeva, tra l’altro, alla determinazione degli impianti da realizzare o da potenziare in ogni regione (tabella C allegata al decreto) e con previsione di 8 nuovi inceneritori: 3 in centro Italia, 2 al Sud, uno in Sardegna e 2 in Sicilia.

Una scelta strategica generale a favore, quindi, dei termovalorizzatori presentata come opzione nazionale primaria per la soluzione definitiva del problema dei rifiuti urbani.

La sentenza della Corte europea di giustizia 8 maggio 2019

Era prevedibile, quindi, che questa scelta normativa italiana, palesemente contrastante con i principi comunitari, venisse sottoposta all’attenzione della Corte europea di giustizia. Il che avveniva Il 24 aprile 2018, ad opera del TAR Lazio, il quale, con l’ordinanza n. 4574/2018, investiva in via pregiudiziale la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, accogliendo l’istanza dell’associazione VAS (Verdi, ambiente e società) e del “Movimento Legge Rifiuti Zero per l’Economia Circolare”, i quali chiedevano, in sostanza: a) se il principio della «gerarchia dei rifiuti», quale espresso all’articolo 4 della direttiva «rifiuti» e letto alla luce dell’ articolo 13 di tale direttiva, debba essere interpretato nel senso che osta ad una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che qualifica gli impianti di incenerimento dei rifiuti come «infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale”; b) se trattasi di normativa da sottoporre ad una preventiva valutazione ambientale ai sensi dell’articolo 3, paragrafi 1 e 2, della direttiva VAS. In altri termini, come si legge in sentenza, “secondo le ricorrenti nel procedimento principale, si dovrebbe ricorrere all’incenerimento dei rifiuti solo in ultima istanza, quando non è più possibile avvalersi delle tecniche di recupero o di riciclaggio. Il secondo gruppo di motivi riguarda la violazione della direttiva VAS, in quanto l’adozione di tale decreto non sarebbe stata preceduta da una valutazione ambientale dei suoi effetti.

La Corte rispondeva con sentenza della sesta sezione, 8 maggio 2019, causa C‑305/18, concludendo che:

a)Il principio della «gerarchia dei rifiuti», quale espresso all’articolo 4 della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive, e letto alla luce dell’articolo 13 di tale direttiva, deve essere interpretato nel senso che non osta ad una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che qualifica gli impianti di incenerimento dei rifiuti come «infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale», purché tale normativa sia compatibile con le altre disposizioni di detta direttiva che prevedono obblighi più specifici.

b) L’articolo 2, lettera a), l’articolo 3, paragrafo 1, e l’articolo 3, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente, devono essere interpretati nel senso che una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, costituita da una normativa di base e da una normativa di esecuzione, che determina in aumento la capacità degli impianti di incenerimento dei rifiuti esistenti e che prevede la realizzazione di nuovi impianti di tale natura, rientra nella nozione di «piani e programmi», ai sensi di tale direttiva, qualora possa avere effetti significativi sull’ambiente e deve, di conseguenza, essere soggetta ad una valutazione ambientale preventiva.

Se leggiamo le motivazioni, tuttavia, mentre per la seconda questione appare tutto chiaro9, non altrettanto può dirsi per la prima10. La Corte, infatti, afferma in proposito che “nel caso di specie, il fatto che una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, qualifichi gli impianti di incenerimento dei rifiuti come «infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale» non significa che il legislatore nazionale abbia ritenuto di non seguire le indicazioni derivanti dal principio della «gerarchia dei rifiuti», quale previsto dalla direttiva «rifiuti»”, aggiungendo che “il fatto che una normativa nazionale qualifichi gli impianti di incenerimento dei rifiuti come «prioritari» non può significare che le relative operazioni di trattamento siano dotate delle medesime qualità e, di conseguenza, che dette operazioni si vedano attribuire un qualsiasi grado di priorità rispetto alle altre operazioni di prevenzione e gestione dei rifiuti”. Insomma, secondo la Corte europea, pur dovendosi far riferimento alla gerarchia comunitaria con la sua scala di priorità, “preminente” non significa preminente e “prioritari” non significa prioritari11. Il che appare, quanto meno, discutibile soprattutto se si legge nel suo complesso la norma italiana, chiaramente indirizzata (anche dalla propaganda ufficiale) a risolvere il problema rifiuti attraverso un uso massiccio e prioritario dei termovalorizzatori, dimenticando che trattasi, invece, di una opzione residuale rispetto alla prevenzione ed al riciclaggio. Non a caso, del resto, come acutamente rilevato in dottrina12, in questa sentenza stranamente la Corte di Giustizia non fa alcun riferimento, nonostante espresso richiamo del TAR Lazio nella ordinanza di rimessione, alla citata Comunicazione della Commissione Europea del 26 gennaio 2017 su “Il ruolo della termovalorizzazione nell’economia circolare”, la quale, come già abbiamo evidenziato, si propone lo scopo principale di “garantire che il recupero di energia dai rifiuti nell’UE sostenga gli obiettivi del piano d’azione per l’economia circolare e sia pienamente coerente con la gerarchia dei rifiuti dell’UE”.

Le sentenze della Corte costituzionale

Come prevedibile, la questione veniva sottoposta anche al giudizio della Corte costituzionale, la quale, prima ancora dell’intervento della Corte europea, dichiarava inammissibili o non fondate le questioni di legittimità sull’art. 35 promosse dalle Regioni Lombardia e Veneto con riferimento agli artt. 77, secondo comma, 3, 11 e 117, primo comma, Cost. (in relazione alla direttiva 2001/42/CE), rispettivamente, per carenza dei presupposti della decretazione d’urgenza, irragionevole preferenza per l’incenerimento dei rifiuti a scapito dell’economia del riciclo, e mancata previsione della VAS nella procedura di adozione del programma nazionale in materia di gestione integrata dei rifiuti13.

E di contro dichiarava la illegittimità di diverse leggi regionali le quali escludevano, all’interno del relativo perimetro territoriale, ogni ipotesi di gestione dei rifiuti mediante combustione, comprese quelle che garantiscono un recupero d’energia valorizzando il calore sprigionato dal relativo trattamento termico14 ovvero prevedevano la eliminazione della presenza di inceneritori e la contestuale adozione di soluzioni tecnologiche e gestionali destinate esclusivamente alla riduzione, riciclo, recupero e valorizzazione dei rifiuti15.

Si deve, tuttavia, sottolineare, a questo proposito, che, in realtà, le sentenze citate non affrontano il problema della compatibilità dell’art. 35 rispetto alla gerarchia ed alla scala di priorità sui rifiuti previste dalla normativa comunitaria ma si incentrano, sostanzialmente, sul problema “nazionale” delle competenze a legiferare in tema di rifiuti, richiamando la costante giurisprudenza costituzionale secondo la quale la disciplina della gestione dei rifiuti rientra nella materia “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema” riservata, in base all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., alla competenza esclusiva dello Stato rispetto a quella delle Regioni; bocciando, quindi, senza entrare nel merito, tutti questi tentativi regionali.16

Conclusione

Pur dalla rapida carrellata di cui sopra, appare chiaro che la problematica dei termovalorizzatori non può essere affrontata astrattamente in chiave ideologica ma, così come impone la normativa comunitaria, deve essere valutata caso per caso, facendo riferimento ai principi dell’economia circolare e della gerarchia dei rifiuti, con la consapevolezza che ad essa si può ricorrere solo come terza opzione (male minore), dopo la prevenzione ed il riciclaggio. E pertanto occorre prima adottare provvedimenti atti ad evitare la formazione di rifiuti (“il miglior rifiuto è quello che non viene prodotto”); impedendo, cioè, che un prodotto divenga un rifiuto di cui disfarsi. Ad esempio, evitando prodotti monouso e vuoti a perdere. Esattamente, cioè, quello che il nostro paese non ha mai fatto, arrivando recentemente, nel D. Lgs. 8 novembre 2021, n. 196 (che ha recepito la direttiva (UE) 2019/904, sulla riduzione dell’incidenza di determinati prodotti di plastica sull’ambiente) ad inventarsi addirittura una micidiale deroga alla direttiva esonerando dal divieto di messa in commercio i “prodotti realizzati in materiale biodegradabile e compostabile… con percentuali di materia prima rinnovabile17.

Così come, prima del male minore, occorre attivare a pieno le potenzialità della raccolta differenziata a fini di riciclaggio, ben sapendo che i migliori risultati si ottengono con il “porta a porta” e con adeguati controlli; altrimenti buona parte dei rifiuti urbani che risultano provenienti da raccolta differenziata, finiscono in discarica o in inceneritori, a causa della pessima qualità della raccolta.

In questo quadro, ancora una volta sembra opportuno guardare, in prospettiva, alla normativa comunitaria e, in particolare, alla introduzione (avvenuta nel 2018 e recepita in Italia con le modifiche apportate al D. Lgs 152/06 con il D. Lgs 116/2020) della “responsabilità estesa del produttore del prodotto”, che costituisce l’asse portante degli obiettivi di economia circolare perseguiti dalla UE con l’intento di prolungare la vita dei prodotti (es. con il riutilizzo), ovvero di farli durare (es. con la riparazione) o di ritornare in vita (es. con il riciclaggio, anche multiplo); evitando, quindi, la formazione di rifiuti nel rispetto dei principi di precauzione e di tutela della salute e dell’ambiente nonché dei criteri di priorità nella gestione dei rifiuti.

A tal fine, la normativa comunitaria attribuisce al produttore del prodotto (con cui si intende non solo chi “fabbrica” un prodotto, ma anche “chi per primo lo immette nel mercato” di un paese europeo) la responsabilità finanziaria o quella finanziaria e operativa della gestione del ciclo di vita anche nella fase post consumo, in cui il prodotto diventa un rifiuto, incluse le operazioni di raccolta differenziata, di cernita e di trattamento; precisando che la responsabilità finanziaria non deve superare i costi necessari per la prestazione di tali servizi, che sono ripartiti in modo trasparente tra gli attori interessati, inclusi i produttori di prodotti, i sistemi collettivi che operano per loro conto e le autorità pubbliche18.

Appare, quindi, di tutta evidenza la urgenza e necessità di attuare e potenziare anche in Italia questa responsabilità estesa, che certamente si inserisce a pieno titolo nella gerarchia comunitaria dei rifiuti in aderenza ai principi dell’economia circolare, ben più del male minore dei termovalorizzatori.

Una ultima osservazione: molto si è parlato nell’ultimo anno della scelta del sindaco Gualtieri di chiudere il ciclo rifiuti della Capitale, dotando Roma di un megatermovalorizzatore da 600.000 tonnellate sul tipo di quello di Copenaghen. Si tratta, con ogni evidenza, di una scelta contrastante con i principi e la gerarchia comunitaria sui rifiuti, in quanto si è scelto il termovalorizzatore senza prima sviluppare le prime due priorità; dettando, cioè, norme per limitare all’origine la formazione di rifiuti ed attuando il presupposto necessario per il riciclaggio, e cioè una corretta ed efficiente raccolta differenziata (che a Roma registra punte di caduta vergognose). Solo dopo aver attuato a pieno queste scelte prioritarie, si potrà pensare a termovalorizzatori e discariche, la cui capacità dovrà essere determinata non in astratto ma in relazione alla quantità di rifiuti che non rientrano nelle prime due opzioni.


  1. AMENDOLA, Inceneritori e termovalorizzatori. UE ed Italia: bugie e verità, in Questione Giustizia, 25 maggio 2022.↩︎
  2. Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni del 26 gennaio 2017 (COM2017 34 final) intitolata al “ruolo della termovalorizzazione nell’economia circolare”, la quale si propone lo scopo principale di “garantire che il recupero di energia dai rifiuti nell’UE sostenga gli obiettivi del piano d’azione per l’economia circolare e sia pienamente coerente con la gerarchia dei rifiuti dell’UE”.↩︎
  3. In proposito, cfr. il nostro Diritto penale ambientale, Pacini giuridica, Pisa 2022, pag. 99 e segg.↩︎
  4. Per approfondimenti e citazioni si rinvia al nostro Inceneritori e termovalorizzatori. UE ed Italia: bugie e verità, cit.↩︎
  5. Cfr., in proposito, la risposta data dalla Commissione Ue il 20 novembre 2003 alla interrogazione Frassoni, E-2935/03, secondo cui “la Commissione conferma che…..la frazione non biodegradabile dei rifiuti non può essere considerata fonte di energia rinnovabile”. In dottrina, cfr VATTANI, Agevolazioni per fonti energetiche rinnovabili: proprogati i termini per accordare gli incentivi agli impianti di termovalorizzazione, in www.dirittoambiente,com, 1 luglio 2008↩︎
  6. In proposito, si rinvia al nostro Il diritto penale dell’ambiente, Roma 2016, pag. 65 e segg.↩︎
  7. In dottrina, si rinvia anche per richiami, a QUARANTA, Il nuovo incenerimento dei rifiuti alla luce delle modifiche introdotte dallo SbloccaItalia: aguzzate la vista…, in Ambiente e Sviluppo, 2015, 1.↩︎
  8. Individuazione della capacità complessiva di trattamento degli impianti di incenerimento di rifiuti urbani e assimilabili in esercizio o autorizzati a livello nazionale, nonché individuazione del fabbisogno residuo da coprire mediante la realizzazione di impianti di incenerimento con recupero di rifiuti urbani e assimilati.↩︎
  9. In proposito, cfr. anche T.A.R. Lazio – Roma, Sez. I, 26 aprile 2022, n. 4987 in www.osservatorioagromafie.it il quale censura i ritardi governativi nell’adeguamento all’obbligo di valutazione ambientale.↩︎
  10. In dottrina, cfr. GALASSI, La rete di smaltimento a livello nazionale: la strategia del decreto Sblocca Italia si confronta con il diritto europeo in Ambiente Legale, maggio-giugno 2018 e SCIALO’, La nuova disciplina degli impianti di incenerimento di rifiuti urbani al vaglio della Corte di giustizia UE, in rivistadga.it, maggio-giugno 2018↩︎
  11. Né aiuta l’affermazione (peraltro discutibile) della Corte secondo cui “la gerarchia dei rifiuti costituisce un obiettivo che lascia agli Stati membri un margine di discrezionalità, non obbligando questi ultimi ad optare per una specifica soluzione di prevenzione e gestione”.↩︎
  12. BARELLI, Inceneritori e Sblocca Italia dopo le sentenze della Corte Costituzionale n. 142/2019 e n. 231/2019 e della Corte di Giustizia UE C-305/18. Il caso dell’Umbria, in www.lexambiente.it, 2 dicembre 2019↩︎
  13. Corte cost., sent. 244 del 4-5 ottobre 2016, dep. 22 novembre 2016, in G.U. 30 novembre 2016↩︎
  14. Corte cost., sent.142 del 13 giugno 2019 su legge regione Marche↩︎
  15. Corte costituzionale, sent. 154 del 24 giugno 2016 su legge regione Basilicata. Nello stesso senso, sent. n. 191 del 25 luglio 2022, su legge regione Abruzzo la quale esprimeva il proposito di non prevedere la realizzazione di impianti dedicati di incenerimento per i rifiuti urbani.↩︎
  16. Basta leggere, in proposito, nella prima sentenza (n. 244 del 2016), l’affermazione secondo cui, in risposta al dubbio della regione Veneto, secondo cui l’art. 35 favorirebbe irragionevolmente la prospettiva dell’incenerimento a discapito dell’economia del riciclo, la Corte ricorda che “la scelta delle politiche da perseguire e degli strumenti da utilizzare in concreto per superare il ciclico riproporsi dell’emergenza rifiuti, infatti, è necessariamente rimessa allo Stato nell’esercizio della propria competenza esclusiva in materia di «tutela dell’ambiente». Lo Stato, peraltro, ai sensi del comma 1, agisce «nel rispetto degli obiettivi di raccolta differenziata e di riciclaggio, tenendo conto della pianificazione regionale». Ciò vale ad escludere il pregiudizio temuto dalla Regione”.↩︎
  17. In proposito, si rinvia al nostro La normativa all’italiana contro le plastiche monouso in www.osservatorioagromafie.it, gennaio 2022↩︎
  18. Per approfondimenti, si rinvia al nostro La responsabilità estesa del produttore quale asse portante dell’economia circolare nella normativa comunitaria e nel D. Lgs. 116/2020, in www.rivistadga.it, 2021, n. 1↩︎
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