La necessità di recuperare un rifiuto di un ciclo di consumo
di Mauro Sanna
La condizione pregiudiziale stabilita dalla normativa perché un oggetto scartato come rifiuto possa essere qualificato come sottoprodotto, è che esso abbia origine da un processo di produzione, escludendo così a priori tutti quei materiali od oggetti che sono degli scarti di un ciclo di consumo.
Tale condizione è stata anche ribadita dal Regolamento recante criteri indicativi per agevolare la dimostrazione della sussistenza dei requisiti per la qualifica dei residui di produzione come sottoprodotti e non come rifiuti, adottato dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare con il D.M. n. 264 del 13 ottobre 2016.
Il DM infatti, all’art. 2 comma 1 lett. c) definisce sottoprodotto: un residuo di produzione che non costituisce un rifiuto ai sensi dell’articolo 184-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, escludendo così dalla sua applicazione i residui derivanti dall’attività di consumo.
Proprio a causa della mancanza del requisito riguardante l’origine degli oggetti da un processo di produzione, infatti, nel caso specifico relativo alla possibile qualificazione degli indumenti usati come sottoprodotti, la Cassazione giunse in passato1 ad una conclusione negativa in quanto:
- ai sensi dell’art. 184_bis del D.Lgs. n. 152, è un sottoprodotto e non un rifiuto qualsiasi sostanza od oggetto che sia “originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto” (comma 1, lett. a) e nel contempo, coerentemente con l’articolo 184_bis,
- il Regolamento recante criteri indicativi per agevolare la dimostrazione della sussistenza dei requisiti per la qualifica dei residui di produzione come sottoprodotti e non come rifiuti, adottato con il D.M. n. 264 del 13 ottobre 2016, esclude la possibilità di qualificare come sottoprodotti i residui derivanti da attività di consumo (art. 3, lett. b).
Tale situazione, oltre che per gli indumenti usati, ricorre però anche per molti altri tipi di oggetti derivanti da cicli di consumo, dei quali ci si disfa una volta che siano stati utilizzati.
Tra questi, basti citare esemplificativamente i diversi tipi di recipienti, scartati una volta che sia stato consumato il loro contenuto, le bottiglie, i giornali, i pneumatici esausti non più utilizzabili come tali e tanti altri oggetti e materiali che quotidianamente vengono scartati perché non più utilizzabili per l’uso per il quale erano stati originariamente prodotti.
Come per gli indumenti usati, nessuno di questi oggetti residui di cicli di consumo e non provenienti da un processo di produzione, può essere qualificato come sottoprodotto ai sensi dell’art. 184_bis del D. Lgs. 152/06.
Né il loro riutilizzo rientra nella definizione di cui all’art. 183 comma 1, lett. r) del D. Lgs. 152/06 relativo solo al caso in cui essi siano reimpiegati per la stessa finalità per la quale erano stati concepiti.
L’art. 183 comma 1, lett. r) del D. Lgs. 152/06 definisce infatti “riutilizzo”: qualsiasi operazione attraverso la quale prodotti o componenti che non sono rifiuti sono reimpiegati per la stessa finalità per la quale erano stati concepiti.
Diversamente, volendo prevedere per uno qualsiasi di questi oggetti residui di cicli di consumo, un riutilizzo diverso da quello originario, sulla base della normativa attuale, lo stato di rifiuto sussisterà per tali oggetti o materiali anche se:
- il tipo di uso successivo a cui sono assoggettati è certo;
- il loro scarto è una conseguenza inevitabile e intenzionale del ciclo di uso originario a cui erano destinati;
- il loro uso è sicuro e non comporta impatti negativi sull’ambiente o sulla salute e perciò il loro riutilizzo non crea rischi aggiuntivi;
- gli oggetti scartati sono utilizzati direttamente senza trattamenti non di routine quali il lavaggio, e non sono sottoposti a processi complessi di trasformazione come quelli richiesti per il recupero di un rifiuto.
In considerazione di quanto sopra, unica possibilità di riutilizzo di un materiale di consumo, scartato dal suo impiego originario, senza che esso sia qualificato come rifiuto ed assoggettato alla relativa normativa, sarà quella di sottoporlo, prima del suo effettivo riutilizzo, ad una operazione di recupero, a seguito della quale esso potrà essere qualificato come materiale End of Waste e non più come rifiuto.
Tale operazione dovrà comunque essere autorizzata ai sensi dell’art. 208 e segg. del D.Lgs. n. 152 del 2006 ovvero, se previsto, assoggettata a procedura semplificata ai sensi degli artt. 214 e segg. del D.Lgs. n. 152 del 2006 secondo le modalità previste dal D.M. 5 febbraio 1998.
Considerati i tipi di materiali esemplificativamente sopra riportati ed il tipo di reimpiego a cui essi possono essere sottoposti, è utile evidenziare quanto stabilito in materia di recupero dalla Direttiva 2008/98/CE del 19 novembre 2008.
Questa direttiva distingue le attività di recupero in tre sottocategorie: preparazione per il riutilizzo, riciclaggio e recupero di altro tipo:
- la preparazione per il riutilizzo consiste nelle: operazioni di controllo, pulizia e riparazione attraverso cui prodotti o componenti di prodotti diventati rifiuti sono preparati in modo da poter essere reimpiegati senza altro pretrattamento;
- il riciclaggio comprende: qualsiasi operazione di recupero attraverso cui i materiali di rifiuto sono ritrattati per ottenere prodotti, materiali o sostanze da utilizzare per la loro funzione originaria o per altri fini. Include il ritrattamento di materia;
- recupero di altro tipo: consiste in altre forme di recupero, previste dalla lett. d) dell’art. 4 della direttiva, comprendenti qualsiasi operazione che soddisfa la definizione di “recupero”, ma che non rispetta i requisiti specifici previsti per la preparazione per il riutilizzo o per il riciclaggio, quale ad esempio il recupero di energia.
Tra queste operazioni, nel riciclaggio, dove i rifiuti sono ritrattati per ottenere prodotti, materiali o sostanze da utilizzare per la loro funzione originaria o per altri fini, è presente il momento in cui un rifiuto, in quanto soggetto a un’operazione di recupero, cessa di essere tale.
D’altra parte considerato che le nozioni di rifiuto, di End of Waste, quella di recupero e di riciclaggio devono essere coerenti tra loro, il momento in cui un materiale o una sostanza perviene allo stato di EoW dovrà essere simultaneo al completamento del processo di recupero e riciclaggio, quando cioè il materiale o l’oggetto non costituisce più un rifiuto e non presenta più alcun rischio specifico per la salute e l’ambiente, eventualmente derivanti dalla originaria natura di rifiuto.
Tale condizione è anche conforme a quanto stabilito dal comma 5 dell’art. 184-ter del D.Lgs. 152/2006, relativo alla cessazione della qualifica di rifiuto, che prevede: la disciplina in materia di gestione dei rifiuti si applica fino alla cessazione della qualifica di rifiuto, che avviene, come sopra evidenziato, solo con il suo effettivo recupero, quando da esso si ottiene un materiale nuovo o un prodotto nuovo, condizione che nel caso specifico si realizza quando l’oggetto dismesso dal suo precedente uso è assoggettato effettivamente al suo nuovo utilizzo.
È evidente perciò che un’operazione di controllo, svolta in termini di verifica di idoneità al successivo impiego a cui si vogliono destinare determinati rifiuti, rientra pienamente in quella di “preparazione per il riutilizzo”, prevista dall’art. 3 punto 16 della Direttiva 2008/98/CE.
Attraverso questa operazione di preparazione, il rifiuto non avrà ancora cessato di essere qualificabile come tale e non si sarà perciò ancora in presenza di un materiale EoW, condizione che sarà raggiunta solo quando il materiale controllato costituirà un materiale riutilizzato per la sua funzione originaria o per altri fini.
Tale condizione, per i rifiuti di cicli di consumo, si realizzerà perciò solo quando essi saranno riutilizzati in un nuovo ciclo di consumo, con un successivo impiego certo al quale essi risultino adeguati che non comporti impatti negativi sull’ambiente o sulla salute né crei rischi aggiuntivi.
In questo modo, anche se per i motivi sopra detti non è possibile qualificare tali residui da cicli di consumo come sottoprodotti, essi, previa autorizzazione, potranno comunque essere assoggettati ad una adeguata preparazione per il riutilizzo, da qualificare come recupero ai sensi della Direttiva 2008/98/CE.
L’effettivo riutilizzo, a sua volta, potrà essere allo stesso tempo facilitato e controllato definendo a priori un elenco di usi possibili dei materiali ed oggetti di scarto più comunemente riutilizzati, stabilendo per essi una sorta di omologazione e definendo anche le modalità da adottare per il loro smaltimento una volta esaurita la possibilità di riutilizzo.
Questo potrebbe ad esempio avvenire adottando un regolamento che, sulla falsa riga del D.M. n. 264/2016, che ha stabilito i criteri indicativi per qualificare i residui di produzione come sottoprodotti, preveda criteri utili a definire il possibile riutilizzo dei rifiuti derivanti da cicli di consumo, favorendo così attraverso il loro riutilizzo, la loro diminuzione, coerentemente con quanto previsto dalla gerarchia dei rifiuti (art. 4 della Direttiva 2008/98/CE).
A differenza di un materiale scartato da un processo produttivo, inizialmente qualificato come rifiuto, che diviene poi un sottoprodotto, per il quale il possesso dei requisiti necessari dovrà sussistere sin dal momento in cui il residuo viene generato, per un materiale o un oggetto residuo di un ciclo di consumo assoggettato ad un riutilizzo, le caratteristiche necessarie dovranno sussistere nel momento in cui avviene il suo riutilizzo.
Purtroppo, data la complessità e la varietà delle situazioni che si possono presentare e l’assenza di una radicata e consolidata pratica amministrativa in materia, potrebbero non essere sempre chiari gli aspetti per cui il materiale o l’oggetto residuo riutilizzato presenta una certezza di “prestazione” che consenta di avere a priori la garanzia della sussistenza dei requisiti richiesti dalla normativa per il suo riutilizzo.
Pertanto anche senza prevedere un “elenco” di materiali che siano senz’altro riutilizzabili, al fine di garantire effettivamente la sostituzione dell’adagio “usa e getta” con quello di “usa e riusa”, si potrebbe tentare di redigere un regolamento che offra agli operatori una “guida” dettagliata di tutte le condizioni che è indispensabile verificare e garantire al fine di poter ritenere che un residuo di consumo possa essere direttamente riutilizzato così da non essere gestito solo come rifiuto.
Un tale regolamento dovrà però garantire che l’ulteriore utilizzo del materiale o dell’oggetto risulti lecito, sia a livello della UE che degli Stati membri, e che esso soddisfi tutti i requisiti pertinenti al prodotto che va a sostituire per l’uso specifico a cui è destinato e non comporti in generale impatti negativi complessivi sull’ambiente o sulla salute umana.
La conformità ai requisiti pertinenti ad un oggetto o ad un materiale, per il nuovo uso a cui è destinato, potrebbe ad esempio essere garantita precisando le specifiche tecniche indispensabili per il suo nuovo utilizzo o stabilendo comunque che, anche in assenza di esse, il riutilizzo possa essere lecito purché non sia espressamente vietato.
Il riutilizzo sarà invece da considerare illecito se esso non soddisfa le specifiche tecniche associate al nuovo uso a cui è destinato o qualora tale riutilizzo sia vietato, come ad esempio nel caso in cui è previsto che l’oggetto o il materiale debba essere smaltito o recuperato come rifiuto secondo metodi obbligatori stabiliti da specifiche normative o perché è previsto che il suo possibile riutilizzo debba essere confermato da una valutazione specifica che garantisca che esso non comporti impatti negativi o rischi per l’ambiente o la salute umana.
- Cass. pen., sez. 3, 29 maggio (c.c)- 18 settembre 2024, n. 35000, Lazzarin in questa rivista, novembre 2024↩︎

