La connessione tra il delitto di cui all’art. 452 quaterdecies e gli altri reati

La connessione tra il delitto di cui all’art. 452 quaterdecies e gli altri reati e le conseguenze sull’individuazione del giudice competente per territorio.

di Giuseppe De Nozza

Si affronta il tema delle ripercussioni – sul piano squisitamente processuale – generate dall’esistenza di una relazione di connessione ex art. 12 del c.p.p. tra il delitto di cui all’art. 452 quaterdecies del c.p. e gli altri reati, in ipotesi anche più gravi del delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti ed eventualmente commessi anche al di fuori del territorio del distretto di Corte d’Appello in cui si assume commesso il traffico illecito.

Il delitto di cui all’art. 452 quaterdecies fa parte, infatti, ex art. 51, comma 3 bis, del c.p.p., del catalogo dei reati per i quali le funzioni di Pubblico Ministero sono attribuite all’Ufficio di Procura avente sede presso il Tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente.

La relazione di connessione ex art. 12 può instaurarsi in concreto tra il delitto di traffico illecito di rifiuti ed altri reati, in ipotesi anche più gravi, commessi tutti nel territorio dello stesso distretto o tra il delitto di cui all’art. 452 quaterdecies ed altri fatti di reato commessi fuori da quel territorio.

La relazione di connessione per poter essere apprezzata impone necessariamente il ricorso alla struttura ed alla formulazione del capo d’imputazione, ivi compresa l’indicazione del tempo ma, soprattutto, del luogo del commesso reato.

Il ricorso al capo d’imputazione appare percorso irrinunciabile a meno che il capo d’accusa non sia viziato, nella sua struttura e formulazione, da errori di tale e tanta consistenza da essere apprezzabili addirittura ictu oculi.

Sul tema in questione esistono valutazioni difformi da parte delle singole Sezioni della Suprema Corte, al cui interno appaiono essersi profilati due orientamenti di legittimità, uno dei quali espressione della I Sezione ed un altro, invece, della III.

Al primo orientamento sono riconducibili, tra le altre, le pronunce di Cass. Sez. I, n. 16123 del 12.11.2018, Cass. Sez. I, n. 43599 del 5/7/2017, Cass. Sez. IV, n. 4484 del 9.12.2015 ed, infine, Cass. Sez. II, n. 6783 del 13.11.2008.

Al secondo, invece, Cass. Sez. III, n. 52512 del 22 maggio del 2014.

Lo specifico terreno sul quale si sono proiettate le differenti valutazioni è quello della portata della deroga cui ha dato luogo l’introduzione nel c.p.p. del catalogo dei reati di cui all’art. 51, comma 3 bis, rispetto al principio fissato dall’art. 16 del c.p.p., in forza del quale “la competenza per territorio per i procedimenti connessi rispetto ai quali più giudici sono ugualmente competenti per materia appartiene al giudice competente per il reato più grave e, in caso di pari gravità, al giudice competente per il primo reato”.

Secondo il primo degli orientamenti citati – quello definito consolidato dalla stessa Suprema Corte nell’ultima delle sue pronunce in ordine di tempo – l’art. 51 comma 3 bis del c.p.p. comporta una deroga “assoluta ed esclusiva” alle regole sulla competenza per territorio, anche fuori dagli ambiti distrettuali “perché stabilisce la vis actractiva del reato ricompreso nelle attribuzioni di quell’Ufficio inquirente nei confronti dei reati connessi anche se di maggiore gravità, con la conseguenza che, ai fini della determinazione della competenza, occorre avere riguardo unicamente al luogo di consumazione del reato previsto nel catalogo suindicato” (cfr. p. 9).

Secondo, invece, l’isolata pronuncia di legittimità del 2014, ove il delitto in connessione, pur rientrando nel catalogo di cui all’art. 51 comma 3 bis del c.p., non abbia necessariamente la struttura tipica del delitto associativo – ed è il caso, per l’appunto, del delitto di cui all’art. 452 quaterdecies del c.p. – “dovrebbe ritenersi che il principio espresso dall’art. 51, comma 3 bis, c.p.p., vada inteso nei termini, peraltro testualmente conformi al dettato normativo, secondo i quali il trasferimento della funzione inquirente operi entro i limiti del distretto, subordinatamente alla preventiva individuazione dell’ufficio giudiziario competente secondo gli ordinari criteri e comportando esclusivamente il trasferimento della competenza dalla ordinaria sede circondariale a quella distrettuale, in ragione dell’attribuzione delle funzioni inquirenti alla locale Procura della Repubblica in sede capoluogo di distretto…..Solo se interpretata nei più ridotti termini che ora precedono, la traslazione della competenza al giudice distrettuale può essere ritenuta compatibile con i principi costituzionali, apparendo diversamente irragionevole ed inutilmente destinata a violare la regola del giudice naturale ed a comprimere il diritto di difesa dell’indagato prima ed, eventualmente, dell’imputato poi”. (cfr. p. 15).

Il numero delle pronunce di legittimità espressione del primo orientamento e, soprattutto, il loro essere sopravvenute a quella appena citata del 2014 ha fatto propendere l’ultima pronuncia di legittimità in ordine di tempo nella direzione della mancanza dei presupposti per la chiamata in causa delle Sezioni Unite, potendosi ritenere il primo orientamento ormai definitivamente consolidatosi.

Anche alla luce di un ulteriore dato di valutazione valorizzato nella sentenza n. 16123 del 12.11.2018, che fa leva sul fatto che, pur potendosi il delitto di attività organizzate per il traffico illecito atteggiarsi nel concreto delle dinamiche criminali quale delitto non associativo, pur tuttavia esso, comunque, rimanda, nel profilo caratterizzante della fattispecie, a situazioni nelle quali per ritenersi configurato il reato è necessario che sia predisposta un’organizzazione professionale seppur rudimentale, con allestimento di mezzi ed impiego di capitali, con cui gestire in modo continuativo ed illegale ingenti quantitativi di rifiuti e, quindi, situazioni assimilabili a quelle che usualmente caratterizzano il concreto manifestarsi del delitto associativo.

Il caso che ha generato la richiamata sentenza, pronunciata in sede di conflitto negativo di competenza sollevato dal GUP del Tribunale di Roma avverso quello di Milano, era quello delle acque di sentina del porto di Livorno trasportate in territorio lombardo, ove venivano miscelate con altre sostanze senza rispettare il ciclo di recupero previsto dalla Legge e, successivamente, messe in commercio – nella condizione quindi ancora di rifiuto speciale pericoloso – per il consumo come olio per combustione destinato agli usi civili o industriali.

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