Difficile qualificare come “regolarmente generati” i rifiuti con codice EER 19 12 12 – M. Sanna

Difficile qualificare come “regolarmente generati” i rifiuti con codice EER 19 12 12

di Mauro Sanna

Le principali condizioni da considerare per giudicare se i campioni utilizzati per la caratterizzazione di un flusso di rifiuti siano corretti, è la verifica delle procedure e delle modalità di campionamento adottate.

La rappresentatività dei campioni prelevati è fondamentale per assicurare che i risultati delle successive analisi rispecchino fedelmente la composizione del rifiuto da caratterizzare, quando la sua conoscenza, come nel caso di quelli individuati con codici speculari, sia necessaria per la sua classificazione.

Il campionamento costituisce infatti la fase fondamentale per la corretta classificazione dei rifiuti.

Numerose sono le direttive impartite dagli enti più vari per definire le procedure e le modalità di campionamento e di analisi, da adottare per la corretta caratterizzazione di un flusso di rifiuti destinati allo smaltimento o al recupero, in uscita da un impianto in cui essi sono stati prodotti o comunque gestiti.

Le modalità di campionamento

La norma UNI 10802:2023, fornisce le indicazioni necessarie per la predisposizione del campionamento e per la sua esecuzione. Spesso però, per varie tipologie di rifiuti, i criteri per la scelta della procedura di campionamento, del numero di incrementi per formare il campione composito e della loro massa minima necessaria, sono di difficile individuazione.

Proprio per questo, con l’intento di fornire indicazioni pratiche per il campionamento, le norme: UNI 10802:2023, UNI EN 14899:2006, UNI CEN/TR 15310-1:2013, UNI CEN/TR 15310-5:2006 e la UNI TR 11682:2017 hanno previsto le linee guida per il prelievo di campioni di rifiuti da sottoporre ad analisi merceologica e chimica, descrivendo le diverse variabili e le modalità di trasporto.

La norma UNI 10802:2023 pubblicata il 05/10/2023, relativa a “Rifiuti – Campionamento manuale, preparazione del campione ed analisi degli eluati”, contiene i principi e le procedure per garantire l’affidabilità e la qualità del prelievo di un campione e la sua preparazione per le analisi degli eluati.

Essa è applicabile ai rifiuti allo stato liquido, liquefattibile per riscaldamento, pastoso, solido (polverulento, granulare, grossolano e monolitico) e ai fanghi e descrive i seguenti aspetti:

  • le modalità di campionamento manuale in relazione al loro diverso stato fisico;
  • le procedure di riduzione dimensionale dei campioni prelevati in campo;
  • le procedure per l’imballaggio, la conservazione, lo stoccaggio del campione a breve termine e per il suo trasporto;
  • la documentazione necessaria per tracciare le operazioni di campionamento.

Tale norma UNI descrive inoltre i diversi tipi di campionamento: casuale, dinamico, sistematico, stratificato e considera essenziale che sia prelevato correttamente il campione primario e che ogni incremento contribuisca ad un’analisi accurata, garantendo la tracciabilità dei campioni e la prevenzione della contaminazione.

La medesima norma prevede anche che, prima di dare avvio alle operazioni di campionamento, sia elaborato un piano di campionamento contenente gli obiettivi tecnici e le istruzioni operative tali da consentire un campionamento certo e definito.

Il Rapporto Tecnico UNI/TR 11682:2017, per supportare l’applicazione della UNI 10802:2023, mediante 36 schede separate, fornisce esempi concreti di piani e modalità di campionamento di rifiuti di vario tipo, che si presentino in giaciture diverse: cumuli, big bags o fusti, su nastro in movimento.

Per le diverse giaciture sono individuati alcuni criteri applicativi generali, indipendenti dalla natura del rifiuto stesso, con schede contenenti esempi applicativi di campionamento di particolari tipi di rifiuti, ad esempio, toner, batterie, RAEE.

Modalità di analisi dei campioni

Come è noto, la classificazione dei rifiuti spetta al produttore che assegna ad essi il codice EER che gli compete, applicando le disposizioni contenute nella Decisione 2014/955/UE e nel Regolamento UE 1357/2014 della Commissione del 18 dicembre 2014 e del Regolamento UE 2017/1997 del Consiglio dell’08/06/2017.

Relativamente alle modalità di analisi da adottare per la caratterizzazione dei rifiuti, questo aspetto sia in giurisprudenza che in dottrina e letteratura, è stato ampiamente dibattuto.

A riguardo si sono registrati sostanzialmente due orientamenti, tra di loro contrastanti. Secondo un primo orientamento, l’analisi necessaria alla caratterizzazione del rifiuto, fase che precede la sua classificazione, con l’attribuzione del relativo codice, deve essere quantitativamente esaustiva tale da individuare, con una ricerca indiscriminata tutte le sostanze che il rifiuto potrebbe astrattamente contenere, cosicché – la somma algebrica delle porzioni analizzate, in termini percentuali – sia tale che comparata alla concentrazione più bassa prevista per qualificare una sostanza come pericolosa, faccia escludere che il rifiuto possa contenerne, facendolo classificare come non pericoloso o, in caso contrario, nel caso che essa sia superata, come pericoloso.

Un secondo orientamento prevede invece che sia sufficiente, verificare analiticamente la presenza nel rifiuto solo delle sostanze pericolose che, con più elevato livello di probabilità, possono essere presenti in esso, in quanto pertinenti con il processo di produzione del rifiuto; procedendo per esse alla verifica dell’eventuale superamento dei limiti di concentrazione.

In questo modo, nella fase della caratterizzazione, propedeutica alla gestione dei rifiuti, verrebbe contemperato il principio di precauzione e quello di economicità e fattibilità tecnica.

In tale prospettiva, non si tiene però conto che non sempre la composizione di un rifiuto, in quanto proveniente da uno specifico processo produttivo, è desumibile dalla sua origine, potendo invece essere conseguenza di altri fenomeni o trattamenti che ne rendono incerta o ne mutano la composizione, basti a questo proposito ricordare un percolato di discarica o una cenere da combustione di rifiuti.

In proposito la Corte di Cassazione ha comunque ribadito che, in caso di gestione di rifiuti identificati con un codice “a specchio”, per classificare il rifiuto e attribuire il codice (pericoloso/non pericoloso), il produttore/detentore è tenuto ad eseguire le necessarie analisi volte ad accertare l’eventuale presenza di sostanze pericolose ed il superamento delle soglie di concentrazione e, solo nel caso in cui siano accertati in concreto l’assenza o il mancato superamento di dette soglie, il rifiuto potrà essere classificato come non pericoloso (cfr. sez. 3 n. 46897 del 03/05/2017, Arduini, Rv. 268126).

Modalità di campionamento

Relativamente alle modalità di campionamento da adottare per caratterizzare un flusso di rifiuti, l’unica indicazione presente a riguardo nella normativa, limitata peraltro ai soli rifiuti destinati a discarica, è quella riportata nella Decisione del Consiglio del 19 dicembre 2002 n 2003/33/CE che stabilisce criteri e procedure per l’ammissione dei rifiuti nelle discariche ai sensi dell’articolo 16 e dell’allegato II della direttiva 1999/31/CE.

I rifiuti a tal fine sono distinti in:

  1. rifiuti regolarmente generati nel corso dello stesso processo;
  2. rifiuti non generati regolarmente.

In particolare, l’ultimo capoverso del punto a) del paragrafo1.1.3 dell’allegato alla decisione precisa esemplificativamente che: sono da considerare appartenenti a questa ultima tipologia, i rifiuti provenienti da impianti che raggruppano o mescolano i rifiuti, da stazioni di trasferimento o da flussi misti di diversi impianti di raccolta, che possono presentare proprietà estremamente variabili.

Il medesimo paragrafo della decisione specifica che questi rifiuti potrebbero corrispondere di più a quelli della lettera b) del medesimo paragrafo, che comprende tra i rifiuti non generati regolarmente, quelli non generati nel corso dello stesso processo e nello stesso impianto e che non fanno parte di un flusso di rifiuti ben caratterizzato.

Quanto previsto dalla Decisione del 19 dicembre 2002 è stato poi ripreso anche dall’allegato 1, par. 3, lett. a) del D.M. 27/09/2010 (recante “Definizione dei criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica, emanato in sostituzione del decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio 3 agosto 2005) e ribadito ripetutamente nei decreti di aggiornamento avvicendatesi nel tempo fino alla emanazione del Dlgs 3 settembre 2020, n. 121 ( all.5) che ha confermato quanto in essi previsto. D’altra parte, considerato quanto riportato dalla decisione 2003/33/CE non poteva essere altrimenti.

Nel caso di rifiuti regolarmente generati, il produttore è il solo che, conoscendo l’impianto che li genera ed avendo tutti i dati e i documenti relativi, può valutare se un rifiuto rientri o meno tra quelli regolarmente generati e verificare la correttezza o meno di tale valutazione.

Egli procederà alla loro caratterizzazione di base in occasione del primo conferimento, e la ripeterà ad ogni significativa variazione del processo che origina il rifiuto, comunque, annualmente.

Successivamente, il gestore della discarica procederà invece alla verifica di conformità dei rifiuti già giudicati “ammissibili”, effettuandola sulla scorta dei dati forniti dal produttore, utilizzando una o più delle determinazioni analitiche usate da questo per la caratterizzazione di base, procedendo per ogni carico alla verifica visiva in loco.

Nel caso di conferimento di rifiuti non generati regolarmente nel corso di uno stesso processo e nello stesso impianto e che non fanno parte di un flusso di rifiuti ben caratterizzato, sarà invece necessaria una preventiva analisi per lotti.1 determinando “… le caratteristiche di ciascun lotto e la loro caratterizzazione di base deve tener conto dei requisiti fondamentali di cui al punto 2. Per tali rifiuti, devono essere determinate le caratteristiche di ogni lotto; pertanto, non deve essere effettuata la verifica di conformità;

Modalità di campionamento di rifiuti da trattamento meccanico/meccanico-biologico dei rifiuti urbani indifferenziati

Le modalità di campionamento da adottare per la caratterizzazione di un flusso di rifiuti generato nel trattamento meccanico dei rifiuti solidi urbani costituiscono una problematica che è stata affrontata dalle linee Guida SNPA.

Infatti, le numerose variabili che possono influire sulla composizione di un rifiuto urbano indifferenziato, si traducono in una potenziale elevata variabilità del rifiuto generato nel trattamento, classificato con il Codice EER 19 12 12 o EER 191211*.

Con Decreto Direttoriale n. 47 del 09/08/2021, il Ministero della Transizione Ecologica (MITE) ha approvato, con valenza di norma, le Linee Guida sulla classificazione dei rifiuti di cui alla Delibera n. 105 del Consiglio del Sistema Nazionale per la Protezione dell‘Ambiente (SNPA) del 18/05/2021, in attuazione dell’art. 184, c. 5, del D.Lgs. 03/04/2006, n. 152, integrandole con il paragrafo 3.5.9, dedicato ai rifiuti prodotti dal trattamento meccanico/meccanico-biologico dei rifiuti urbani indifferenziati.

Tali linee guida riportano le possibili tipologie di rifiuti che possono essere prodotte negli impianti TM/TMB e le tecnologie di trattamento in essi utilizzate.

I trattamenti di tipo meccanico biologico (TMB) constano essenzialmente di due fasi:

  • il trattamento meccanico con il quale il rifiuto viene vagliato
  • il trattamento biologico finalizzato alla mineralizzazione delle componenti organiche, (stabilizzazione) ed all’igienizzazione del rifiuto.

Negli impianti di trattamento sono effettuati inoltre: la deferrizzazione, la eventuale separazione di singole frazioni recuperabili e la trito vagliatura.

Gli impianti di trattamento meccanico-biologico dei rifiuti urbani indifferenziati, che prevedono la loro iniziale miscelazione, sono essenzialmente di due tipi:

  • a doppio flusso, in cui il trattamento meccanico: permette la separazione della frazione secca (sopravaglio) da destinare ad altre forme di gestione e della frazione “organica” (sottovaglio) da destinare a trattamento biologico;
  • a flusso unico, in cui tutto il rifiuto in ingresso all’impianto subisce un trattamento biologico, mentre il trattamento meccanico è limitato ad una semplice frantumazione del rifiuto.

Il sopravaglio, prodotto dalle fasi di pre-trattamento e post-trattamento meccanico dei rifiuti urbani, è classificabile con le seguenti voci dell’elenco europeo:

  • 19 12 11* altri rifiuti (compresi materiali misti) prodotti dal trattamento meccanico dei rifiuti, contenenti sostanze pericolose
  • 19 12 12 altri rifiuti (compresi materiali misti) prodotti dal trattamento meccanico dei rifiuti, diversi da quelli di cui alla voce19 12 11.

Seconde le linee guida, la conoscenza della composizione del rifiuto in ingresso agli impianti è indispensabile per valutare le caratteristiche del rifiuto in uscita dal trattamento, anche in relazione alle potenziali sostanze pericolose presenti.

Poiché le caratteristiche del rifiuto in ingresso saranno anche influenzate dalle modalità adottate nella raccolta, dalla presenza o meno di altri circuiti o servizi deputati alla intercettazione di specifici rifiuti (RAEE, batterie, farmaci, ecc.) e dagli eventuali altri flussi di rifiuti speciali conferiti agli impianti, si dovrà tenere conto anche di questi elementi.

Tuttavia, anche se le analisi merceologiche dei rifiuti sono uno strumento utile per la sua caratterizzazione, esse non costituiscono un metodo esaustivo.

Infatti, per essere tale, l’analisi dovrà tenere conto del bilancio di massa delle diverse componenti del rifiuto e delle caratteristiche peculiari dello specifico rifiuto urbano indifferenziato trattato, considerando la realtà territoriale da cui origina, quali: la stagionalità, le modalità di raccolta, il contesto economico e geografico, la presenza di attività artigianali ecc., tutti elementi che avendo effetti sulla composizione del rifiuto in ingresso si riflettono di conseguenza sulle caratteristiche dei rifiuti prodotti dai trattamenti.

Si dovrà anche considerare se l’impianto, oltre al rifiuto urbano indifferenziato, riceve anche altre tipologie di rifiuti provenienti dal trattamento meccanico di rifiuti urbani indifferenziati e/o da scarti di impianti di selezione della raccolta differenziata urbana.

Le medesime linee guida rilevano comunque che “Un aspetto da considerare nella classificazione dei rifiuti prodotti da questa tipologia di impianti è la potenziale elevata variabilità del rifiuto in ingresso che si traduce in una potenziale elevata variabilità del rifiuto prodotto dal trattamento.”

Per la caratterizzazione dei rifiuti da trattamento, sarà perciò necessaria l’acquisizione, del maggior numero di informazioni possibili sulla composizione del rifiuto in ingresso, combinata con le informazioni sui flussi generati dal trattamento, effettuando anche i bilanci di massa e le analisi merceologiche di tali flussi.

Le linee guida pongono anche in evidenza le sostanze pericolose che potrebbero essere ragionevolmente presenti in tali rifiuti, che possono influire sulle caratteristiche dei rifiuti prodotti in tali impianti e quindi sulla loro classificazione mediante i codici speculari EER 19 12 12 e 19 12 11* che gli competono.

Tutte queste variabili determinano la necessità di creare una banca dati, che sulla base delle frazioni rinvenute e del loro contributo in termini ponderali, costituisca un supporto indispensabile per la identificazione delle sostanze da ricercare.

A tal fine le linee guida riportano anche un elenco esemplificativo ma non esaustivo di classi e sottoclassi di materiali rilevabili attraverso analisi merceologica, elaborato a partire dalle linee guida ANPA RTI CTN_RIF 1/2000.

La Sentenza della Corte di Cassazione

La sentenza della Sezione IV penale del 9 febbraio 2018, n. 6548 si è interessata della problematica relativa alla qualificazione dei rifiuti regolarmente generati, in particolare a quelli cui compete il codice EER 19 12 12 o 19 12 11*, prodotti da un impianto di trattamento meccanico / trattamento meccanico biologico, derivante dal trattamento di rifiuti indifferenziati di cui al codice EER 20 03 01.

A riguardo la Corte di Cassazione annullava il provvedimento impugnato, con rinvio al Tribunale, in considerazione del fatto che la lett. a) dell’allegato 1, par. 3, del D.M. 27/09/2010, faceva esclusivo riferimento ai rifiuti provenienti da impianti che effettuano lo stoccaggio e la miscelazione di rifiuti (ma non contemplava tuttavia quelli prodotti da trattamento meccanico, come nella specie), rispetto ad essi rilevando la possibile presenza di caratteristiche estremamente variabili, delle quali occorreva tenere conto per stabilire la tipologia di appartenenza e precisando che tale variabilità faceva propendere verso la tipologia dei rifiuti non generati regolarmente ma, nella sentenza impugnata non veniva esplicitata l’esistenza di specifiche caratteristiche del ciclo produttivo che giustificassero la qualificazione dei rifiuti prodotti come non regolarmente generati.

Infatti nella sentenza impugnata i rifiuti presi in esame erano stati collocati nella categoria dei rifiuti non generati regolarmente, prendendo in considerazione la sola tipologia di rifiuti con codice 19.12.12, senza tener conto del ciclo produttivo da cui erano stati originati né comparandoli con gli altri rifiuti previsti dal paragrafo 3 dell’All. 1. D.M. 27/09/2010.

Non era stato perciò chiarito il tipo di impianto di trattamento meccanico né che tipo di rifiuti fossero sottoposti a trattamento né che rifiuti scaturissero da esso, evidenziando che, sia la Decisione 2000/532/CE che la Decisione 2014/955/UE consideravano come uno dei passaggi fondamentali per la caratterizzazione di base, la identificazione della fonte che genera il rifiuto.

La sentenza impugnata infatti aveva preso in considerazione “una sola tipologia di rifiuti (quelli recanti codice speculare 19.12.12) e in maniera del tutto apodittica ne ha ritenuto l’automatica inclusione nella categoria dei rifiuti non generati regolarmente, senza spendere alcuna considerazione in merito alle caratteristiche del ciclo produttivo da cui originano (che pure individua in “altri rifiuti prodotti dal trattamento meccanico di rifiuti”). Non opera alcun confronto con il paragrafo 3 dell’allegato 1 più volte citato e pure richiamato nell’ordinanza, che — alla lett. a) — contiene un espresso riferimento ai rifiuti provenienti da impianti che effettuano lo stoccaggio e la miscelazione di rifiuti (ma non contempla tuttavia quelli prodotti da trattamento meccanico, come nella specie), rispetto ad essi rilevando la possibile presenza di caratteristiche estremamente variabili delle quali occorre tenere conto per stabilire la tipologia di appartenenza, precisando che tale variabilità fa propendere verso la tipologia dei rifiuti non generati regolarmente. Cosicché, non è dato comprendere se l’inclusione nella categoria b) sia stata conseguenza di un automatismo, ritenuto ma non esplicitato o della esistenza di specifiche caratteristiche del ciclo produttivo che la giustifichino e che, ancora una volta, non sono state indicate nel provvedimento”.

Conclusioni

Le linee Guida SNPA, approvate successivamente alla sentenza suddetta, con Decreto Direttoriale n. 47 il 09/08/2021, hanno evidenziato le complesse procedure che debbono essere adottate, ai fini di una corretta caratterizzazione di un flusso dii rifiuti con i codici EER 19 12 12 o 19 12 11*, prodotti da un impianto di trattamento meccanico/meccanico biologico, date le numerose variabili che possono intervenire nella sua formazione e che debbono essere prese in esame.

Esse in sintesi evidenziato che: “Un aspetto da considerare nella classificazione dei rifiuti prodotti da questa tipologia di impianti è la potenziale elevata variabilità del rifiuto in ingresso che si traduce in una potenziale elevata variabilità del rifiuto prodotto dal trattamento.

Dalle numerose variabili rilevate dalle linee guida, che è necessario considerare per qualificare i rifiuti derivanti dal trattamento meccanico dei rifiuti solidi urbani indifferenziati, risulta perciò evidente che, se tali linee guida fossero state vigenti all’epoca della emissione della sentenza della Corte di Cassazione del 9 febbraio 2018, n. 6548, i rifiuti derivanti dal trattamento meccanico dei rifiuti solidi urbani indifferenziati, per la loro stessa natura, data la loro origine, avrebbero fatto sorgere dei dubbi sulla possibilità che i rifiuti in discussione, classificati con i codici EER 19 12 12 o 19 12 11*, non potessero essere qualificati, già a priori, come non regolarmente generati.

Questo in particolare nel caso che i rifiuti da trattare, oltre che dai rifiuti solidi urbani indifferenziati fossero composti anche da flussi aventi altra origine, in particolare da altri impianti di trattamento meccanico di rifiuti, anche diversi da quelli urbani.

Infatti, questi ulteriori flussi di rifiuti classificabili a loro volta con i codici EER 19 12 12 o 19 12 11* comportano un aumento fattoriale delle variabili e delle incognite relative alle diverse caratteristiche dei rifiuti gestiti, evidenziando ancora più chiaramente la improbabilità che essi potessero essere qualificati come rifiuti regolarmente generati in un ciclo produttivo.


  1. Dlgs 3 settembre 2020, n. 121, All. 5, punto 3, lett. b): “I rifiuti non generati regolarmente sono quelli non generati regolarmente nel corso dello stesso processo e nello stesso impianto e che non fanno parte di un flusso di rifiuti ben caratterizzato. In questo caso è necessario determinare le caratteristiche di ciascun lotto e la loro caratterizzazione di base deve tener conto dei requisiti fondamentali di cui al punto 2. Per tali rifiuti, devono essere determinate le caratteristiche di ogni lotto; pertanto, non deve essere effettuata la verifica di conformità.”↩︎
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