Campo imperatore dalla Rocca di Calascio
Campo Imperatore, denominato anticamente Campo Imperiale, prende il nome da Federico II di Svevia ed è situato nel cuore del massiccio del Gran Sasso, chiamato dagli antichi Romani Fiscellus Mons (Monte Ombelico), per la sua posizione centrale nella penisola italiana, poi nel Medioevo Monte Corno. All’estremità sud-orientale di Campo Imperatore si erge la rocca di Calascio. Il toponimo “Calaso” è presente in un documento dell’816 dell’imperatore Ludovico I che elencava i possedimenti dei monaci di S. Vincenzo al Volturno. Esso richiama la base prelatina cala, cioè “fianco scosceso del monte, scoscendimento”; secondo altri deriverebbe dal toponimo, composto di colle e dell’aggettivo alto, pronunciato con la fonetica locale; e secondo
altri ancora è un toponimo derivato dal nome personale romano Calasius.
Secondo la latitudine il gruppo del Gran Sasso può essere suddiviso in tre grandi aree: quella settentrionale occupata dalla sottocatena settentrionale, dove si trovano il Corno Grande e il Corno Piccolo (2.655m) e dove, incastonato dentro una conca, si trova il Ghiacciaio del Calderone; la parte centrale corrispondente all’altopiano di Campo Imperatore che degrada dolcemente fino alla Valle del Tirino e all’Altopiano di Navelli ed è limitato a sud-ovest dalla dorsale orientale che separa l’altopiano dal territorio di Santo Stefano di Sessanio e Calascio.
L’altopiano di Campo Imperatore, di origine glaciale e carsico-alluvionale, è tra i più vasti d’Italia, estendendosi per 18 km in lunghezza e 8 km di larghezza da nord-ovest a sud-est con una superficie complessiva di circa 75 km2 e un’altitudine variabile tra i 1460 m della Val Voltigno ed i 2138 m della stazione meteorologica.
Gli accessi all’altopiano sono vari, infatti si entra in esso salendo da Assergi per il valico della Fossa di Paganica, da Castel del Monte per il valico di Capo la Serra e da Farindola per il Vado di Sole.
Il massiccio del Gran Sasso risulta popolato da almeno 100.000 anni: come dimostrano i frammenti del femore di un uomo di Neanderthal, vissuto 80.000 anni fa durante il Paleolitico, ritrovati nella zona di Calascio.
Qui, in corrispondenza dell’estremità sud-orientale di Campo Imperatore, ad un’altezza di circa 1460 metri m.s.l.m., si erge, come detto, la Rocca Calascio che domina il versante sud del Gran Sasso ed è l’unica tra le numerose fortezze e torri dell’aquilano ad affacciarsi sull’altopiano di Campo Imperatore.
La rocca, baricentrica tra questo altopiano e quelli sottostanti di Navelli e del Tirino, è uno dei castelli più elevati d’Italia; lo supera in altezza il castello di Andraz nel Livinallongo situato sopra i 1700 metri.
La torre quadrata centrale del Castello viene fatta risalire tradizionalmente a Ruggero II d’Altavilla, che volle la sua costruzione quando, a seguito della riunificazione del Sud Italia sotto i Normanni, nell’area vennero aperte numerose vie di transito per la transumanza delle pecore, i tratturi, utilizzati dai pastori per condurre le greggi ai pascoli del Tavoliere delle Puglie prima dell’arrivo dell’inverno.
Con il medioevo la fortezza di Calascio assunse un notevole interesse strategico e militare, facendo parte di un imponente sistema difensivo di avvistamento, che si estendeva dagli Appennini al mare Adriatico, utilizzato per il controllo di questo territorio.
Attorno alla torre si sviluppò il borgo di Rocca Calascio, che faceva parte – con Carapelle Calvisio, Castelvecchio Calvisio e Santo Stefano di Sessanio – della baronia di Carapelle. nata dopo il 1140, anno della conquista degli Abruzzi da parte di Ruggero I d’Altavilla, che l’assegnò con altri feudi ad Oderisio di Collepietro-Pagliara.
La baronia aveva giurisdizione sul territorio della fascia pedemontana del Gran Sasso che comprendeva Carapelle, Castelvecchio, Calascio e Rocca Calascio.
Nel 1271 Carlo I d’Angiò donò la parte settentrionale della diocesi valvense, comprendente i territori di Carapelle, Castelvecchio, Calascio, Rocca Calascio e Santo Stefano di Sessanio, al suo cavaliere Matteo Plessis. Carlo III d’Angiò-Durazzo assegnò nel 1382 il medesimo territorio a Pietro da Celano e poi a Ruggerone, che combatté nella guerra angioino-aragonese (14601464) e che, sconfitto da Ferrante d’Aragona, perdette così tutti i propri possedimenti.
La prima citazione della rocca come torre di avvistamento si ha in un documento del 1380; essa fu poi ristrutturata ed ingrandita da Antonio Piccolomini, marchese di Capestrano, verso il 1480 con la realizzazione delle quattro torri circolari.
Infatti Ferdinando I di Napoli nel 1463 ne aveva concesso la proprietà ad Antonio Todeschini, della famiglia Piccolomini, che adattò la rocca alle armi da fuoco.
Essa costituiva un punto di osservazione strategico ed era in grado di comunicare, mediante l’ausilio di torce durante la notte e di specchi nelle ore diurne, con i castelli della costa adriatica.
Nel 1474, durante la dominazione aragonese, l’abolizione della tassa sugli animali e il riordino dei pascoli di Puglia portarono ad un forte sviluppo della pastorizia e della transumanza. Proprio per questo qui fu istituita la “Dogana della mena delle pecore in Puglia” e la pastorizia transumante, divenuta la principale fonte di reddito del Regno. determinò un notevole sviluppo per i paesi della Baronia che nel 1470 possedevano oltre 90.000 pecore e fornivano ingenti quantitativi di pregiata “lana carapellese”.
Nelle vicinanze della rocca, sul sentiero che porta a Santo Stefano di Sessanio ed a Campo Imperatore, nel 1596 fu eretta la chiesa di Santa Maria della Pietà, per ricordare, secondo la leggenda, la vittoria della popolazione locale su un gruppo di briganti provenienti dal confinante Stato Pontificio.
Nel 1579 Costanza Piccolomini cedette, per un importo di 106000 scudi, la Baronia di Carapelle a Francesco I de’ Medici, granduca di Toscana unitamente al marchesato di Capestrano. La dominazione medicea fu il periodo di massimo splendore per l’intero territorio che, riunificato in un unico principato ed annesso ai territori di Bussi, Amatrice, Accumoli e Cittareale venne a costituire gli Stati medicei d’Abruzzo.
La baronia di Carapelle, in particolare Santo Stefano di Sessanio, base operativa della Signoria fiorentina (il toponimo sembra derivare dalla corruzione di Sextantio, piccolo insediamento romano forse distante sei miglia da un villaggio più importante), divenne così il centro principale di produzione della lana carfagna che, lavorata a Firenze, veniva poi esportata in tutta Europa.
Purtroppo proprio per questo, allo scopo cioè di fornire nuovi pascoli alla pastorizia, nel comprensorio caratterizzato fino ad allora dalla presenza di enormi boschi, a partire dal XVI e XVII secolo ebbero inizio le operazioni di disboscamento intensivo, che mutarono completamente il paesaggio.
I Medici dominarono la baronia fino al 1743, quando passò sotto i Borbone delle Due Sicilie che decisero di ricomprendere il feudo sotto la loro diretta giurisdizione.
La baronia fu poi definitivamente smantellata nel 1806 da Giuseppe Bonaparte, re di Napoli, che abolì la feudalità nel Regno di Napoli durante il cosiddetto Decennio francese. Con l’eversione della feudalità la baronia venne ricompresa nel distretto di Aquila dell’omonima provincia e suddivisa tra i circondari di Barisciano e Capestrano.
Nel XIX secolo con l’Unità d’Italia e la privatizzazione delle terre del Tavoliere delle Puglie ebbe termine l’attività millenaria della transumanza e iniziò un processo di decadenza del borgo con una forte riduzione della popolazione a causa del fenomeno dell’emigrazione. Il progressivo spopolamento ridusse anche il numero degli abitanti della Rocca che iniziò il suo declino e fu progressivamente abbandonata, fino a risultare completamente disabitata nel 1957.