Il delitto di “omessa bonifica”
di Alberto Galanti
Abstract. Il presente contributo analizza, attraverso la disamina della normativa e della giurisprudenza italiana, il reato di “omessa bonifica” di cui all’articolo 452-terdecies c.p., il contenuto delle nozioni di “bonifica”, “ripristino” e “recupero” ambientale, e i rapporti con le fattispecie di reato di cui agli articoli 255 e 257 d. lgs. 152/2006.
Abstract. This contribution analyzes, through an examination of italian legislation and jurisprudence, the crime of “failure to remediate” pursuant to article 452-terdecies of the Criminal Code, the content of the notions of activity of environmental “remediation”, “restoration” and “recovery”, then the relationship with the criminal offences pursuant to Articles 255 and 257 of legislative decree n. 152/2006.
Parole chiave: omessa bonifica, ripristino ambientale, recupero ambientale.
Key words: failiure to land remedation, environmental restoration, environmental recovery.
Sommario: 1. Introduzione. 2. Natura e struttura del reato. 3. Soggetto attivo del reato. 4. La fonte degli obblighi di bonifica. 5. Il contenuto degli obblighi di “bonifica”. 6. Segue: la nozione di “recupero”. 7. Segue. 8. Il “recupero ambientale” nella normativa regionale e in quella speciale. 9. Conclusioni sull’ambito oggettivo di applicazione della norma. 10. I rapporti con altre figure di reato: l’articolo 255 d. lgs. 152/2006. 11. Segue: l’articolo 257 d. lgs. 152/2006.
1. Introduzione
Negli ultimi decenni, grazie anche (ma non solo) alla spinta europea, si è intensificata la tutela ambientale sia in via preventiva che punitiva.
Come evidenziato in dottrina1, «la fragilità del bene considerato, la sua continua esposizione a pericoli e l’importanza di interventi d’anticipo nella sua salvaguardia», hanno spinto il legislatore ad approntare una serie di tutele che, per un verso, precedono il verificarsi di un danno ambientale (in ossequio ai principi di «prevenzione» e di «precauzione»); per altro verso, inserendo norme volte a concretizzare il principio della «correzione in via prioritaria alla fonte, che, in seguito al verificarsi di un evento dannoso, impone un intervento immediato, funzionale a limitare le conseguenze dannose derivanti dall’illecito», ha disposto in una serie di casi a carico del trasgressore (e talvolta anche a soggetti diversi dal trasgressore) l’obbligo di svolgere attività concrete in grado di eliminare o attenuare il danno ambientale provocato.
Ciò in quanto la disciplina tracciata dal Codice del 2006 «evidenzia una netta preminenza delle misure di recupero e riparazione materiale del danno ambientale ed esclude qualsiasi ruolo per il risarcimento per equivalente», disciplina che «segna un cambio di rotta rispetto al passato e dà piena attuazione alla logica “eco-centrica” del diritto europeo, che valorizza l’ambiente come bene dotato di un’importanza vitale per l’uomo e, come tale, destinatario di una disciplina speciale»2.
Sotto il profilo penale, a fronte di un sistema previgente basato su una tutela anticipata di tipo contravvenzionale3, la legge 22 maggio 2015, n. 68, ha inserito all’interno del nuovo Titolo VI-bis del codice penale, il reato di cui all’articolo 452-terdecies, ossia il delitto di “omessa bonifica”, il quale avrebbe dovuto, nelle intenzioni, costituire una delle pietre angolari nell’anzidetta direzione.
La legge sugli “ecodelitti”, infatti, come evidenziato da accorta dottrina4, per un verso ha delineato un sistema di tutela dell’ambiente che poggia su due pilastri, quello costituito dal codice penale e quello costituito dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, o Codice dell’Ambiente, o testo unico ambientale (TUA): il primo costituito da un insieme solo di delitti; il secondo, invece, in larghissima misura comprensivo di un insieme di reati contravvenzionali5.
Sotto altro profilo, il sistema di tutela approntato dai delitti si snoda attraverso tre distinte direttrici di fondo: la prevenzione del danno all’ambiente (452-septies), tramite il delitto di «impedimento del controllo», con cui «l’ordinamento penale si è munito di una fattispecie che presidia il corretto ed efficace esercizio della funzione di vigilanza e di controllo sull’osservanza della normativa ambientale»; la repressione delle condotte dolose o colpose che lo hanno generato (452-bis, 452-quater e 452-quinquies), tramite la sanzione di condotte di compromissione, in diversa gradazione, delle matrici ambientali ovvero di un ecosistema6; il ripristino dello status quo ante, da ottenersi mediante misure volte a garantire una «corretta e tempestiva osservanza dell’obbligo di ripristino della matrice ambientale o dell’ecosistema violati»7.
Cornerstone dell’ultimo pilastro sono, a loro volta, gli articoli 452-duodecies (“Ripristino dello stato dei luoghi”) e 452-terdecies (“omessa bonifica”), che si pongono quali norme di chiusura volte a consentire la corretta e tempestiva osservanza dell’obbligo di ripristino della matrice ambientale o dell’ecosistema violati8.
L’art. 452-terdecies, in particolare, prevede che «salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, essendovi obbligato per legge, per ordine del giudice ovvero di un’autorità pubblica, non provvede alla bonifica, al ripristino o al recupero dello stato dei luoghi è punito con la pena della reclusione da uno a quattro anni e con la multa da euro 20.000 a euro 80.000».
La concreta esperienza giudiziaria, tuttavia, non ha restituito fino ad oggi risultati particolarmente confortanti: nei dieci anni dalla entrata in vigore della norma si registrano infatti solo diciotto sentenze della giurisprudenza di legittimità che hanno per oggetto il reato in parola9 (molte delle quali conclusesi con una pronuncia di inammissibilità per motivi formali), di cui solo due massimate10.
Chi scrive ritiene invece che, ove opportunamente valorizzata, la disposizione in parola consentirebbe davvero, in chiave di «tutela postuma», di restituire il bene ambientalmente compromesso dall’attività antropica agli usi originari, o almeno di eliminare o mitigare le compromissioni dello stesso.
A tal fine, sembra operazione imprescindibile evidenziare quali siano gli elementi costitutivi del reato e i tratti distintivi tra lo stesso e ipotesi di reato ad esso confinanti.
2. Natura e struttura del reato
Quanto alla «natura» della disposizione, la Cassazione ha di recente ritenuto11 che l’articolo «452-terdecies cod. pen. (come l’art. 255, comma 3, d. lgs. n. 152 del 2006) contiene disposizioni ispirate alla ratio di sanzionare «comportamenti omissivi tenuti in presenza di (e nonostante) un obbligo di natura pubblicistica di segno positivo, avente ad oggetto attività di recupero e di ripristino e, nel solo caso del delitto, anche di bonifica, a fronte di precedenti comportamenti lesivi – o potenzialmente lesivi – del bene tutelato, quale l’integrità dell’ambiente», sottolineandone la valenza ripristinatoria dell’ordine violato.
In riferimento alla «struttura» del reato, come evidenziato in dottrina12 la norma è costruita secondo il tipico «modello ingiunzionale» dei reati omissivi propri e di mera condotta, essendo integrata non già al verificarsi di un evento di inquinamento, bensì alla mera violazione di un obbligo imposto da legge, da ordine del giudice o da provvedimento di una pubblica autorità.
La natura di reato omissivo «proprio» discenderebbe, da un lato, dalla circostanza che la responsabilità costituisca oggetto di espressa previsione da parte del legislatore; dall’altro lato, dal fatto che risulta incriminata la mera condotta omissiva e non il prodursi di un evento13.
L’inquinamento del sito è, dunque, estraneo al perimetro della fattispecie, rispetto alla quale si pone come mero «presupposto» (in maniera analoga al fallimento nei reati di bancarotta), il quale deve, tuttavia, costituire oggetto dell’elemento volitivo.
3. Soggetto attivo del reato
Soggetto attivo del reato può essere «chiunque», ciò che, prima facie, farebbe pensare ad un reato «comune».
Tuttavia, una giurisprudenza di merito14 ha ritenuto che il reato omissivo in parola sarebbe un reato «proprio», atteso che ne può rispondere solamente quello specifico soggetto su cui ricade l’obbligo giuridico di effettuare la bonifica o il ripristino dell’area, obbligo che gli deriva dalla legge, da un provvedimento giurisdizionale o da un provvedimento amministrativo.
Questione che potrebbe in concreto porsi (e si è posta) concerne la configurabilità di una responsabilità penale «vicaria» in capo ai funzionari degli enti pubblici investiti di un obbligo di intervento sostitutivo in caso di inottemperanza del destinatario dell’obbligo di bonifica.
Ed infatti, come accorta dottrina ha evidenziato15, a differenza dell’articolo 257 d. lgs. 152/2006, il quale sanziona solo il «responsabile dell’inquinamento» che ometta di provvedere alla bonifica sulla base di un progetto approvato, nel caso in esame, ove tale responsabile sia sconosciuto, «grava sulla Provincia l’onere di svolgere opportune indagini volte ad identificare il responsabile dell’evento che, individuato, deve essere diffidato ad adempiere. (artt. 244, comma 2 e 245, comma 2, T.U.A.). Qualora l’autore dell’inquinamento non sia individuabile o, se individuato, non provveda alla bonifica, il nostro sistema normativo impone che il danno ambientale sia comunque riparato, o volontariamente da parte del proprietario, gestore o altro soggetto interessato (art. 245, commi 1 e 2 T.U.A) ovvero obbligatoriamente, in via sostitutiva, da parte della pubblica amministrazione (artt. 244, comma 4 e 250 T.U.A.) ossia Comune e Regione.
Pertanto, ai sensi dell’art. 250 cit., le figure apicali deputate alla materia ambientale di Comune e Regione sono obbligate a provvedere alla bonifica se non è individuabile il responsabile dell’inquinamento ovvero se il responsabile dell’inquinamento e il proprietario del terreno inquinato non provvedono alla bonifica.
Tuttavia, secondo la citata pronuncia di merito16, tale responsabilità vicaria sorge solo nel caso in cui le ricerche del responsabile abbiano avuto esito negativo; tale attività si pone come condizione di fatto affinché origini in capo a soggetti diversi dal destinatario principale del precetto, l’obbligo di provvedere agli adempimenti previsti dalla legge a tutela dell’ambiente e della salute.
In senso contrario, in dottrina si è ritenuto che non si tratterebbe «di un obbligo sanzionato penalmente, né sarebbe accettabile sul piano giuridico un trasferimento di responsabilità penali dal responsabile dell’inquinamento alle Amministrazioni pubbliche»17.
Chi scrive ritiene, tuttavia, che tale assunto prova troppo: è difatti indiscutibile la fonte legale dell’obbligazione, ancorché condizionata all’omissione altrui e all’attivazione delle ricerche da parte della provincia, mentre in alcun modo la legge stabilisce (come invece avviene per l’articolo 257 TUA, come si vedrà infra) limitazioni della platea di destinatari della norma tra coloro che hanno cagionato l’inquinamento.
Non può, in ogni caso, certamente sussistere una responsabilità per il reato di cui all’art. 452-terdecies c.p. a carico del proprietario incolpevole, non gravando su di lui alcun obbligo legale di bonifica, posto che la legge pone sullo stesso non un obbligo ma un mera «facoltà che, ove esercitata, configura in capo al proprietario o soggetto interessato il diritto di rivalersi nei confronti del responsabile dell’inquinamento per le spese sostenute e per l’eventuale maggior danno subito (art. 253, comma 4, T.U.A)»18.
Altro tema poco affrontato in dottrina e giurisprudenza è quello della possibile esclusione della responsabilità del soggetto tenuto a porre in essere le attività riparatorie previste dalla disposizione in esame per effetto di una c.d. «crisi di liquidità»19.
In proposito si registrano alcune pronunce che, nel caso della omessa bonifica prevista dall’articolo 257 TUA, hanno previsto che «per escludere la responsabilità dal reato di cui all’art. 257 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, è necessaria la sussistenza di una causa di giustificazione positivamente disciplinata dall’ordinamento, non essendo invocabile un inesistente principio generale di inesigibilità della condotta, se non quando si traduca in una positiva causa di esclusione della punibilità, oggettiva o soggettiva (Fattispecie in cui la Corte ha escluso che costituissero causa di inesigibilità della condotta del ricorrente le difficoltà economiche del consorzio di gestione di una discarica, di cui il predetto era amministratore)»20.
Nella pronuncia si precisa che «non esiste un principio di giustificazione di tipo economico nel sistema così disciplinato e quindi gli enti locali, così come, deve ritenersi, le loro promanazioni (tra cui può rinvenirsi un consorzio di comuni, come nel caso di specie, peraltro deputato alla gestione di una discarica cui si riconnette l’obbligo di bonifica in esame), hanno il dovere di dare priorità alle spese necessarie per gli adempimenti in materia di corretta gestione dei rifiuti e delle connesse attività, tra cui quella in esame … [omissis] … Consegue che le difficoltà economiche in materia di rifiuti non integrano causa di giustificazione e di non esigibilità. La gestione dei rifiuti e delle connesse e conseguenziali attività costituiscono infatti un’assoluta priorità, in quanto incidono su interessi di rango costituzionale, come la salute dei cittadini e la protezione delle risorse naturali, sicché non ha rilievo giuridico l’insufficienza delle risorse, dovendo le stesse essere destinate in via prioritaria al soddisfacimento delle anzidette esigenze, rispetto ad altre».
Non a caso, a sostegno di tale esegesi, va evidenziato che l’articolo 452-duodecies c.p., in cui la condanna del giudice può costituire la fonte dell’obbligo legale di bonifica, si prevede una sola forma di inesigibilità, ossia la «impossibilità tecnica», mentre quella economica non viene citata.
Quanto all’elemento psicologico del reato, in dottrina si è evidenziato che dall’inclusione del delitto in esame nella categoria dei «reati omissivi a struttura semplice (o reati unisussistenti)», ossia quelle fattispecie che si caratterizzano per il fatto di essere imperniate su «un puro e semplice atto di trasgressione», mancando qualsiasi riferimento a «ulteriori circostanze o modalità di commissione del fatto» che consentano al soggetto obbligato di percepire il disvalore della propria omissione, deriva la necessità che il dolo – oltre alla conoscenza degli elementi della situazione tipica e la «consapevolezza della possibilità di agire nella direzione voluta dalla norma» – inglobi anche la conoscenza della rilevanza penale dell’obbligo giuridico di attivarsi21.
4. La fonte degli obblighi di bonifica
Quanto agli obblighi imposti dalla norma in esame, si conviene con chi sostiene che essi non si limitano alla materia delle «bonifiche» ed all’art. 257 d. lgs. 152/2006, potendo essere imposti da diverse norme del decreto legislativo n. 152 del 2006, quali – a titolo esemplificativo – l’art. 192, comma 3 (che stabilisce che chiunque abbandona, immette o deposita rifiuti in modo incontrollato «è tenuto a procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo»)22, l’art. 256, comma 3 (che prevede che alla sentenza di condanna o di patteggiamento per discarica abusiva, consegue la confisca dell’area “fatti salvi gli obblighi di bonifica o di ripristino dello stato dei luoghi”), l’art. 256-bis, comma 1 (secondo cui, in caso di combustione illecita di rifiuti, “il responsabile è tenuto al ripristino dello stato dei luoghi”) e comma 5 (secondo il quale alla sentenza di condanna o di patteggiamento consegue la confisca dell’area “fatti salvi gli obblighi di bonifica e ripristino dello stato dei luoghi”), l’art. 260, comma 4 (il quale prevedeva che il giudice con la sentenza di condanna o patteggiamento “ordina il ripristino dello stato dell’ambiente”)23.
Nel caso in cui la fonte dell’obbligo sia una «autorità pubblica», e quindi non la legge o il giudice, secondo la citata pronuncia del Tribunale di Siena n. 197 del 29 aprile 2024, il giudice penale è chiamato a verificare che il soggetto obbligato alla bonifica in seno al procedimento amministrativo sia effettivamente il soggetto responsabile dell’inquinamento e, sotto questo profilo, egli sarebbe chiamato a valutare non se l’imputato sia responsabile dell’inquinamento «al di là di ogni ragionevole dubbio» – standard probatorio richiesto per individuare il responsabile del delitto di inquinamento ambientale – bensì, al pari del giudice amministrativo, se sia più probabile che l’imputato sia responsabile dell’inquinamento rispetto alla possibilità che non lo sia: questo è, infatti, lo standard probatorio sufficiente affinché nasca l’obbligo ex lege di provvedere alla bonifica.
In realtà, chi scrive concorda solo parzialmente con tale tesi: ed infatti, ove eventuali vizi del procedimento amministrativo che possono avere portato all’errata individuazione del soggetto responsabile siano stati oggetto di impugnazione dinanzi al giudice amministrativo, una volta che il provvedimento amministrativo che ha imposto a un determinato soggetto l’obbligo di bonifica è diventato definitivo, in virtù della tendenziale vincolatività del giudicato amministrativo nel processo penale24, il soggetto attinto da quel provvedimento è «obbligato per ordine di un’autorità pubblica» a provvedere alla bonifica, ché, altrimenti, il processo penale rischierebbe di rimettere in gioco un positivo accertamento da parte dell’autorità giurisdizionale amministrativa del soggetto gravato dall’obbligo di bonifica.
Si conviene poi con la citata pronuncia, secondo cui non rappresentano fonti in grado di determinare l’obbligo di provvedere alla bonifica il contratto, gli atti di autonomia privata in genere ovvero l’accordo fra privato e Pubblica Amministrazione: diversamente opinando, infatti, si addiverrebbe ad un esito incostituzionale, in quanto verrebbe violato il principio di riserva di legge, essendo rimessa alle parti la determinazione del fatto tipico, ivi compreso l’oggetto dell’obbligazione che potrebbe essere ben diverso dalla “bonifica” così come prevista e disciplinata dal Testo Unico Ambiente all’art. 240 lett. p) d. lgs. 152/2006, così come diversi potrebbero essere i presupposti fattuali in grado di far sorgere l’obbligo.
5. Il contenuto degli obblighi di “bonifica”
Quanto al «contenuto» degli obblighi, la norma, come visto, menziona espressamente tre tipi di attività: «bonifica», «ripristino» e «recupero» dello stato dei luoghi, nonché tre possibili fonti distinte dell’obbligo di fare: legge, giudice, autorità amministrativa.
Quanto al primo aspetto, che qui maggiormente interessa, si deve convenire con la dottrina 25secondo cui in casi quale quello in esame il ricorso alle categorie e alle definizioni del decreto legislativo 152 del 2006 è essenziale per riempire di contenuto sotto il profilo oggettivo la gran parte delle fattispecie di reato introdotte con il nuovo Titolo; così ragionando, per comprendere la portata delle nozioni di «bonifica» e «ripristino ambientale» occorre prendere necessariamente le mosse dal suddetto decreto, secondo il quale, per «bonifica» si intenda l’insieme degli interventi atti ad eliminare le fonti di inquinamento e le sostanze inquinanti o a ridurre le concentrazioni delle stesse presenti nel suolo, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee ad un livello uguale o inferiore ai valori delle concentrazioni soglia di rischio (art. 240, lett. p, d.lgs. 152/06), mentre il «ripristino» e il «ripristino ambientale» comprendono «gli interventi di riqualificazione ambientale e paesaggistica, anche costituenti complemento degli interventi di bonifica o messa in sicurezza permanente, che consentono di recuperare il sito alla effettiva e definitiva fruibilità per la destinazione d’uso conforme agli strumenti urbanistici» (art. 240, lett. q, d.lgs. 152/06)26.
Dalla definizione dei due istituti discendono due evidenti notazioni: in primo luogo appare evidente che, mentre la bonifica è volta a eliminare fonti di contaminazione delle matrici ambientali (suolo, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee), il ripristino ha una funzione recuperatoria del sito agli usi consentiti e quindi presenta maggiore complessità.
In secondo luogo, dalle definizioni proposte dal «TUA» si evince (dall’inciso «anche», preposto a «costituenti complemento degli interventi di bonifica o messa in sicurezza») che gli interventi di ripristino ambientale possono essere disposti perfino in assenza di interventi di bonifica.
4. Segue: la nozione di “recupero”
Più complessa è invece l’individuazione della nozione di «recupero ambientale», che non è definito nel Titolo V della Parte IV del decreto 152 del 200627 (quello relativo alle bonifiche dei siti inquinati), il cui articolo 242, comma 7, parla solo di «interventi di bonifica o di messa in sicurezza, operativa o permanente, e, ove necessario … ulteriori misure di riparazione e di ripristino ambientale» (non menzionando in alcun modo gli interventi di recupero ambientale), mentre il successivo art. 250 concerne gli interventi di «messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale e di tutela del territorio e delle acque».
Quanto al resto del decreto, l’articolo 115, comma 3, stabilisce le condizioni in presenza delle quali «le aree demaniali dei fiumi, dei torrenti, dei laghi e delle altre acque possono essere date in concessione allo scopo di destinarle a riserve naturali, a parchi fluviali o lacuali o comunque a interventi di ripristino e recupero ambientale», l’articolo 186 (ora abrogato) menzionava le «operazioni di recupero ambientale» in tema di utilizzo di terre e rocce da scavo, l’articolo 298-bis menziona le attività di «recupero ambientale» a proposito della VIA delle installazioni e stabilimenti che producono biossido di titanio.
La più accorta dottrina28 ha in proposito sottolineato che lo sforzo definitorio del legislatore del 2015 non ha attinto il sintagma «recupero», che non si può interpretare assegnandogli il significato che gli è proprio nel T.U.A., nel quale esso è stato utilizzato nel diverso ambito della gestione del rifiuto e con un significato all’evidenza inconferente rispetto al tema oggetto del presente contributo.
Come appare evidente, nessuna delle norme citate definisce tali operazioni, salvo evidenziare che quelle di recupero e quelle di ripristino ambientale hanno significati differenti, come certifica l’uso alternativo dei due termini nell’articolo 115, circostanza che induce ad escludere che le due parole possano costituire un «endiadi», come taluno pensa di ricavare dalla definizione di «ripristino» contenuta nell’articolo 240, lettera q), TUA (che parla di interventi «che consentono di recuperare il sito»).
Né può dirsi che la nozione di «recupero ambientale» possa coincidere con quanto disposto dall’articolo 5 del d.m. 5 febbraio 1998, che lo definisce come la «restituzione di aree degradate ad usi produttivi o sociali attraverso rimodellamenti morfologici», poiché tale norma concerne l’attività di recupero dei rifiuti in forma semplificata (in questo caso, le operazioni di cui al punto R10 dell’Allegato C alla parte IV del d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, ossia le operazioni di trattamento dei rifiuti in ambiente terrestre a beneficio dell’agricoltura o dell’ecologia) e non già, in generale, le attività di recupero ambientale (anche) diverse da quelle aventi ad oggetto rifiuti.
In proposito, la relazione del Massimario della Corte sulla legge n. 68 del 201529 sul punto precisa che «l’utilizzo del termine “recupero”, riferito – come pare – allo stato dei luoghi, rischia di generare qualche equivoco, poiché nel Codice dell’Ambiente, tale espressione è adoperata con diverso e specifico riferimento alle operazioni di riutilizzo dei rifiuti: una lettura coerente con l’intero impianto della normativa dovrebbe condurre ad una interpretazione omnicomprensiva del lemma, che porti ad includervi ogni attività materiale e giuridica necessaria per il “recupero” dell’ambiente inquinato o distrutto, e dunque anche e soprattutto la bonifica del sito da ogni particella inquinata e da ogni agente inquinante; laddove il “ripristino” si colloca evidentemente su un piano ulteriore che contempla, ove possibile, la ricollocazione o riattivazione delle componenti che siano andate distrutte ovvero rimosse in quanto irrimediabilmente compromesse».
Secondo il Massimario della Corte, pertanto, le operazioni di «recupero» e quelle di «ripristino» ambientale si porrebbero in rapporto di specialità, concernendo le prime la sola bonifica (in senso lato) del bene, le seconde attività a contenuto restitutorio in pristino.
Soluzione che, come si vedrà in appresso, chi scrive condivide solo parzialmente.
7. Segue.
Il tema merita ulteriore approfondimento, con particolare riguardo alla questione se gli interventi di «recupero ambientale» debbano ritenersi circoscritti alle sole attività disciplinate dagli artt. 239 ss. d. lgs. 152/2006, ovvero possano avere un contenuto più ampio.
La citata sentenza Della Corte ha in proposito ritenuto che la disposizione in esame presupponga, a monte, una condotta che riveli un «potenzialità inquinante, tale da imporre l’adozione delle procedure di cui agli artt. 239 ss., d. lgs. n. 152 del 2006, in tema di bonifica» e ha concluso nel senso che il riferimento al «ripristino o al recupero dello stato dei luoghi» contenuto nell’art. 452-terdecies cod. pen. deve intendersi misurato soltanto su quegli interventi che della bonifica costituiscono complemento.
Analogamente, ad interventi di «recupero ambientale» come comprensivi di tutte le ipotesi disciplinate dal d. lgs. 152/2006, fa riferimento la giustizia amministrativa, sottolineando come gli artt. 239 e seguenti (sulla «bonifica dei siti contaminati») del suddetto decreto addossano l’obbligo di effettuare gli interventi di recupero ambientale, comprese le prime misure di messa in sicurezza e la presentazione del piano di caratterizzazione, al responsabile dell’inquinamento, che le autorità amministrative hanno l’onere di ricercare. Tuttavia, nell’ipotesi di mancata esecuzione dei prescritti interventi da parte del responsabile dell’inquinamento, l’art. 250 stabilisce che gli interventi di «messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale e di tutela del territorio e delle acque» devono essere eseguiti dalla pubblica amministrazione competente, che potrà rivalersi sul soggetto responsabile nei limiti del valore dell’area bonificata, anche esercitando, ove la rivalsa non vada a buon fine, le garanzie gravanti sul terreno oggetto degli interventi30.
In proposito va tuttavia ribadito che il decreto 152 del 2006 non contiene alcuna definizione delle operazioni di «recupero ambientale», salvo chiarire che esse debbono necessariamente differire da quelli di «ripristino ambientale».
Tanto posto, va in primis sottolineato che la disposizione in parola si trova all’interno del codice penale e non contiene alcun rinvio diretto al decreto 152 del 2006, ragion per cui il riferimento agli istituti ivi disciplinati non può che essere effettuato avuto riguardo alla loro nomenclatura: in altre parole, se un istituto non è disciplinato dal quello che, impropriamente, viene chiamato «testo unico ambientale», ad esso, in assenza di esplicito rinvio, l’esegeta della norma contenuta nel codice penale non potrà riferirsi, a pena di vulnerare i principi di interpretazione letterale e sistematica delle norme.
Quanto al lessico utilizzato dal legislatore della l. 68 del 2015, deve poi evidenziarsi, per un verso, il differente tenore letterale tra la disposizione in parola e il precedente articolo 452-decies cod. pen., che circoscrive l’attenuante del «ravvedimento operoso» alla attività di chi «prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, provvede concretamente alla messa in sicurezza, alla bonifica e, ove possibile, al ripristino dello stato dei luoghi», non menzionando neppure il recupero ambientale e facendo invece espresso richiamo agli istituti positivamente disciplinati dagli artt. 239 ss. d. lgs. 152/2006.
Viceversa, l’articolo 452-duodecies cod. pen. («rispristino dello stato dei luoghi»), simmetricamente alla norma in parola, stabilisce che, quando il giudice pronuncia sentenza di condanna (ovvero di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale) per taluno dei delitti previsti dal titolo in parola, «ordina il recupero e, ove tecnicamente possibile, il ripristino dello stato dei luoghi», ponendone l’esecuzione a carico del condannato e dei soggetti di cui all’articolo 197 del presente codice.
In questo caso, al contrario del precedente, l’attività di «recupero» viene espressamente menzionata, simmetricamente a quanto avviene nella disposizione oggetto dell’odierno scrutinio.
L’articolo 452-quaterdecies, a chiusura, al quarto comma, stabilisce che «il giudice, con la sentenza di condanna o con quella emessa ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, ordina il ripristino dello stato dell’ambiente», non menzionando affatto l’attività di recupero.
La lettura congiunta delle disposizioni codicistiche consente di confermare la correttezza dell’ipotesi ermeneutica che esclude che i due termini costituiscano una endiadi.
Per altro verso, va evidenziato che, qualora con tale locuzione si intendesse semplicemente l’insieme degli istituti previsti dagli articoli 239 ss. del suddetto decreto 152 del 2006, l’ipotesi di omessa bonifica «per ordine del giudice» si ridurrebbe all’inottemperanza agli obblighi imposti ai sensi dell’articolo 452-duodecies cod. pen., il che appare eccessivamente riduttivo.
Né, del resto, valore decisivo può attribuirsi al tenore letterale della rubrica della norma («omessa bonifica»), posto che, per costante insegnamento della Corte di cassazione, essa non è mai stata ritenuta indizio univoco e assoluto della voluntas legis31.
Salvo ritenere che il legislatore abbia inavvertitamente utilizzato una locuzione impropria («recupero» in luogo di «misure di riparazione»), occorre accedere ad una nozione di «recupero ambientale» che abbia un suo autonomo ambito di applicazione.
Tale soluzione è stata sposata anche da una recente pronuncia di legittimità32, resa in un processo in cui si dibatteva del differente tenore letterale tra gli articoli 452-duodecies e 452-quaterdecies cod. pen.,
Nel frangente, la Corte di cassazione ha evidenziato come non vi sia dubbio «che il legislatore dell’art. 452-duodecies abbia inteso distinguere tra “recupero” e “ripristino”, adoperando due diversi termini e collegandoli con una congiunzione; tale diversità si ricava anche dalla circostanza che la norma non pone condizioni all’ordine di recupero, indicando, invece, come misura applicabile, il ripristino solo “ove possibile” e ricollegando al solo ripristino l’osservanza delle norme del codice dell’ambiente. Secondo i giudici di legittimità, pertanto, nell’opera di individuazione in concreto del contenuto delle due attività, dunque, la motivazione resa dalla Corte di appello non era da ritenersi manifestamente illogica laddove aveva «definito i rispettivi ambiti delle due nozioni, individuando il “recupero” come un minus rispetto al “ripristino”, fatto delle sole attività tese al reintegro dell’ambiente tramite la rimozione degli elementi alteranti, senza lo svolgimento di azioni più complesse — che ha ricondotto al ripristino — e che impongano la “ricollocazione o riattivazione delle componenti che siano andate distrutte ovvero rimosse in quanto irrimediabilmente compromesse”» 33.
La pronuncia precisa, inoltre, che il tentativo di ricavare dalla disposizione dell’art. 240, lett. q), del codice dell’ambiente la riprova di una sovrapponibilità dei due concetti non smentisce questa ricostruzione perché fa «leva sul mero utilizzo del verbo “recuperare” nell’ambito della nozione di ripristino, senza confrontarsi con la precisa delineazione delle due diverse attività nell’ambito della norma codicistica di riferimento».
Tale pronuncia va condivisa laddove evidenzia la differenza tra le operazioni di recupero e ripristino e sottolinea la sussistenza di una sorta di rapporto di specialità tra le due fattispecie, ma sembra difettare di precisione nell’individuare i tratti delle attività di recupero , soprattutto, a marcane le differenze rispetto alle attività di bonifica.
8. Il “recupero ambientale” nella normativa regionale e in quella speciale
Quanto sopra evidenziato rende necessario, a giudizio dello scrivente, ampliare l’angolo dell’obbiettivo.
Così facendo, è facile osservare che, al di fuori del decreto 152 del 2006 e soprattutto nella normativa regionale, il sintagma «recupero ambientale» trova ampia disciplina positiva.
In proposito, l’articolo 27, comma 2, del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, prevede che i Progetti di riconversione e riqualificazione industriale (PRRI) promuovano, tra le altre cose, il «recupero ambientale» dei siti insistenti su territori soggetti a recessione economica e perdita occupazionale di rilevanza nazionale derivante da una crisi di una o più imprese di grande o media dimensione con effetti sull’indotto (mentre il successivo comma 4 parla di «interventi di bonifica e risanamento ambientale dei siti contaminati»).
Sotto altro profilo, la legislazione regionale in materia di cave (che appartiene alla potestà legislativa regionale ex art. 117 Cost.) prevede il «recupero ambientale» delle aree minerarie dismesse (v., ad esempio: art. 31 l.r. Toscana n. 35/2015; art. 14 l.r. Puglia 22/2019), da effettuarsi sulla base di apposito progetto.
Così, ad esempio, l’articolo 6 della l.r. Umbria n. 2/2000, prevede l’attività di «ricomposizione ambientale» (locuzione da intendersi, secondo chi scrive, quale sinonimo di «recupero ambientale»), consistente nell’«insieme delle azioni da esercitarsi durante e a conclusione dei lavori di coltivazione di cava, aventi il fine di recuperare sull’area ove si è svolta l’attività le condizioni di naturalità preesistenti e un assetto finale dei luoghi coerente e compatibile con il contesto paesaggistico e ambientale locale, nell’ottica della salvaguardia dell’ambiente naturale e del riuso del suolo», al fine di restituire il «terreno agli usi preesistenti o compatibile con le caratteristiche oggettive dei luoghi originari» (del pari, l’articolo 18-bis consente l’utilizzo di determinati materiali per le attività di «recupero ambientale di cave dismesse o altre aree degradate»).
Con una definizione onnicomprensiva, poi, le norme di attuazione del piano paesistico regionale (PPR) della Regione Sardegna, approvato con D.G.R. n. 36/7 del 5 settembre 2006, all’articolo 41 definiscono come «aree di recupero ambientale» le «aree degradate o radicalmente compromesse dalle attività antropiche pregresse, quali quelle interessate dalle attività minerarie dismesse e relative aree di pertinenza, quelle dei sedimi e degli impianti tecnologici industriali dismessi, le discariche dismesse e quelle abusive, i siti inquinati e i siti derivanti da servitù militari dismesse».
Si parla, in tutti questi casi, di «rinaturalizzazione» di aree dismesse.
La dottrina più accorta, dal canto suo34, nel comparare le nozioni di «recupero» e «rispristino ambientale» evidenzia che l’obbligo di recupero sembrerebbe vincolare l’autore dell’inquinamento al compimento degli interventi necessari affinché il sito, dopo e nonostante la condotta d’inquinamento, sia restituito alla destinazione che ad esso è stata impressa dagli strumenti urbanistici, interventi che per raggiungere tale finalità potrebbero anche prescindere e non necessariamente presupporre il ripristino dello status quo ante e, quindi, il ristabilimento dell’integrità e della funzionalità originarie del sito.
In conclusione, tracciando una progressione nell’intensità dei diversi obblighi di facere a contenuto ripristinatorio, si potrebbe quindi immaginare di collocare alla base l’obbligo di bonifica (che consiste nell’eliminazione dell’agente inquinante), poi quello di recupero (che non ha carattere meramente “risanatorio”, ma consiste di fatto nella “rinaturalizzazione” del bene compromesso dall’attività antropica) e, infine, al vertice, quello di ripristino, che si porrebbe quale forma elettiva di restitutio del bene al suo uso legittimo ogni qual volta esso si presenti come tecnicamente possibile, seppur – in ipotesi – estremamente oneroso dal punto di vista economico.
Da tutto quanto sopra evidenziato emerge che le attività di «recupero ambientale», sia pure non definite dal d. lgs. 152/2006, debbono intendersi come quelle operazioni, intermedie tra le attività di bonifica (che potrebbero anche non sussistere ove le matrici ambientali non risultassero compromesse) e quelle di ripristino ambientale (che prevedono di recuperare il sito alla «effettiva e definitiva fruibilità per la destinazione d’uso conforme agli strumenti urbanistici»), consistenti anch’esse in operazioni recuperatorie destinate a restituire il bene – danneggiato da attività antropica – agli usi naturali.
9. Conclusioni sull’ambito oggettivo di applicazione della norma
In conclusione, si deve ritenere che, sebbene la maggioranza degli interventi di cui all’articolo 452-tercedies concerna attività (di ripristino e bonifica) disciplinate dagli artt. 239 ss. del d. lgs. 152/2006, vi potranno essere dei casi in cui essi, ove integranti il “recupero ambientale”, possano ricomprendere – come la stessa semantica della parola suggerisce – tutte quelle attività, diverse dal ripristino ambientale, finalizzate a restituire all’uso originario delle aree ambientalmente compromesse da attività antropiche (quali, a titolo esemplificativo, quelle interessate dalle attività minerarie dismesse, quelle degli impianti industriali dismessi, le discariche dismesse e così via), in cui la relativa attività sia imposta dalla legge o dal giudice o dall’autorità amministrativa e tale attività ingiunta non venga posta in essere.
In questi termini va quindi confermato l’indirizzo interpretativo della giurisprudenza di legittimità, affermato con la citata sentenza 32117 del 2024, secondo cui la disposizione in parola sanziona «comportamenti omissivi tenuti in presenza di (e nonostante) un obbligo di natura pubblicistica di segno positivo, avente ad oggetto attività di recupero e di ripristino e, nel solo caso del delitto, anche di bonifica, a fronte di precedenti comportamenti lesivi – o potenzialmente lesivi – del bene tutelato, quale l’integrità dell’ambiente», mentre, in riferimento alle attività di recupero, chi scrive, sommessamente, non può convenire con tale pronuncia laddove afferma che il delitto di cui all’art. 452-terdecies c.p. presuppone che l’obbligo non ottemperato segua il verificarsi di un evento potenzialmente in grado di inquinare il sito, come da lettera dell’art. 242, comma 1, T.U.A. che disciplina le procedure operative ed amministrative in tema di bonifica, quali interventi finalizzati ad eliminare le fonti di inquinamento e le sostanze inquinanti o a ridurre le concentrazioni delle stesse presenti nel suolo, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee ad un livello uguale o inferiore ai valori delle concentrazioni soglia di rischio (CSR), posto che l’attività di recupero non è inclusa tra gli interventi disciplinati dalla Parte IV del d. lgs. 152/2006.
La soluzione interpretativa caldeggiata, del resto, appare maggiormente conforme alla recente modifica dell’articolo 9 della Costituzione, operata con l.c. n. 1/2023, secondo cui la Repubblica «tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni», che sarebbe vulnerata da una interpretazione che ancorasse l’obbligo di recupero ambientale alle sole ipotesi di cui al titolo V della Parte quarta del d. lgs. 152/2006 e non la estendesse anche alle ipotesi di recupero ambientale previste per casi diversi dalla mera bonifica dei siti inquinati.
Ciò anche in ossequio alla giurisprudenza della Corte costituzionale, che ha indicato nell’ambiente un «unitario»35 «bene della vita, materiale e complesso, la cui disciplina comprende anche la tutela e la salvaguardia delle qualità e degli equilibri delle sue singole componenti»36.
Ad una sola condizione: che l’attività ingiunta abbia carattere effettivamente «ambientale» e non concerna la tutela di altri beni, quale ad esempio il «governo del territorio».
Non potrà quindi invocarsi, come paventato in dottrina37, il richiamo alla norma penale in questione, in casi quali «l’ordine di ripristino dello stato dei luoghi adottato nell’ambito del procedimento amministrativo edilizio ai sensi dell’art. 33, 10 co., d.P.R. 380/2001, l’ordine di demolizione e ripristino dei luoghi per gli interventi eseguiti senza permesso di costruire in totale difformità o con variazioni essenziali nonché l’ordine ex art. 33, 30 co., d. P.R. 380/2001, di restituzione in pristino per le opere eseguite su immobili vincolati».
Occorre quindi concludere nel senso che, in relazione all’articolo 452-terdecies del codice penale, le nozioni di «bonifica» e «ripristino ambientale» vanno circoscritte alle operazioni indicate dagli articoli 239 e seguenti del decreto 152 del 2006, mentre per le operazioni di «recupero ambientale» occorre accedere ad una nozione più ampia che includa tutte quelle attività – intermedie tra la bonifica e il ripristino ambientale – a contenuto recuperatorio finalizzate a restituire all’uso originario beni degradati dall’attività antropica, con i soli «limiti esterni» costituiti dal fatto che:
a) gli interventi debbono essere, propriamente, «ambientali», ed essi:
b) debbono avere carattere recuperatorio di siti degradati per effetto di pregressa attività antropica (anche se non necessariamente implicanti una bonifica);
c) debbono essere imposti dalla legge, dal giudice o dall’autorità amministrativa.
In assenza di tali requisiti, la condotta difetta di tipicità38.
10. I rapporti con altre figure di reato: l’articolo 255 d. lgs. 152/2006
Sembra opportuno dare cenno, sia pur brevemente, dei rapporti che intercorrono tra il delitto in parola e altri reati, previsti dal testo unico ambientale.
In primo luogo, va valutato che tipo di rapporto intercorra con l’articolo 255 del d. lgs. 152/2006, che, nella formulazione previgente al d.l. 116/2025 (che però ha lasciato inalterato il comma 3, che qui interessa), prevedeva che «chiunque non ottempera all’ordinanza del Sindaco, di cui all’articolo 192, comma 3, o non adempie all’obbligo di cui all’articolo 187, comma 3, è punito con la pena dell’arresto fino ad un anno. Nella sentenza di condanna o nella sentenza emessa ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, il beneficio della sospensione condizionale della pena può essere subordinato alla esecuzione di quanto disposto nella ordinanza di cui all’articolo 192, comma 3, ovvero all’adempimento dell’obbligo di cui all’articolo 187, comma 3».
A sua volta, l’art. 192, comma 3, appena menzionato, prevedeva che, fatta salva l’applicazione della sanzioni di cui agli articoli 255 e 256, chiunque «viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo. Il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all’esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate».
La giurisprudenza, in proposito, aveva chiarito che, sebbene entrambe le norme contengano disposizioni ispirate alla medesima ratio, tesa a sanzionare comportamenti omissivi tenuti in presenza di (e nonostante) un obbligo di natura pubblicistica di segno positivo, a fronte di precedenti comportamenti lesivi – o potenzialmente lesivi – del bene tutelato, quale l’integrità dell’ambiente, «il delitto di omessa bonifica, previsto dall’art. 452-terdecies cod. pen., si differenzia dalla contravvenzione di inottemperanza all’ordinanza sindacale di rimozione dei rifiuti, di cui all’art. 255, comma 3, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, in quanto il primo presuppone una condotta avente potenzialità inquinanti, mentre la seconda richiede l’abbandono dei rifiuti, in esso compreso anche il deposito incontrollato e l’immissione nelle acque, da cui non derivi un evento potenzialmente in grado di inquinare» 39.
In altre parole, la fattispecie delittuosa di cui all’art. 452-terdecies c.p., richiede, quale elemento specializzante, una condotta che, anche laddove qualificabile come abbandono, «presenti comunque un proprio elemento aggiuntivo e caratterizzante, che ne accresce il rilevo penale, ossia una potenzialità inquinante tale da imporre l’adozione delle procedure di bonifica»40.
11. Segue: l’articolo 257 d. lgs. 152/2006
L’articolo 257 TUA è stato modificato dalla l. 68/2015, in primo luogo, mediante l’introduzione della clausola di riserva determinata «salvo che il fatto costituisca più grave reato».
Inoltre, la disposizione trova applicazione soltanto a chi abbia cagionato «l’inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle acque sotterranee»; tale condotta deve poi essere compiuta «con il superamento delle concentrazioni soglia di rischio» e la punibilità è condizionata alla omissione della bonifica «in conformità al progetto approvato dall’autorità competente nell’ambito del procedimento di cui agli articoli 242 e seguenti».
Pertanto, «la struttura del reato richiede, quale indefettibile presupposto, la sussistenza dell’evento di danno dell’inquinamento, la cui configurazione implica l’accertato superamento (attraverso la complessa procedura stabilita dall’articolo 242 del T.U.A.) della concentrazione soglia di rischio (CSR)41», a differenza del reato in parola, in cui l’inquinamento è un presupposto meramente implicito del reato ma non ne tocca la struttura.
La dottrina42 sottolinea che vi possono essere due diverse interpretazioni dei rapporti tra le due norme: secondo una prima interpretazione, le due norme incriminatrici si troverebbero tra loro in un rapporto di «concorso apparente». Pertanto, prevarrebbe sempre la fattispecie codicistica su quella contravvenzionale di cui all’art. 257 TUA, e spazi di operatività per quest’ultima sarebbero ravvisabili soltanto nelle ipotesi di omessa bonifica «colposa», ossia bonifica non eseguita correttamente per negligenza o imperizia, ma non in maniera volontaria.
Secondo altro indirizzo, invece, la risoluzione del conflitto apparente tra norme andrebbe ricostruita sotto il profilo oggettivo facendo operare il principio di specialità di cui all’art. 15 c.p.. Secondo questa tesi, «prevarrebbe la fattispecie di cui all’art. 257 TUA in tutti i casi in cui l’omessa bonifica sia esattamente il risultato della mancata o inesatta esecuzione del progetto di bonifica approvato dalla pubblica amministrazione all’esito della procedura di cui all’art. 242 TUA. Troverebbe, al contrario, applicazione la nuova fattispecie codicistica nei casi in cui l’omessa bonifica sia conseguenza dell’omissione di una o di tutte le fasi procedimentali di cui all’art. 242 TUA precedenti alla redazione del progetto».
La citata relazione del Massimario segue altro percorso logico, ritenendo che la clausola di riserva introdotta nell’art. 257 d.lgs. 152/2006 fa sì che esso continui ad operare «solo nelle ipotesi di un superamento delle soglie di rischio che non abbia raggiunto (quanto meno) gli estremi dell’inquinamento, ossia che non abbia cagionato una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili dei beni (acque, aria, etc.) elencati indicati dall’art. 452-bis; ne consegue che, in caso di superamento delle soglie di CSR, la nuova e più grave figura delittuosa di omessa bonifica opererebbe solo allorché la contaminazione abbia raggiunto una gravità tale da integrare l’inquinamento ambientale di cui al nuovo 452-bis c.p.».
La citata sentenza del Tribunale di Siena del 29 aprile 2024 si pone sulla stessa linea e sottolinea come i reati di cui agli artt. 257 d. lgs. 152/2006, 452-terdecies e 452-bis c.p. tutelino in ordine crescente l’ambiente e le matrici ambientali. L’art. 257 d. lgs. 152/2006 punisce allo stesso modo, da un lato, chi omette di comunicare di aver potenzialmente contaminato un sito (omissione, che all’evidenza, assume i connotati del reato di pericolo) e, dall’altro, chi si è correttamente adoperato per redigere finanche il progetto di bonifica ma lo esegue in maniera difforme, per dolo o per colpa; l’art. 452-terdecies c.p., invece, punisce molto più gravemente chi, essendo consapevole di essere obbligato per legge alla bonifica – perché è venuto a conoscenza nell’ambito del procedimento di cui all’art. 242 che sono state superate le CSR e sa di essere il responsabile dell’inquinamento o sa che il responsabile non eseguirà la bonifica –, non vi provvede in alcun modo. La massima risposta sanzionatoria si avrebbe, però, con l’art. 452-bis c.p., quando non necessariamente l’inquinamento ha superato le CSR ma ha interessato porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo ovvero quando, ad essere deteriorato o compromesso è un ecosistema o la biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna di una data area.
Così ragionando, taluna dottrina43 ritiene di suddividere le ipotesi di contaminazione in tre fasce: una fascia «alta», in cui far rientrare i casi più gravi di inquinamento, caratterizzati da una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili delle matrici ambientali, e sanzionati ai sensi dell’art. 452-terdecies c.p.; una fascia «mediana», in cui raccogliere casi di contaminazione che siano connotati dal superamento delle soglie di rischio ma che non siano talmente gravi da determinare quella compromissione richiesta dall’art. 452-bis c.p., casi sanzionati ai sensi dell’art. 257 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152; e, infine, una fascia «bassa», in cui ricondurre le ipotesi di alterazioni ambientali che non raggiungano neppure la soglia richiesta dalla fattispecie contravvenzionale.
Tuttavia, in dottrina è stato osservato44 che, aderendo alla tesi che potremmo definire delle «tutele crescenti», finirebbero per ricadere sotto la più severa disciplina dell’art. 452-terdecies c.p., non solo le condotte omissive più gravi, dalle quali sia derivata una «compromissione significativa e misurabile», ma anche quelle in assoluto meno gravi (come, ad esempio, l’ omesso ripristino della zona contaminata ai sensi dell’art. 242, comma 2, T.U.A. nei casi in cui, a seguito di indagini preliminari, sia stata accertata una contaminazione che non supera il livello delle CSC ) rimanendo invece applicabile la contravvenzione nelle ipotesi di inquinamento «intermedio»
45.
Chi scrive non condivide tale orientamento, poiché, come visto, la norma esprime una tutela «di secondo livello», che rappresenta una norma di chiusura, destinata a rafforzare il complessivo livello afflittivo del sistema e a garantire effettività agli ordini di reintegro, bonifica, riparazione del danno sparsi nella legislazione vigente, qualunque ne sia la matrice e l’estensione, che non può essere messa in antitesi all’inquinamento di cui all’articolo 452-bis, che invece esprime una tutela «di primo livello».
Inoltre, come si è visto, precisi obblighi di bonifica o ripristino sono disseminati nel testo unico, anche topograficamente al di fuori del recinto costituito dagli articoli 239 e seguenti, per cui l’ipotesi delittuosa ha una latitudine molto più ampia dell’articolo 257, che invece è limitato alle sole procedure di cui all’articolo 239 ss..
Ancora, come evidenziato dalla citata sentenza Leonardi, nel reato di cui all’articolo 257 T.U.A. l’evento incriminato è l’inquinamento, cagionato da una qualsiasi condotta dolosa o colposa, la cui punizione è però subordinata all’omessa bonifica (configurata come condizione obiettiva di punibilità a contenuto negativo); al contrario, nel caso dell’articolo 452-terdecies, ci troviamo di fronte ad un reato omissivo proprio, senza evento, di cui l’inquinamento costituisce un mero presupposto di fatto.
Pertanto, esclusa la possibilità di ricondurre «in ogni caso» i rapporti tra le due fattispecie nell’alveo del concorso apparente di norme, la fattispecie contravvenzionale potrà trovare applicazione (sempre e solo in caso di superamento delle CSC), in tre precise ipotesi:
a) se il soggetto responsabile dell’inquinamento, dolosamente o colposamente, provvede alla bonifica ma non lo fa «in conformità al progetto approvato dall’autorità competente», bensì «in difformità» dello stesso46;
b) se il soggetto responsabile dell’inquinamento, «colposamente», non provvede alla bonifica dopo l’approvazione del progetto approvato dall’autorità competente;
c) se il soggetto responsabile dell’inquinamento provvede alla bonifica «tardivamente» rispetto ai termini di cui agli artt. 242 ss. TUA47.
Viceversa, potrà trovare applicazione solo la fattispecie di cui all’articolo 452-terdecies, in virtù della clausola di riserva determinata, nel caso:
a) di «omessa bonifica dolosa»;
b) in cui il soggetto obbligato impedisca la stessa formazione del progetto di bonifica e quindi la sua realizzazione (p.e. attraverso la mancata attuazione del piano di caratterizzazione, necessario per predisporre il progetto di bonifica)48;
c) di inottemperanza ad obblighi di bonifica scaturenti da norme diverse da quelle di cui agli articoli 239 ss. d. lgs. 152/200649;
d) di inottemperanza ad obblighi di «recupero ambientale»;
e) di attivazione della responsabilità «vicaria» dei funzionari comunali o regionali.
- Nicola Colleo, La tutela dell’ambiente nella società del rischio. La responsabilità per danno ambientale tra coerenza sistemica e interrogativi parzialmente irrisolti, in Rivista Quadrimestrale di diritti dell’ambiente – Note e commenti, 2022, 1, pag. 221.↩︎
- Così Nicola Colleo, La tutela dell’ambiente nella società del rischio. La responsabilità per danno ambientale tra coerenza sistemica e interrogativi parzialmente irrisolti, in Rivista Quadrimestrale di diritto dell’ambiente, n. 1/2022, pag. 228.↩︎
- In dottrina, rileva Emiliano Pelagalli, Bonifica dei siti contaminati e sanzioni penali. Il reato di omessa bonifica, in Rivista DGA, n. 1/2024, pag. 1-2, che il Codice dell’ambiente prevede una serie di contravvenzioni che possono essere riassunte in quattro gruppi di fattispecie criminose che hanno come tratto comune quello di nascere dal non aver ottemperato ad un ordine dato dalla Pubblica Amministrazione. Un primo gruppo si compone di quegli illeciti che si originano in un esercizio non autorizzato o non segnalato all’Autorità competente di attività che presentano un particolare rischio per l’ambiente. Un secondo gruppo ricomprende quei reati che si hanno quando vi è un’inosservanza degli ordini impartiti dalla Pubblica Amministrazione. Un terzo nucleo di reati contravvenzionali è rappresentato da quelli che vengono ad esistenza quando vi è una condotta che porta ad un superamento di limiti di emissione o di immissione di sostanze nocive nell’ambiente. L’ultimo insieme di reati previsti dal Codice dell’ambiente si può riscontrare in quelle fattispecie che nascono da un’opposizione del privato a collaborare con la Pubblica Amministrazione.↩︎
- Giuseppe De Nozza, Il diritto dell’ambiente nella prospettiva della tutela amministrativa e penale, in Sistema Penale, 26 novembre 2024, pag. 2, il quale sottolinea come ad una tutela penale “forte” dell’obbligo di non inquinare l’ambiente si contrappone una tutela penale “debole” dell’obbligo di ripristinarlo e di non impedire l’esercizio della funzione di controllo e di vigilanza ambientale.↩︎
- Tale architettura è stata in parte stravolta del d.l. n. 116 dell’8 agosto 2025, convertito con l. 3 ottobre 2025, n. 147 (noto come decreto “Terra dei fuochi”), il quale ha trasformato in delitti molte delle violazioni prima sanzionate come contravvenzioni, prevedendone altresì la punibilità ove commessi in forma colposa, come nel caso della realizzazione e gestione di una discarica abusiva (art. 256, comma 3, d. lgs. 152/2006), di cui si prevede anche la punibilità ove commessa in forma colposa (art. 259-ter). Per dei primi commenti sul decreto v. Carlo Ruga Riva, Il c.d. decreto terra dei fuochi sui rifiuti: tra Greta, Dracone e Tafazzi, su Sistema Penale, 8 settembre 2025; Giulio Vanacore, Un intervento rivoluzionario ma troppo affrettato sul trattamento sanzionatorio dei reati in tema di rifiuti nel codice dell’ambiente, su Sistema Penale, 8 settembre 2025; Matteo Riccardi, «Chi inquina paga, senza sconti». Il decreto legge “Terra dei fuochi”: una riforma “di sistema” del diritto penale dell’ambiente, mascherata da riforma di settore (in attesa del recepimento della direttiva (UE) 2024/1203), su Giurisprudenza penale web n. 9/2025.↩︎
- De Nozza, cit., pag. 2, evidenzia come nell’art. 2, comma 2, lett. c), della Direttiva 2024/1203 del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’11 aprile 2024, sulla tutela penale dell’ambiente, che sostituisce le direttive 2008/99/CE e 2009/123/CE, a tenore del quale l’ecosistema è «il complesso dinamico di comunità, di piante, animali, funghi e microorganismi e del loro ambiente non vivente che, mediante la loro interazione, formano un’unità funzionale, e comprende tipi di habitat, habitat di specie e popolazioni di specie».↩︎
- De Nozza, cit., pag. 4.↩︎
- Ibidem, pag. 4.↩︎
- Sez. 3, n. 33322 del 15/06/2017; Sez. 7, Ord. n. 28387 del 04/07/2025; Sez. 3, n. 45248 del 06/11/2024; Sez. 4, n. 4327 del 19/12/2023, dep. 2024; Sez. 3, n. 33698 del 06/07/2023; Sez. 3, Sentenza n. 26517 del 17/05/2023; Sez. 3, Sentenza n. 22096 del 13/04/2023; Sez. 4, n. 30805 del 28/04/2022; Sez. 2, n. 20694 del 27/05/2022; Sez. 3, Sentenza n. 16610 del 29/03/2022; Sez. 3, n. 4620 del 13/01/2022; Sez. 3, n. 31310 del 04/06/2019; Sez. 3, n. 34831 del 02/07/2025, Antonuccio, n.m..↩︎
- Sez. 3, n. 32117 del 29/05/2024, Della Corte, Rv. 286865 – 01, e Sez. 3, n. 42236 del 14/09/2023, Dall’o, Rv. 285166 – 01.↩︎
- Sez. 3, n. 32117 del 29/05/2024, Della Corte, Rv. 286865 – 01, citata anche nella nota che precede.↩︎
- Mattia Colombo, Bene giuridico e modello di tutela nei reati di omessa bonifica, in Rivista Lexambiente n. 2/2025, pag. 96.↩︎
- Caterina Iagnemma, Il delitto di omessa bonifica, ne Cornacchia-Pisani, “Il nuovo diritto penale dell’ambiente”, pag. 295.↩︎
- Tribunale di Siena, Sent. n. 197 del 29/04/2024.↩︎
- Bonfissuto, cit. pag. 41.↩︎
- In tal senso anche G.U.P. Tribunale di Fermo, sent. del 21/01/21.↩︎
- Rosalia Affinito, I reati di omessa bonifica, in Rassegna dell’Arma dei Carabinieri, n. 3/2018, pag. 49; Pasquale Fimiani, La tutela penale dell’ambiente, Giuffrè, 2015, pag. 712.↩︎
- Bonfissuto, cit., pag. 42. In tal senso anche Affinito, cit., pag. 49.↩︎
- Sulla crisi di liquidità, chi scrive ha avuto modo di ragionare in Crisi di liquidità e inesigibilità alla luce di Sez. U., n. 10381 del 26/11/2020 (Fialova), della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea e del disegno di legge delega di riforma del sistema fiscale, in sistema Penale, 5 giugno 2023.↩︎
- Sez. 3, n. 17813 del 15/11/2018, dep. 2019, Leonardi, Rv. 275454 – 02.↩︎
- Iagnemma, cit., pag. 301.↩︎
- In tal senso anche Gianfranco Amendola, Il nuovo delitto di “omessa bonifica”: primi appunti, pubblicato on line su Lexambiente, 30 ottobre 2015, il quale evidenzia che l’inottemperanza a questo obbligo è già fornita di sanzione penale ai sensi dell’art. 255, comma 3, il quale sancisce che «chiunque non ottempera all’ordinanza del Sindaco, di cui all’articolo 192, comma 3, …… è punito con la pena dell’arresto fino ad un anno», ponendosi in tal modo un problema di concorso apparente tra le due norme.↩︎
- Amendola, cit., ritiene che, in tutte le suddette ipotesi, «qualora vi sia inottemperanza a questi obblighi, riteniamo sia applicabile il nuovo delitto di omessa bonifica che, quindi, a questo punto, assume un’ampiezza ben maggiore di quanto appare a prima vista dalla semplice lettura della disposizione».↩︎
- V. sul punto quanto si è già avuto modo di scrivere in Alberto Galanti, I Delitti contro l’ambiente, Pacini giuridica, 2025, pag. 405.↩︎
- De Nozza, cit., pag. 7; in giurisprudenza, v. Sez. 3, n. 34831 del 02/07/2025, Antonuccio, n.m..↩︎
- Di Landro, Gli obblighi di bonifica e di ripristino ambientale. i soggetti e le responsabilità omissive, pubblicato su Rivista Lexambiente n. 4/2022, pag. 5, evidenzia tuttavia che, accanto alla definizione inclusa nell’articolo 240, vi è una seconda definizione di ripristino, contenuta nella Parte VI dello stesso TUA, ovvero nelle Norme in materia di tutela risarcitoria contro i danni all’ambiente. Ai sensi dell’art. 302, co. 9, infatti, «per “ripristino”, anche “naturale”, s’intende: nel caso delle acque, delle specie e degli habitat protetti, il ritorno delle risorse naturali o dei servizi danneggiati alle condizioni originarie; nel caso di danno al terreno, l’eliminazione di qualsiasi rischio di effetti nocivi per la salute umana e per la integrità ambientale. In ogni caso il ripristino deve consistere nella riqualificazione del sito e del suo ecosistema, mediante qualsiasi azione o combinazione di azioni, comprese le misure di attenuazione o provvisorie, dirette a riparare, risanare o, qualora sia ritenuto ammissibile dall’autorità competente, sostituire risorse naturali o servizi naturali danneggiati». Secondo l’Autore, il primo concetto di ripristino appare complementare a quella di bonifica, mentre il secondo risulta più ampia ed inclusiva, e, a suo dire, sarebbe da preferire «anche perché non appare limitato al terreno, ma riguarda pure le acque superficiali, le specie e gli habitat protetti. Tale nozione di ripristino sembra da un lato più ampia, dall’altro più precisa, differenziandosi a seconda delle diverse matrici ambientali coinvolte».↩︎
- È stato evidenziato dai commentatori (Giuseppina Bonfissuto, L’eco-delitto di “omessa bonifica” e le sue prime applicazioni nelle aule di giustizia. Brevi note a margine di GUP Trib. di Fermo 21/01/21, pubblicato su rivista Lexambiente, n. 2/2021, pag. 37) che «mentre per individuare le condotte di “bonifica” e “ripristino” è possibile riferirsi alle nozioni fornite dal T.U.A.12, di più difficile interpretazione è risultata la voluntas legis nel passaggio in cui ha attribuito rilevanza penale all’omesso “recupero” di un sito, essendo questo un termine generalmente usato nel Testo Unico ambientale in relazione al riutilizzo dei rifiuti».↩︎
- De Nozza, cit. pag. 7.↩︎
- Rel. n. III/04/2015 del 29 maggio 2015.↩︎
- C.d.S., sez. VI, 9.1.2013, n. 56; T.A.R. Trento n. 202 del 13/04/2016; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, n. 6033 del 03/07/2012; T.A.R. Toscana Sez. II, n. 1664 del 19/10/2012.↩︎
- Sez. U, n. 26351 del 26/06/2002, Fedi, Rv. 221663 – 01, con principio ribadito da Sez. U, n. 4694 del 27/10/2011, dep. 2012, Casani, Rv. 251270 – 01.↩︎
- Sez. 5, n. 12722 del 11/01/2024, De Cristofaro, n.m., in motivazione, par. 1.3.↩︎
- In dottrina (Iagnemma, Il delitto di omessa bonifica, cit., pag. 297), sulla stessa linea si ritiene che «stando … alla lettera dell’art. 452-duodecies c.p. la linea di demarcazione tra gli interventi di ripristino e quelli di recupero sarebbe data da un criterio – per così dire – di “fattibilità” delle operazioni di risanamento ambientale: da un lato si porrebbero le misure di recupero, che sono sempre attuabili (e che, dunque, devono sempre essere disposte dal giudice al momento della condanna) perché consistenti nella sola “eliminazione dell’agente inquinante”; dall’altro, le procedure di ripristino. Queste ultime sarebbero da considerarsi “eventuali” perché molto più complesse delle prime e non sempre realizzabili, implicando – oltre all’eliminazione – anche la «ricollocazione e riattivazione delle componenti che siano andate distrutte ovvero rimosse in quanto irrimediabilmente compromesse». Tale interpretazione, tuttavia, finisce con l’equiparare le procedure di recupero a quelle di bonifica, il che, come si vedrà, non è.↩︎
- De Nozza, cit., pag. 7.↩︎
- Sentenza n. 641 del 1987.↩︎
- Sentenza n. 378 del 2007.↩︎
- Il richiamo è a Iagnemma, cit., pag. 302.↩︎
- Così Sez. 3, n. 34831 del 02/07/2025, Antonuccio, n.m..↩︎
- Sez. 3, n. 32117 del 29/05/2024, Della Corte, cit..↩︎
- Così Andrea Marcora, Il rapporto tra il delitto di omessa bonifica e la contravvenzione di omesso adempimento all’ordinanza del sindaco di rimozione dei rifiuti, in RGAonline, 01/12/2024.↩︎
- Sez. 3, n. 17813 del 15/11/2018, dep. 2019, Leonardi, Rv. 275454 – 02, la quale cita Sez. 3, n. 9794 del 20/11/2006, Montigiani, Rv. 235951; Sez. 3, n. 26479 del 14/03/2007 Rv. 237134 Magni; Sez. 3, n. 9492 del 29/01/2009 Rv. 243115, Capucciati.↩︎
- Affinito, cit., pag. 50.↩︎
- Fabiana Pomes, I reati di omessa bonifica e il diritto penale ripristinatorio, LUISS, 2021, pag. 117.↩︎
- Bonfissuto, cit., pag. 39.↩︎
- In dottrina v. anche Luca Ramacci, Prime osservazioni sull’introduzione dei delitti contro l’ambiente nel codice penale e le altre disposizioni della legge 22 maggio 2015 n. 68, pubblicato su Lexambiente, 8 giugno 2015.↩︎
- Andrea di Landro, Bonifiche: il labirinto della legislazione ambientale dove le responsabilità penali “si perdono” (Diritto Penale Contemporaneo, 28 febbraio 2014, pag. 33) evidenzia in proposito che «una volta che il provvedimento finale di approvazione del progetto di bonifica diventa definitivo, è da ritenersi consumata la facoltà di proporre soluzioni tecniche alternative, la quale può essere attuata soltanto in sede di partecipazione al procedimento di approvazione».↩︎
- Di Landro, op. ult. cit., pag. 33, evidenzia che in tal caso l’intervenuta bonifica non potrà avere effetto esimente, ma solo interrompere la permanenza del reato.↩︎
- Sez. 3, n. 35774 del 02/07/2010 Rv. 248561, Morgante, riconduceva tale ipotesi nell’alveo dell’articolo 257, prima, però, dell’entrata in vigore dell’articolo 452-terdecies, che oggi, secondo la ricostruzione proposta, coprirebbe l’ipotesi di inottemperanza dolosa al progetto di bonifica.↩︎
- Tale principio si ricava da Sez. 3, n. 30127 del 16/05/2012, Laffranchini, n.m., secondo cui l’articolo 257 si applica, in base all’espresso tenore letterale, solo in relazione ai progetti di bonifica di cui all’art. 242 del TUA., e dunque non vi può essere spazio per interpretazioni estensive.↩︎

