Il castello di Roccascalegna
Il Castello di Roccascalegna situato in Abruzzo, nell’area Frentano–Alto Vastese, tra le colline che circondano il fiume Sangro è posto sopra il borgo omonimo, a circa 33 km dal litorale adriatico.
La caratteristica distintiva del castello è la sua posizione, costruito su uno sperone di roccia calcarea, domina il vallone sottostante del Rio Secco e in perfetta armonia con la ripida morfologia del sito, si sviluppa seguendo l’orografia del terreno, con mura di contenimento e torrioni destinati a difenderlo dagli attacchi esterni.
Nel corso dei secoli, passando sotto il controllo di Normanni, Svevi, Angioini e Aragonesi, la fortezza ha subito diverse trasformazioni che ne hanno modificato l’aspetto e la struttura ma ancora oggi, con la sua originale silhouette, il maniero solitario domina la valle.
La planimetria attuale della rocca, con torri, mura e camminamenti di ronda, presenta una pianta irregolare, che risale alla fine del XV secolo, quando fu restaurata dalla famiglia baronale Annecchino.
Sino agli anni quaranta del novecento, la fortezza era composta da cinque torri, una quadrangolare che spicca, sulla sommità della rupe, alla fine della rampa che risale le mura esterne e quattro circolari, di cui oggi ne restano solo tre, la più grande di queste infatti fu abbattuta durante la seconda guerra mondiale.
L’edificio principale del castello, noto come torre maestra, con la sua parete verticale di oltre 30 metri domina l’intera struttura.
Dal borgo antico che sorge ai piedi del dirupo, in origine fortificato e cinto da mura, si accede al castello con un lungo e ripido pendìo che termina alla chiesa medievale di S. Pietro, adagiata sull’ultima propaggine dello sperone calcareo. Essa è collegata alla fortificazione con una lunga scalinata in pietra, dalla cui entrata, controllata dalla Torre di Sentinella, si accede al cortile interno dove sono presenti: la torre maestra, le prigioni, le stalle e la cappella.
Varie sono le ipotesi sull’origine del nome della rocca, secondo alcuni studiosi, “scalegna”, riportato nel Catalogus baronum del 1379, deriverebbe dall’antico termine francese “scarengia” o “scarenna”, il cui significato sarebbe “fianco scosceso di una montagna”, riferito allo sperone roccioso del Monte San Pancrazio su cui sorge la rocca.
Per altri, la denominazione deriverebbe dal nome personale longobardo “Aschari”, da cui Rocc-aschar, che mutando la “r” in “l” per rotazione consonantica, è diventata poi Roccascalegna, infine secondo la tradizione popolare il suo nome ricorderebbe la scala a pioli in legno che permetteva l’ accesso alla rocca: “Rocca scala lignea”.
La costruzione della rocca è fatta risalire ai Longobardi, che discesi dall’Italia settentrionale, a partire dal 600 d.C., occuparono stabilmente l’attuale Molise e l’Abruzzo meridionale costringendo l’esercito Bizantino che occupava l’area, ad attestarsi lungo la costa dell’Adriatico.
Proprio a causa del conflitto trai due eserciti, che durò per molti anni, i Longobardi, per difendere il borgo sorto come avamposto per il controllo del territorio, realizzarono su questo sperone che dominava le valli sottostanti, prima una torre d’avvistamento e poi il castello.
Altre citazioni riguardanti il borgo risalgono al XII secolo, anche se la sua fondazione, è precedente considerato che già nell’829 risulta esistente l’Abbazia di San Pancrazio, di cui rimane solo la chiesa del cimitero risalente al 1205, visibile nella foto, alla destra del castello.
La rocca, nel tempo, passò dapprima ai Franchi, poi ai Normanni che si succedettero nel governo del territorio, a questi ultimi, probabilmente, è dovuta la realizzazione del castello vero e proprio.
Successivamente, fatta salva una bolla contabile del 1320 del periodo angioino, in cui la rocca viene nominata “cum castellione”, di essa non si hanno più notizie.
Solo durante il regno di Giovanna II di Napoli, all’ascesa al trono degli Aragonesi, è documentato che un soldato, Raimondo d’Annecchino, sotto il comando di Giacomo Caldora, divenne feudatario del borgo e nel 1525 Giovanni Maria d’Annecchino procedette al restauro del Castello, così che potesse resistere anche alle armi da fuoco.
Dopo questo periodo si avvicendarono diversi feudatari che, accettando le disposizioni previste dagli statuti proposti, si alternarono alla Regia Corte di Napoli.
nel 1531 questi Statuti furono confermati da Diego Sarmemto ma, subito dopo, il borgo ritornò alla Regia Corte che lo vendette a Giovanni Genovois di Chalem che lo cedette poi a sua volta ai Carafa, la cui baronia si protrasse dal 1531 al 1600, fino a quando questi, oberati di debiti, cedettero il castello ai Corvo o de Corvis ai quali rimase dal 1600 al 1717. Negli anni successivi il castello, lasciato in abbandono, subì vari crolli e fu preda di saccheggi ed era in pessime condizioni quando la famiglia Nanni lo lasciò per trasferirsi più in basso nel palazzo baronale. Più tardi nei conflitti seguiti all’unita d’Italia, il Castello fu sede della guardia nazionale destinata a reprimere il brigantaggio. Solo nel 1985 gli ultimi proprietari, i Croce Nanni, donarono il castello al Comune che ne decise il restauro terminato nel 1996.

