Sentenza della Corte di Cassazione del 12-06-2025 n 22079

In applicazione del principio “male captum bene retemtum” l’irregolarità del verbale di sequestro non determina l’annullamento del provvedimento di convalida del pubblico ministero

Sentenza della Corte di Cassazione del 12 giugno 2025, n. 22079

… nel processo penale vige pacificamente il principio del “male captum bene retentum”. Si è a tal proposito ritenuto che, in applicazione di tale principio, l’irregolarità del verbale di sequestro operato dalla P.G. non travolge il provvedimento di convalida del pubblico ministero (Sez. 2, n. 31225 del 25/06/2014, Mykhailo, Rv. 260033 – 01; Sez. 3, n. 41957 del 19/10/2005, Garruti, Rv. 232747 – 01).

Una risalente, ma mai superata, pronuncia delle Sezioni Unite della Corte, ha poi affermato che, anche in caso di perquisizione illegittima, allorché ricorra l’ipotesi prevista dall’art. 253, comma 1, cod. proc. pen., il sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato, costituendo un atto dovuto, rende del tutto irrilevante il modo con cui ad esso si sia pervenuti (Sez. U, n. 5021 del 27/03/1996, Sala, Rv. 204643 – 01).

Anche la Corte costituzionale, dal canto suo, ha dichiarato inammissibili (sent. n. 219 del 2019) le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 191 c.p.p. in riferimento agli artt. 2, 3, 13, 14, 24, 97, co. 2, e 117, comma 1, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 8 CEDU, nella parte in cui tale disposizione non prevede che la sanzione dell’inutilizzabilità ai fini della prova riguardi anche gli esiti probatori (ed. «frutto dell’albero avvelenato»); nel caso di specie, si trattava di prove acquisite tramite sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato, o atti di perquisizione ed ispezione compiuti dalla polizia giudiziaria fuori dei casi tassativamente previsti dalla legge, o comunque non convalidati dall’autorità giudiziaria con provvedimento motivato.

Il Giudice delle leggi ha, nella circostanza, ritenuto che in materia non possa trovare applicazione un principio di «inutilizzabilità derivata», istituto disciplinato solo per le nullità: non si possono infatti equiparare, senza invadere la discrezionalità del legislatore, fenomeni – quali quelli della nullità e della inutilizzabilità – del tutto autonomi e tutt’altro che sovrapponibili.

È stata quindi esclusa la possibilità di trasferire nella disciplina della inutilizzabilità un concetto di vizio derivato che il sistema regola esclusivamente in relazione al tema delle nullità (principio recentemente ribadito con sentenza n. 247 del 2023).

[…]

… con la locuzione «effettuare una attività di raccolta» oppure un deposito incontrollato, la norma indica sia la effettuazione in prima persona dell’attività illecita che il consentire ad altri, che rientrano nella propria sfera di responsabilità, la condotta medesima (arg. ex art. 2049 cod. civ.).

La posizione di garanzia del legale rappresentante in materia di gestione dei rifiuti implica, pertanto, che egli è responsabile di assicurare la corretta gestione dei rifiuti da parte dell’«azienda» nel suo complesso considerata e, pertanto, risponde degli illeciti ambientali commessi dai di lui dipendenti, ove ciò sia dovuto a culpa in vigilando, la cui esistenza non è neppure contestata dal ricorrente.

In tal senso, si è affermato che «in materia ambientale, i titolari e i responsabili di enti ed imprese rispondono del reato di abbandono incontrollato di rifiuti non solo a titolo commissivo, ma anche sotto il profilo della omessa vigilanza sull’operato dei dipendenti che abbiano posto in essere la condotta di abbandono (Sez. 3, n. 40530 del 11/06/2014 – dep. 01/10/2014, Mangone, Rv. 261383 – 01; Sez. 3, n. 23971 del 25/05/2011, Graniero, Rv. 250485 – 01; Sez. 3, n. 45974 del 27/10/2011, Spagnuolo, Rv. 251340 – 01; più di recente: Sez. 3, n. 24080 del 29/05/2024, Putortì; Sez. 3, n. 2234 del 09/07/2021, dep. 2022, Losardo; Sez. 3, n. 32744 del 03/07/2023, Passiante, non massimate).

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