I possibili tipi di compostaggio
di Mauro Sanna
Gli impianti di compostaggio nel tempo sono stati oggetto di regolamentazioni diverse che hanno portato allo stato attuale alla presenza di sei diverse tipologie di impianti, differenti per i vincoli e le agevolazioni a cui sono soggetti.
Le normative che progressivamente hanno individuato i requisiti distintivi preliminari, che gli impianti dovevano possedere per essere ammissibili e che hanno definito le diverse tipologie amministrative di compostaggio, introducendo nuove forme e modalità qualificate in modo svariato, sono quelle elencate di seguito:
- delibera 27 Luglio 1984, emanata in fase di prima attuazione del decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1982, nell’ambito dei Criteri e norme tecniche generali riguardanti gli impianti di recupero, stabilisce anche quelli per la produzione di compost, definito da questi come un prodotto ottenuto mediante un processo biologico aerobico dei rifiuti solidi urbani, o delle loro miscele con fanghi di depurazione delle acque reflue di insediamenti civili;
- art. 208 del D. Lgs 3 aprile 2006, n.152, regolamentazione degli impianti di compostaggio “industriali” in autorizzazione ordinaria, per la produzione del “compost di qualità” ottenuto dal compostaggio di rifiuti organici raccolti separatamente, prodotto che rispetti i requisiti e le caratteristiche stabilite dall’allegato 2 del decreto legislativo 29 aprile 2010, n. 75, e successive modificazioni;
- art. 214 del D. Lgs 3 aprile 2006, n.152, regolamentazione degli impianti di compostaggio “industriali, con autorizzazione in procedure semplificate per la produzione “compost di qualità”: ottenuto dal compostaggio di rifiuti organici raccolti separatamente, prodotto che rispetti i requisiti e le caratteristiche stabilite dall’allegato 2 del decreto legislativo 29 aprile 2010, n. 75, e successive modificazioni;
- art. 37 della L. n. 221 del 28 dicembre 2015 integrazione dell’articolo 214 del D.Lgs. 152/06 con il comma 7-bis) che prevede una nuova procedura autorizzativa semplificata, in deroga a quella prevista dal comma 7, che introduce quelli che saranno definiti dal Ministero dell’Ambiente, nota prot. n. 4223 del 07.03.2019: impianti di “compostaggio locale”, per la produzione di un compost per il quale è previsto il rispetto dei parametri stabiliti dalla norma sui fertilizzanti (D.Lgs. 75/2010) per gli ammendanti compostati;
- art. 38, c. 2, lett. a) della L. n. 221 del 28 dicembre 2015 che modificando la precedente definizione di “auto compostaggio” contenuta nell’articolo 183, comma 1, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152, ha integrato la lett. e) del comma 1, prevedendo per i nuovi impianti di autocompostaggio che le utenze domestiche siano integrate con quelle non domestiche, non prevedendo che il compost prodotto rispetti i parametri stabiliti dalla norma sui fertilizzanti (D.Lgs. 75/2010) per gli ammendanti compostati;
- art. 38, c. 2, lett. b) della L. n. 221 del 28 dicembre 2015 modifica dell’articolo 183, comma 1, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152, integrato con la lett. «qq-bis»: ha introdotto ex-novo gli impianti di compostaggio di comunità, destinati a produrre compost per il quale è previsto il rispetto dei parametri stabiliti dalla norma sui fertilizzanti (D.Lgs. 75/2010) limitatamente all’impiego del compost utilizzato su suoli agricoli destinati alla produzione e vendita di prodotti per uso umano o animale, mentre, negli altri casi il compost in uscita dal processo di compostaggio deve rispettare le specifiche caratteristiche e i limiti stabiliti dal decreto del 29 dicembre 2016, n. 266.
Gli impianti attivati in conformità alla Delibera 27 luglio 1984
In fase di prima attuazione del decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1982 sulla gestione dei rifiuti, la delibera 27 luglio 1984 nell’ambito dei Criteri e norme tecniche generali riguardanti gli impianti di recupero ha stabilito anche quelli validi per i processi di compostaggio, nei quali il compost è un prodotto ottenuto mediante un processo biologico aerobico dalla componente organica dei rifiuti solidi urbani, da materiali organici naturali fermentescibili o dalle loro miscele con fanghi derivanti da processi di depurazione delle acque di scarico di insediamenti civili come definiti all’articolo l-quater, lettera b), della legge 8 ottobre 1976, n. 690.
Tra le prescrizioni da rispettare per la sua produzione sono comprese sia le caratteristiche agronomiche del compost, sia i limiti di accettabilità ai fini della tutela ambientale, ma anche le concentrazioni limite dei metalli che possono essere presenti nei terreni e le quantità di metalli addizionabili annualmente con la sua somministrazione; vengono inoltre stabilite le possibili utilizzazioni di questo tipo di compost.
Gli impianti con autorizzazione ordinaria
A seguito della emanazione del D.Lgs. 152/06 sono stati previsti gli impianti di compostaggio compresi tra —gli impianti di recupero dei rifiuti elencati nell’allegato C della parte IV del medesimo decreto che possono essere realizzati e posti in esercizio a seguito di Autorizzazione unica in conformità a quanto stabilito dell’articolo 208 del D.Lgs. 152/06.
Tali impianti, in quanto destinati al recupero dei rifiuti ai sensi dell’articolo 183, comma 1, lett.t) del D.Lgs. 152/06, che definisce “recupero”: qualsiasi operazione il cui principale risultato sia di permettere ai rifiuti di svolgere un ruolo utile, sostituendo altri materiali che sarebbero stati altrimenti utilizzati per assolvere una particolare funzione o di prepararli ad assolvere tale funzione, all’interno dell’impianto o nell’economia in generale, possono essere adibiti alla produzione di “compost di qualità”: prodotto ottenuto dal compostaggio di rifiuti organici raccolti separatamente, che rispetti i requisiti e le caratteristiche stabilite dall’allegato 2 del decreto legislativo 29 aprile 2010, n. 75, e successive modificazioni; come definito dall’articolo 183, comma 1, lett.ee) del D. lgs. 152/06.
Gli impianti attivati in procedura semplificata
Il D.Lgs. 152/06, oltre agli impianti in autorizzazione ordinaria, prevede anche gli impianti di compostaggio adibiti alla produzione di “compost di qualità” che effettuano attività di recupero dei rifiuti ammesse alle procedure semplificate ai sensi dell’articolo 214 del D.Lgs. 152/06, sottoposti alle procedure semplificate di cui agli articoli 215 e 216 che possono essere intraprese decorsi novanta giorni dalla comunicazione di inizio di attività alla provincia territorialmente competente.
Tra le tipologie di recupero previste dal sub allegato 1 dell’allegato 1 al DM 5.2.98, sono comprese quelle riguardanti i rifiuti compostabili, destinati alla produzione di compost di qualità, elencati nel paragrafo 16.1 di tale allegato, prevedendo che da essi si ottengano materie prime e/o prodotti con le caratteristiche indicate negli allegati alla legge 19 ottobre 1984, n. 748, normativa abrogata dal D.Lgs. 29 aprile 2006, N. 217 e sostituita per gli ammendanti compostati dalla norma sui fertilizzanti contenuta nel D.Lgs. 75/2010, attualmente vigente.
Gli impianti di autocompostaggio
La definizione di “autocompostaggio” originariamente prevista dall’articolo 183, comma 1, lett. e) del Dlgs 3 aprile 2006, n.152, che aveva considerato “autocompostaggio”: il compostaggio degli scarti organici dei propri rifiuti urbani, effettuato da utenze domestiche, ai fini dell’utilizzo in sito del materiale prodotto; è stata modificata dall’art. 38, L. n. 221 del 28 dicembre 2015 come: “compostaggio degli scarti organici dei propri rifiuti urbani, effettuato da utenze domestiche e non domestiche, ai fini dell’utilizzo in sito del compost prodotto“, aggiungendo quindi alle utenze domestiche anche quelle non domestiche. Tale sistema costituisce la forma tipica di compostaggio individuale.
Il compost prodotto dall’attività di autocompostaggio non è previsto che rispetti i parametri stabiliti dalla normativa sui fertilizzanti (D.Lgs. 75/2010) per gli ammendanti compostati.
Integrando quindi le utenze domestiche anche con quelle non domestiche nell’attività di auto compostaggio, si semplifica in generale l’iter autorizzativo di impianti con potenzialità limitata, finalizzati a compostare determinati rifiuti biodegradabili esclusivamente nello stesso luogo di produzione.
Gli impianti di “compostaggio di comunità”
Il compostaggio di comunità è stato introdotto dall’articolo 183, comma 1, lettera qq-bis del d. lgs. 152/06), definito come “compostaggio effettuato collettivamente da più utenze domestiche e non domestiche della frazione organica dei rifiuti urbani prodotti dalle medesime, al fine dell’utilizzo del compost prodotto da parte delle utenze conferenti.”
La norma aveva previsto l’emanazione di un decreto interministeriale recante i criteri operativi e le procedure autorizzative semplificate per tale compostaggio di comunità di rifiuti organici (art 180 co. 1-octies del d. lgs. 152/06), decreto emanato successivamente il 29 dicembre 2016, n. 266, contenente le procedure cui attenersi per effettuare tale attività.
Per gli impianti adibiti al compostaggio di comunità, ai sensi dell’articolo 180, comma 1-septies, del d. lgs. 152/2006, i comuni possono applicare una riduzione sulla tassa di cui all’articolo 1, comma 641, della legge 27 dicembre 2013, n. 147.
Sulla base di quanto esplicitato dal MATTM nella nota di chiarimenti interpretativi. n. 4223 del 07.03.2019, può essere considerato compostaggio di comunità “esclusivamente quella attività nella quale il soggetto produttore del rifiuto coincide con il conferitore all’apparecchiatura di compostaggio e con l’utilizzatore del compost prodotto”, diversamente, come si evidenzia di seguito, per il compostaggio locale “il soggetto produttore del rifiuto può anche non coincidere con il conferitore e con l’utilizzatore del compost, venendo in questo caso a mancare il presupposto per la qualifica dell’attività come compostaggio di comunità.”
Il compostaggio di comunità è perciò quello, effettuato collettivamente da più utenze domestiche e non domestiche, della frazione organica dei rifiuti urbani prodotti dalle medesime, in cui l’utilizzo del compost prodotto avviene da parte delle utenze conferenti” (art. 183 co. 1 lett. qq-bis del d. lgs. 152/06).
Questo compostaggio è riferito genericamente ad una comunità con nessun riferimento pertanto al concetto amministrativo di Comune o altro Ente, ma è solo una collettività di soggetti che attivano un compostaggio di rifiuti, da essi prodotti, trasformati ed utilizzati.
E’ previsto inoltre che, le disposizioni del decreto del 29 dicembre 2016, n. 266 non si applicano agli impianti di compostaggio aerobico di rifiuti biodegradabili di cui all’articolo 214, comma 7-bis, definiti di “compostaggio locale”, né alle attività di “compostaggio di comunità” con capacità di trattamento complessiva superiore a 130 tonnellate annue, per le quali si applicano le disposizioni di cui agli articoli 208 e 214 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.
Gli impianti di “compostaggio locale”
Questa tipologia di impianto di trattamento dei rifiuti tramite compostaggio aerobico è stata introdotta dall’art. 37, comma 2 della L. n. 221 del 28 dicembre 2015 che ha modificando l’articolo 214, del D.Lgs. 152/06 integrandolo con il comma 7-bis che, in deroga a quanto previsto dal co. 7 art. 214 del medesimo decreto, ha introdotto una ulteriore procedura autorizzativa semplificata, stabilendo che:
«7-bis. In deroga a quanto stabilito dal comma 7, ferme restando le disposizioni delle direttive e dei regolamenti dell’Unione europea, gli impianti di compostaggio aerobico di rifiuti biodegradabili derivanti da attività agricole e vivaistiche o da cucine, mense, mercati, giardini o parchi, che hanno una capacità di trattamento non eccedente 80 tonnellate annue e sono destinati esclusivamente al trattamento di rifiuti raccolti nel comune dove i suddetti rifiuti sono prodotti e nei comuni confinanti che stipulano una convenzione di associazione per la gestione congiunta del servizio, acquisito il parere dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente (ARPA) previa predisposizione di un regolamento di gestione dell’impianto che preveda anche la nomina di un gestore da individuare in ambito comunale, possono essere realizzati e posti in esercizio con denuncia di inizio di attività ai sensi del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, anche in aree agricole, nel rispetto delle prescrizioni in materia urbanistica, delle norme antisismiche, ambientali, di sicurezza, antincendio e igienico-sanitarie, delle norme relative all’efficienza energetica nonché delle disposizioni del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42».
Questa metodologia di compostaggio è stata definita dalla Nota di chiarimenti interpretativi del Ministero dell’Ambiente, prot. n. 4223 del 07.03.2019, come propria degli impianti locali, per differenziarla dagli altri impianti, di comunità e di autocompostaggio, impianti locali che possono essere a servizio di una collettività di utenze o di una utenza singola, quale ad esempio un albergo privo di aree a verde, oppure un mercato.
Queste tipologie di utenze locali diverse dal Comune, identificate come “altri soggetti” nella suddetta nota, in un’area di cui abbiano disponibilità, possono trasformare i propri rifiuti biodegradabili e produrre compost di qualità il cui utilizzo può avvenire anche in luoghi diversi da quello di trasformazione ed anche da parte di utilizzatori finali diversi dall’iniziale produttore del rifiuto organico compostato.
Tale norma semplifica perciò l’iter autorizzativo degli impianti di compostaggio con potenzialità limitata, destinati a compostare determinati rifiuti biodegradabili, ubicati esclusivamente all’interno del limite territoriale comunale (o comunali) dove si trovano i luoghi di produzione, condizione che non sussiste per gli impianti autorizzati ai sensi dell’art. 208 del D.Lgs. 152/06.
Per questo tipo di impianti, a differenza di quelli di compostaggio di comunità, le tipologie di rifiuti biodegradabili da compostare aerobicamente, sono rappresentate da: rifiuti derivanti da attività agricole (e non agroindustriali), vivaistiche o da cucine, mense, mercati, giardini o parchi e sono anche definite le tipologie di attività che danno origine al rifiuto conferibile, che non possono essere attività agroindustriali ed il compost prodotto deve rispettare i parametri stabiliti dalla norma sui fertilizzanti (D.Lgs. 75/2010) per gli ammendanti compostati.
Il conferitore dell’impianto locale di compostaggio, non deve però essere necessariamente né esclusivamente costituito dall’utenza che ha prodotto i rifiuti ma può essere costituito anche da un sistema indipendente di raccolta e di gestione degli stessi.
In estrema sintesi perciò, per gli impianti di compostaggio locale, le condizioni per la messa in esercizio e i requisiti stabiliti dall’articolo 214, comma 7-bis del D.Lgs. 152/06 a cui devono conformarsi pregiudizialmente, sia sotto l’aspetto ambientale che gestionale, sono i seguenti:
1. il compostaggio dei rifiuti biodegradabili deve avvenire mediante un processo aerobico;
2. i rifiuti devono derivare esclusivamente da attività agricole e vivaistiche o da cucine, mense, mercati, giardini o parchi;
3. la capacità di trattamento degli ’impianti non deve eccedere le 80 tonnellate annue;
4. gli impianti sono destinati esclusivamente al trattamento di rifiuti raccolti nel comune dove sono prodotti i suddetti rifiuti e nei comuni confinanti che abbiano stipulato una convenzione di associazione per la gestione congiunta del servizio;
5. deve essere predisposto un regolamento di gestione degli impianti che preveda anche la nomina di un gestore da individuare in ambito comunale;
6. deve essere acquisito il parere preventivo dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente (ARPA).
In conclusione le diverse tipologie di impianti di compostaggio sopra descritti, nel loro insieme possono essere distinte sulla base dei seguenti criteri:
- per il luogo dove vengono compostati i rifiuti organici, che può essere diverso a seconda che esso si collochi all’interno, o meno, del Comune (o dei Comuni) dove sono prodotti i rifiuti;
- per il numero delle utenze ammesse a partecipare all’iniziativa di compostaggio, che possono essere costituite da una collettività di utenze o da una singola utenza. In questo modo, in relazione alla quantità di rifiuti ricevute, gli impianti di grandi dimensioni che trattano rifiuti provenienti anche da località molto distanti ed esterne al contesto in cui sono allocati sono distinti dagli impianti più piccoli, ubicati nelle prossimità dei luoghi di produzione dei rifiuti organici, che possono qualificarsi impianti di compostaggio di comunità (ai sensi del DM 266/2016) o di compostaggio locale (art. 214 comma 7-bis del D.Lgs. 152/06), o individuali, se l’utenza interessata, domestica o non domestica, è unica (autocompostaggio).
- per l’utilizzatore del compost prodotto, che può essere costituito o meno dall’utente che ha prodotto il rifiuto organico di partenza, indipendentemente che si tratti di una iniziativa singola o collettiva;
- per il luogo di utilizzazione del compost prodotto, a seconda che questa avvenga:
- nello stesso luogo da cui ha avuto origine dalla utenza singola o collettiva
- all’interno del Comune, o dei Comuni, come limite territoriale di utilizzo
- al di fuori di tale contesto territoriale;
- per il tipo di utenze o di soggetti che possono proporsi per la specifica iniziativa di compostaggio, quali gli Organismi collettivi per il compostaggio di comunità, Comuni confinanti in convenzione associativa o “altri soggetti” di cui alla Nota del MATTM del 2019, interessati alla gestione di un impianto di compostaggio locale ed agli impianti che possono essere attivati da una utenza o un proponente “individuale”, per l’auto-compostaggio o da un singolo Comune o un singolo utente per il compostaggio locale.
Un elemento fondamentale sulla base del quale possono essere distinti gli impianti di compostaggio è però costituito dalle caratteristiche stabilite dalla norma specifica per il compost prodotto e cioè se esso debba risultare conforme o meno a quanto prescritto in proposito dalla normativa sui fertilizzanti e, specificatamente, da quella relativa agli ammendanti, riportata nell’allegato 2 del D.Lgs. 75/2010 in forza dell’art.1 comma 1, lett. b) del medesimo decreto. 1
Tale condizione costituisce per il compost prodotto un vero e proprio spartiacque, infatti, nel caso risulti conforme alla normativa sui fertilizzanti, esso sarà da qualificare come tale e di fatto nel caso specifico i rifiuti utilizzati per produrlo avranno cessato di essere qualificati come tali e il compost prodotto rientrerà tra i materiali End of Waste previsti dall’articolo 184-ter del D.Lgs. 152/06.
Diversamente, nel caso non sia previsto che il compost prodotto risulti conforme alla normativa sui fertilizzanti, o comunque non presenti le caratteristiche prescritte da questa, esso nel caso in cui il produttore se ne disfi sarà da qualificare come rifiuto e resterà soggetto alla disciplina specifica.
- D.Lgs. Governo n° 75 del 29/04/2010 Riordino e revisione della disciplina in materia di fertilizzanti, a norma dell’articolo 13 della legge 7 luglio 2009, n. 88. Art. 2. Definizioni 1. Ai sensi del presente decreto si intendono per «fertilizzanti» i prodotti e i materiali di seguito definiti: … z) «ammendanti»: i materiali da aggiungere al suolo in situ, principalmente per conservarne o migliorarne le caratteristiche fisiche o chimiche o l’attività biologica, disgiuntamente o unitamente tra loro, i cui tipi e caratteristiche sono riportati nell’allegato 2. *** ALLEGATO 2 (previsto dall’articolo 1, comma 1, lettera b) Ammendanti 1. PREMESSA 1.1. Sono ammesse, in aggiunta alla denominazione del tipo, le denominazioni commerciali entrate nell’uso. 1.2. La sostanza organica viene determinata moltiplicando il contenuto in carbonio organico (C) per 2,0. 1.3. Negli ammendanti fluidi nei quali oltre alla dichiarazione del titolo in peso/peso venga aggiunta la dichiarazione in peso/volume, questa dichiarazione dovrà essere preceduta dalle parole «equivalente a». 1.4. Per gli ammendanti di cui al capitolo 2 del presente allegato, ove non diversamente previsto, i tenori massimi consentiti in metalli pesanti espressi in mg/kg e riferiti alla sostanza secca sono i seguenti:
2. Ammendanti